Blog di Krugman

Ridateci la macroeconomia di una volta (25 luglio 2013)

 

 

July 25, 2013, 8:14 am

Gimme That Old-Time Macroeconomics

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Historical Statistics of the United States, Millennial Edition; Bureau of Labor Statistics

Both Steve Benen and Ed Kilgore get annoyed at fellow journalists complaining that there aren’t any “new ideas” in Obama’s latest. But why should there be?

It was clear early on that this was a crisis very much in the mold of previous financial crises. Once you realized that financial instruments issued by shadow banks — especially repo, overnight loans secured by other assets — were playing essentially the same role as deposits in previous banking crises, it was clear that we already had all the tools we needed to make sense of what was going on. And we also had all the tools we needed to formulate an intelligent policy response — all the tools we needed, that is, except a helpful economics profession and policymakers with a good sense of whose advice to take.

As Mark Thoma memorably remarked, new economic thinking appeared to consist largely of rereading old books. Brad DeLong says that it was all in Walter Bagehot; I think that this is true of the financial crisis of 2008, but that to understand the persistence of the slump we need Irving Fisher from 1933 and John Maynard Keynes from 1936. But anyway, this is not new terrain.

True, there have been some sort-of new ideas in the crisis: the idea that cutting spending is actually expansionary (although Herbert Hoover was all over that), the notion that there is a magic anti-growth cliff at 90 percent debt/GDP. But these new ideas were wrong, and have collapsed in the face of the evidence.

Maybe we need new ways to phrase our arguments; that’s what Obama was doing yesterday, and I’m still trying to figure out whether his new take is useful. But the amazing thing about this slump has been how utterly comprehensible it is — and the absolute refusal of so many people, economists and not, to accept a framework that has worked just fine.

 

 

Ridateci la macroeconomia di una volta

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Statistiche Storiche degli Stati Uniti, Edizione del Millennio; Bureau of Labor Statistics [1]

 

Sia Steve Benen che Ed Kilgore si sono irritati con colleghi giornalisti per la lamentela sulla assenza di “nuove idee” nell’ultimo discorso di Obama. Ma perché dovrebbero esserci?

Era chiaro sin dagli inizi che questa fosse una crisi molto sul modello delle precedenti crisi finanziarie. Una volta che si era compreso che gli strumenti finanziari emessi dalle ‘banche ombra’ – specialmente i repo e i prestiti overnight garantiti da altri assets – stavano giocando esattamente lo stesso ruolo dei depositi nelle precedenti crisi bancarie, era chiaro che avevamo già tutti gli strumenti di cui c’era bisogno per afferrare quello che stava accadendo. Ed avevamo anche tutti gli strumenti necessari per formulare una risposta politica intelligente – tutti gli strumenti di cui avevamo bisogno, cioè, a parte una disciplina economica che aiutasse ed uomini politici capaci di intendere a quali consigli affidarsi.

Come Mark Thoma notò in modo memorabile, in nuovo pensiero economico pareva in gran parte consistere nella rilettura di vecchi libri. Brad DeLong dice che era tutto in Walter Bagehot; io credo che questo sia vero per la crisi finanziaria del 2008, ma per capire la persistenza della recessione abbiamo bisogno dello Irving Fisher del 1933 e di John Maynard Keynes del 1936. Ma in ogni caso non è un terreno nuovo.

E’ vero, ci sono state nella crisi alcune specie di nuove idee: l’idea che tagliare la spesa pubblica sia effettivamente espansivo (sebbene Herbert Hoover non era altro), il concetto che ci sia un magico precipizio contro la crescita al 90 per cento del rapporto debito/PIL. Ma queste nuove idee erano sbagliate e sono saltate dinanzi ai fatti.

Forse abbiamo bisogno di modi nuovi per esprimere i nostri argomenti; è quello che Obama stava facendo ieri, ed io sto ancora cercando di immaginare se il suo nuovo tentativo sia utile. Ma la cosa sorprendente a proposito di questa recessione è stata quanto essa fosse totalmente comprensibile – ed il rifiuto assoluto di così tante persone, economisti e no, di accettare uno schema che aveva proprio ben funzionato.



[1] Il diagramma confronta l’andamento del tasso di disoccupazione negli Stati Uniti nei sei anni della crisi del 1892-1898 e nei sei anni della crisi 2007-2013, che, come si vede, è identico (si parte da una analoga condizione di ‘piena occupazione’, con un tasso al 4,5%, rapidamente si arriva oltre il 9% con i primi due anni della crisi, molto lentamente si scende nei secondi quattro anni, per collocarsi attorno  all’8 per cento ancora al sesto anno).

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