July 25, 2013, 2:56 pm
Household debt as % of personal disposable income
I haven’t commented so far on the president’s economic speech, except to mock the journalists demanding “new ideas” for a very old-fashioned economic crisis. And as many people have pointed out, there weren’t any actual policy proposals.
What we got instead was a narrative, which is no small thing, since it was very much not the narrative that has been dominating Washington discourse — including Obama’s own pronouncements — for three and a half years. Gone was the deficit/Grand Bargain obsession; instead, this was about a depressed economy, suffering mainly from inadequate demand, and how to fix it.
Within the demand-side camp there is, however, a somewhat subtle and polite but non-trivial divide; Obama mainly came down on one side of that divide, although whether this reflects conviction or political strategy (or simply the vagaries of speechwriting) is less clear.
What we all agree on is that this crisis was a-building for a long time, especially through rising household debt, as shown above. But why was household debt rising?
The president came down pretty much for what we might call a Stiglitzian view (although it’s widely held): debt was driven by rising inequality. The rich were taking an ever-larger share of the pie, but not spending to match, while working Americans took on ever more debt to make ends meet.
What’s the alternative? Minsky: debt exploded because the Great Depression was receding into the mists of forgetfulness, and both lenders and borrowers — enabled and encouraged by financial deregulation — forgot the dangers of leverage.
Personally, I’m more of a Minskyite than a Stiglitzian, although not 100%; although things like subprime lending were, I believe, mainly about forgetting the past, Elizabeth Warren’s old work on bankruptcy pretty clearly shows that at least some families took on excess debt as a result of rising inequality. But I’m inherently suspicious of any story that makes economics a morality play in which all bad results come from things you consider bad for other reasons too; making soaring inequality the cause of our macro woes too is a bit too, well, comfortable for us liberals.
Also, there’s a danger in the Stiglitzian approach, namely that people might conclude that fixing the short-run shortfall in demand must wait until we fix the long-run problem of inequality, which is going to be very hard and a long time coming. We need stimulus, or at least an end to austerity, now, even if restoring a middle-class society isn’t going to happen any time soon.
I wouldn’t make too much of these differences; in practice Stiglitzians and Minskyites agree on what should be done,and it’s good to see the president finally talking about the right things. Still, it is interesting to see where he put his emphasis.
Stiglitz, Minsky ed Obama
Debito delle famiglie come % del reddito personale disponibile
Non ho sinora commentato il discorso economico del Presidente, se non per ironizzare con i giornalisti che chiedono “nuove idee” per una crisi economica con caratteri molto antichi. E, come hanno sottolineato in molti, non ci sono state effettive proposte politiche.
Quello che abbiamo invece avuto è stato un racconto, che non è una piccola cosa, dal momento che si è trattato di un racconto del tutto diverso da quello che ha dominato il dibattito politico a Washington per tre anni e mezzo – inclusi i pronunciamenti di Obama. Uscita di scena l’ossessione sul deficit e sulla Grande Intesa; questo racconto ha piuttosto riguardato una economia depressa, principalmente sofferente per una domanda inadeguata, e sul modo in cui farvi fronte.
All’interno dello schieramento dal lato della domanda, tuttavia, appare in qualche modo una divisione sottile e garbata ma non banale; Obama fondamentalmente si schiera da un lato di quella divisione, sebbene sia meno chiaro se questo rifletta una convinzione od una strategia politica (o semplicemente le stravaganze di chi scrive i discorsi).
Quello su cui tutti concordiamo è che quella crisi è stata una costruzione di lungo periodo, specialmente attraverso una crescita del debito delle famiglie, come mostrato nel diagramma sopra. Ma perché quella crescita del debito delle famiglie?
Il Presidente si colloca in buona misura su quello che potremmo chiamare un punto di vista “stiglitziano” [1](per quanto sia fatto proprio da molti): il debito è stato spinto dalla ineguaglianza crescente. I ricchi venivano facendo propria una fetta sempre più larga della torta, ma non spendevano conseguentemente, mentre gli americani che lavorano si impegnavano in un debito sempre maggiore per tirare avanti in qualche modo.
Quale è l’alternativa? E’ Minsky [2]: ovvero il debito è esploso perché la Grande Depressione era arretrata nelle nebbie del dimenticatoio, e sia i prestatori che i creditori – autorizzati ed incoraggiati dalla deregolamentazione finanziaria – avevano dimenticato i pericoli di un crescente rapporto di indebitamento.
Personalmente, io sono più un “minskyano” che non uno “stiglitziano”, sebbene non al 100%; per quanto creda che cose come i prestiti subprime abbiano principalmente a che fare con il dimenticare il passato, il vecchio lavoro di Elizabeth Warren sulla bancarotta mostra chiaramente che almeno qualche famiglia si è affidata ad un debito eccessivo come conseguenza di una diseguaglianza crescente. Ma io sono intimamente sospettoso di ogni storia che faccia diventare l’economia una specie di racconto morale, nel quale tutti i cattivi risultati derivano da cose che si considerano deplorevoli anche per altre ragioni; diciamo così, far diventare il picco dell’ineguaglianza la causa dei nostri guai economici è un po’ troppo facile per noi progressisti.
Inoltre, c’è un pericolo nell’approccio stiglitziano, e precisamente che la gente potrebbe concludere che riparare la caduta nel breve termine della domanda possa attendere, nel mentre ci applichiamo a riformare i problemi di lungo periodo dell’ineguaglianza, la qual cosa sarebbe destinata ad essere assai difficile ed a chiedere tempi lunghi. Noi abbiamo bisogno adesso di misure di sostegno, o almeno di porre fine all’austerità, anche se ripristinare una società della classe media non è cosa destinata ad accadere nel breve periodo.
Non vorrei dare troppa importanza a queste differenze; in pratica gli “stiglitziani” ed i “minskyani” sono d’accordo su quello che si dovrebbe fare, ed è bene vedere che il Presidente finalmente parla di queste cose giuste. Eppure, è interessante vedere dove ponga la sua enfasi.
[1] Joseph Eugene Stiglitz (nato I 9 febbraio del 1943) è un economista Americano e professore alla Columbia University. Ha ottenuto il Premio Nobel in Scienze economiche nel 2001. E’ stato vicepresidente anziano e capoeconomista alla Banca Mondiale e Presidente del Consiglio dei Consulenti economici durante la Presidenza Clinton. Nel 2009 venne nominato dal Presidente delle Nazioni Unire come presidente di una commissione per la riforma del sistema monetario e finanziario internazionale. E’ il caso di aggiungere che questa biografia è assolutamente sintetica (un esempio per molti: dal 2003 è anche membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali).
[2] Hyman Philip Minsky (Chicago, 23 settembre 1919 – 24 ottobre 1996) è stato un economista statunitense, collocabile vicino al filone dei post-keynesiani, noto per la sua teoria dell’instabilità finanziaria e sulle cause delle crisi dei mercati. Nel suo libro principale (Keynes e l’instabilità del capitalismo, 2008) ha studiato i processi di finanziarizzazione dell’economia, della creazione di bolle speculative e delle successive crisi, come fenomeni caratteristici delle società capitalistiche, alla luce di una lettura keynesiana del funzionamento dei meccanismi economici. Probabilmente è la figura principale di economista keynesiano degli ultimi decenni, ampiamente sottovalutato, sino almeno alla crisi finanziaria del 2008. Un economista italiano che sottolineò la sua importanza fu Silvano Andriani, nel suo importante “L’ascesa della finanza”, del 2006. Krugman stesso ha varie volte scritto di questa sottovalutazione, in un certo senso per il passato ammettendola anche da parte sua. In occasione del Convegno di Berlino uno dei principali esponenti di questo neo-minskysmo, Steve Keen, polemizzò abbastanza aspramente con Krugman, provocando alcuni suoi interventi (“Minsky e la metodologia”, post del 27 marzo 2012; “Misticismo bancario”, post sempre del 27 marzo 2012; “Misticismo bancario. Continuazione”, post del 30 marzo 2012).
By mm
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