Blog di Krugman

Questa volta era prevedibile (23 luglio 2013)

 

 

 

 

July 23, 2013, 4:04 am

This Time Was Predictable

Bruce Bartlett continues his interesting series on inflation panic, this time focusing on the economists and politicians who keep predicting runaway inflation year after year after year, and never seem to acknowledge having been wrong. I thought his analogy between Shadowstats and the “unskewed” polls predicting a Romney victory was especially apt.

But I do have a slight quarrel with Bartlett, who despite everything, I think, gives the inflationistas too much credit. First,he writes:

When the most recent recession began in December 2007, there was no reason at first to believe that it was any different from those that have taken place about every six years in the postwar era.

Actually, there was. Long before Reinhart and Rogoff circulated their piece on the aftermath of financial crises — an excellent piece of work, not to be confused with their unfortunately influential debt paper — it was already obvious to many people that we were looking at a “postmodern” recession like 1990-91 or 2001, which was likely to be followed by an extended jobless recovery. That is, this was not going to be a Fed-generated slump like 1981-82, which would be followed by a quick rebound once the Fed relented; it was a case of private-sector overreach, and was likely to go on for a long time.

Bartlett then goes on to say

During the inflation of the 1970s, most economists became convinced that if the Fed adds too much money and credit to the financial system it will inevitably cause prices to rise. Since the increase in the money supply in 2008 and 2009 was unprecedented, many economists reacted fearfully to the Fed’s actions.

Given the order of magnitude of the increase in bank reserves, from virtually nothing to more than $1 trillion almost overnight and now to more than $2 trillion, it was not unreasonable to be concerned about the potential for Zimbabwe-style hyperinflation.

Yes, it was unreasonable. If you had paid any attention to Japan, or to the revived theory of the zero lower bound (starting here) inspired by Japan’s experience, you knew full well that the Fed’s expanded balance sheet was mainly going to just sit there.

And that, in turn, gets at the true sin of the inflationphobes. They were wrong; well, that happens to everyone now and then. But the question is what you do when events prove your doctrine wrong — especially when they unfold almost exactly the way people with a different doctrine predicted. Do you admit that maybe your premises were misguided? Do you admit that maybe those other guys were on to something? Or do you just keep predicting the same thing, never admitting your past mistakes?

Guess what the answer turned out to be.

 

Questa volta era prevedibile

 

Bruce Bartlett continua la sua interessante serie sulla “inflazionefobia” [1], questa volta concentrandosi sugli economisti ed i politici che continuano a prevedere inflazione fuori controllo anno dopo anno e non sembrano mai riconoscere di aver avuto torto. Ho pensato che la sua analogia con Shadowstats [2] e con i sondaggi “non distorti” che prevedevano una vittoria di Romney fosse particolarmente appropriata.

Ma ho un leggero dissenso con Bartlett, penso che, nonostante tutto, dia troppo credito agli inflazionisti. All’inizio, egli scrive:

“Quando ebbe inizio la più recente recessione nel Dicembre del 2007, non c’era inizialmente alcuna ragione per credere che ci fosse una qualche differenza con quelle che erano avvenute quasi ogni sei anni nel periodo postbellico.”

In effetti, c’era. Molto prima che Reinhart e Rogoff mettessero in circolazione un loro pezzo sulle conseguenze delle crisi finanziarie – un eccellente lavoro, da non confondersi con il loro sfortunatamente influente saggio sul debito – era già evidente per molti che avevano osservato le recessioni “postmoderne” come quella del 1990-91 o del 2001, che fosse probabile che venissero seguite da prolungate riprese senza posti di lavoro. Ovvero, quella non era destinata ad essere una crisi del genere di quelle provocate dalla Fed nel 1981-82, che venivano seguite da un rapido rimbalzo una volta che la Fed si ammorbidiva; era un caso di eccessi nel settore privato, ed era probabile che proseguisse per un lungo periodo.

Bartlett poi prosegue dicendo:

“Durante l’inflazione degli anni ’70 gran parte degli economisti si vennero convincendo che se la Fed avesse aggiunto troppo denaro e credito nel sistema finanziario, ciò avrebbe inevitabilmente provocato un aumento dei prezzi. Dal momento che l’incremento nell’offerta di denaro nel 2008 e nel 2009 fu senza precedenti, molti economisti reagirono con paura alle azioni della Fed.

Dato l’ordine di grandezza delle riserve bancarie, virtualmente da zero sino a più di quasi mille miliardi di dollari ‘overnight’ [3]ed ora a più di duemila miliardi di dollari, non era irragionevole essere preoccupati di una iperinflazione sul modello dello Zimbabwe.”

Si, era irragionevole. Se aveste prestato una qualche attenzione al Giappone, od alla resuscitata teoria del ‘limite inferiore di zero’ (che parte da lì [4]) ispirata dall’esperienza del Giappone,  avreste compreso perfettamente che l’espansione degli equilibri contabili della Fed era principalmente destinata a fermarsi a quel punto.

Con il che, a sua volta, si arriva al vero peccato degli “inflazionofobi”. Essi sbagliarono, ed in effetti questo talvolta succede. Ma la domanda è cosa si fa quando i fatti provano che la vostra teoria è sbagliata – in particolare quando quei fatti quasi esattamente si svolgono nel modo in cui le persone con una diversa teoria avevano previsto. Si ammette che forse le vostre premesse erano fuorvianti? Si ammette che forse quelle altre persone parlavano con un certo fondamento? Oppure si continua a prevedere le stesse cose, senza mai riconoscere gli errori passati?

Immaginatevi la risposta.


[1] E’ il titolo dell’articolo in più puntate apparso sul New York Times. Bruce Bartlett è stato consulente nei Governi Reagan e Bush (padre), nonché collaboratore del congressista repubblicano Ron Paul.

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[2] Un sito di analisi economiche e statistiche; autore John William.

[3] Un deposito bancario è overnight se deve essere estinto il primo giorno lavorativo successivo a quello in cui è stato costituito, sicché la sua durata è di una sola notte. I depositi overnight sono uno dei tipi principali di depositi interbancari, quei depositi che, anziché essere fatti da un cliente ad una banca, sono fatti da una banca ad un’altra o alla banca centrale. Le banche che effettuano tali depositi investono a brevissima scadenza le loro eccedenze di liquidità, mentre le banche che li ricevono possono supplire a temporanee carenze, le une e le altre derivanti da squilibri nella distribuzione delle riserve libere. Attualmente queste operazioni avvengono per lo più nell’ambito di appositi mercati telematici organizzati, ma possono avvenire anche in base ad accordi bilaterali diretti tra gli operatori (over the counter). L’italiano e-MID, creato nel 1990 e privatizzato nel 1999, è stato il primo mercato telematico organizzato per i depositi interbancari ed è tuttora il mercato monetario di riferimento in Europa (Wikipedia, edizione italiana).

[4] Nella connessione un post del 2010 di Krugman, con il riferimento al suo studio del 1998. Per la teoria dello ‘zero lower bound” vedi le note sulla traduzione.

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