Blog di Krugman

Quanto dovremmo preoccuparci di uno shock cinese? (20 luglio 2013)

 

July 20, 2013, 5:44 am

How Much Should We Worry About A China Shock?

Suppose that those of us now worried that China’s Ponzi bicycle is hitting a brick wall (or, as some readers have suggested, a BRIC wall) are right. How much should the rest of the world worry, and why?

I’d group this under three headings:

1. “Mechanical” linkages via exports, which are surprisingly small.

2. Commodity prices, which could be a bigger deal.

3. Politics and international stability, which involves some serious risks.

So, on the first: this is what many people immediately think of. China’s economy stumbles; China therefore buys less from the rest of the world; and the result is a global slump. Or, maybe not so much.

Some quick, rough, but I think useful math: In 2011, the combined GDP of all the world’s economies not including China was slightly over $60 trillion. Meanwhile, Chinese imports of goods and services were about $2 trillion, or around 3 percent of the rest of the world’s GDP.

Now suppose that China has a slowdown of 5 percent relative to trend. Imports would fall more than this; typical estimates of the “income elasticity” of imports (the percentage change from a 1 percent change in GDP, other things equal) are around 2. So we could be looking at a 10 percent fall in Chinese imports — an adverse shock to the rest of the world of one-tenth of 3 percent,or 0.3 percent of GDP. Not nothing, but not catastophic.

And even this is arguably an exaggeration, because a significant part of China’s imports are components for its exports,and don’t depend on Chinese domestic demand.

As I said, then, the mechanical links through trade flows are relatively small, although they could bulk much larger for some of China’s neighbors (but would be smaller for the United States).

Commodity prices are a potentially bigger story. China is a major consumer of raw materials — for example, about 11 percent of world oil consumption. And because the supply and demand of commodities tend to be relatively unresponsive to prices in the short run, a sharp drop in Chinese demand could lead to sharp falls in commodity prices. So the Ponzi bicycle shock could be a bigger deal for countries that sell raw materials, whether they sell to China or not, than it is to China exporters.

Finally, politics and international relations. I am obviously no kind of expert here. But it’s obvious, first, that China’s political regime is remarkable, even given the annals of history, for the hypocrisy of its position: officially it’s building the socialist future,in practice it’s presiding over a crony capitalist Gilded Age. Where, then, does the regime’s legitimacy come from? Mainly from economic success. Let that success falter,and then what?

And if you really want to get nervous, think about what cynical governments trying to distract their populace from domestic failures have often done in the past. Saber-rattling over some islands somewhere, anyone?

No particular bottom line here, except that you probably want to focus much more on the indirect effects than on the direct export multiplier.

Oh, and a curious aside. Of course I’ve been reading Michael Pettis, who has been making many of the points I’ve raised for some time. But I’ve had a bit of trouble accessing his work in the past couple of days; as of this morning, I get this:

Consider all jokes about Chinese corruption, stimulus, etc.made.

 

Quanto dovremmo preoccuparci di uno shock cinese?

 

Supponiamo che abbiano ragione quelli tra noi che oggi sono preoccupati che la “bicicletta Ponzi” della Cina vada a sbattere contro un muro (oppure, come alcuni lettori hanno suggerito, che il muro riguardi tutti i paesi  BRIC [1]). Quanto dovrebbe preoccuparsi il resto del mondo, e perché?

Raggrupperei (le risposte) sotto tre titoli:

1 – Connessioni “meccaniche” per il tramite delle esportazioni, che sarebbero sorprendentemente modeste;

2 – Prezzi delle materie prime, che potrebbero essere una faccenda più seria;

3 – Stabilità politica ed internazionale, che includerebbe alcuni rischi seri.

Dunque, quanto al primo: questo è quello a cui molte persone pensano immediatamente. L’economia della Cina fa un passo falso; di conseguenza la Cina acquista di meno dal resto del mondo; e il risultato è una crisi globale. Ebbene, non è detto ….

Alcuni conti, rapidi, rozzi ma penso utili: nel 2011 il PIL complessivo di tutte le economie del  mondo, esclusa la Cina, fu leggermente superiore ai 60 mila miliardi di dollari. Nel frattempo, le importazioni cinesi in beni e servizi furono attorni ai 2 mila miliardi di dollari, ovvero circa il 3 per cento del PIL del resto del mondo.

Ora, si supponga che la Cina abbia un rallentamento del 5 per cento  in relazione al suo trend. Le importazioni cadrebbero maggiormente; le stime consuete sulla “elasticità del reddito” delle importazioni (il cambiamento percentuale derivante da un mutamento dell’1 per cento del PIL, fermi gli altri fattori) sono attorno a 2. Dunque dovremmo assistere, con una caduta del 10 per cento delle importazioni cinesi, ad uno shock negativo per il resto del mondo pari ad un decimo del 3 per cento, ovvero dello 0,3 per cento del PIL. Non sarebbe niente, ma non catastrofico.

E persino questa sarebbe probabilmente una esagerazione, perché una parte significativa delle importazioni della Cina sono componenti delle sue esportazioni, e non dipendono dalla domanda interna cinese.

Come ho detto i collegamenti meccanici tra i flussi commerciali sono relativamente piccoli, sebbene essi potrebbero crescere in modo più significativo per alcuni paesi vicini alla Cina (ma sarebbero più piccoli per gli Stati Uniti).

I prezzi delle materie prime sarebbero una storia potenzialmente più grande. La Cina è un importante consumatore di materie prime – ad esempio, circa l’11 per cento del consumo mondiale di petrolio.  E poiché l’offerta e la domanda di materie prime tendono ad essere relativamente insensibili nel breve periodo ai prezzi, una brusca caduta nella domanda cinese potrebbe portare a brusche cadute nei prezzi delle materie prime. Dunque la “bicicletta Ponzi” potrebbe costituire un problema serio per i paesi che vendono materie prime, che essi vendano o meno alla Cina, più di quanto non sarebbe per coloro che esportano in Cina [2].

Infine, la politica e le relazioni internazionali. In questo caso, ovviamente, non ho alcun genere di competenza. Ma è evidente che, in primo luogo, il regime politico cinese è notevole, persino considerati gli annali della storia, per l’ipocrisia della sua posizione: ufficialmente sta costruendo il futuro socialista, in pratica è ben insediato in un’ Età dell’Oro di un capitalismo clientelare. Da dove proviene, dunque, la legittimazione del regime? Principalmente dal successo economico. Se essa vacilla, cosa accadrà dopo?

E se per davvero volete diventare nervosi, pensate a quello che hanno spesso fatto nel passato i governi che cinicamente cercano di distrarre la loro popolazione dai fallimenti interni. Magari, un tintinnare di sciabole su qualche isola da qualche parte? [3]

In questo caso non c’è alcuna morale finale, a parte il fatto che probabilmente vorreste concentravi maggiormente sugli effetti indiretti, piuttosto che su quelli diretti del moltiplicatore delle esportazioni [4].

Infine, un’ultima digressione. Naturalmente, stavo leggendo Michael Pettis [5], che si è occupato per un po’ di tempo di molti temi che io ho sollevato. Ma negli ultimi due giorni ho avuto qualche problema per accedere sl suo lavoro; come questa mattina, quando mi sono trovato dinanzi a questa pubblicità …. [6]

Si considerino tutti gli scherzi che si possono fare sulla corruzione cinese, sullo ‘stimulus’ etc.


[1] Brasile, Russia, India e Cina.

[2] Ovvero, più di quello che è stato considerato al primo punto, come conseguenza di una diminuzione delle importazioni cinesi.

[3] Se non capisco male, il riferimento potrebbe essere a tentazioni del Giappone di Shinzo Abe.

[4] Per il concetto di “multiplier” vedi le note finali della traduzione.

[5] Michael Pettis è docente alla Guanghua School of Management della Università di Pechino, dove è specializzato sui mercati finanziari della Cina. Dal 1992 al 2001 ha insegnato alla Columbia University. E’ anche membro di una società finanziaria sino-francese con sede in Shanghai.

 

[6] Nel testo compare a quel punto questa curiosa inserzione pubblicitaria, che offre a Krugman l’estro per una battuta sullo ‘stimulus’ !

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