July 5, 2013, 8:40 am
I’ve been having a strange reaction to recent news about economic policy. Stuff is happening: the Fed bungled its communications, doing its bit to undermine modest economic progress; the European Commission is sorta kinda relaxing its demands for austerity; the Bank of England appears to have issued forward guidance that it’s going to issue forward guidance; and so on. But with the possible exception of Abenomics, it’s all pretty small-bore stuff.
And that’s disappointing. We had what felt like an epic intellectual debate over austerity economics, which ended, insofar as such debates ever end, with a stunning victory for the anti-austerity side — and hardly anything changed in the real world. Meanwhile, the pain caucus has found a new target, inventing dubious reasons for monetary tightening. And mass unemployment goes on.
So how does this end? Here’s a depressing thought: maybe it doesn’t.
True, something could come along — a new technology that induces lots of investment, a war, or maybe just a sufficient accumulation of “use, decay, and obsolescence”, as Keynes put it. But at this point I have real doubts about whether there will be events that force policy action.
First of all, I think many of us used to believe that sustained high unemployment would lead to substantial, perhaps accelerating deflation — and that this would push policymakers into doing something forceful. It’s now clear, however, that the relationship between inflation and unemployment flattens out at low inflation rates. We can probably have high unemployment and stable prices in Europe and America for a very long time — and all the wise heads will insist that it’s all structural, and nothing can be done until the public accepts drastic cuts in the safety net.
But won’t there be an ever-growing demand from the public for action? Actually, that’s not at all clear. While there is growing “austerity fatigue” in Europe, and this might provoke a crisis, the overwhelming result from U.S. political studies is that the level of unemployment matters hardly at all for elections; all that matters is the rate of change in the months leading up to the election. In other words, high unemployment could become accepted as the new normal, politically as well as in economic analysis.
I guess what I’m saying is that I worry that a more or less permanent depression could end up simply becoming accepted as the way things are, that we could suffer endless, gratuitous suffering, yet the political and policy elite would feel no need to change its ways.
Oh, and have a nice day.
Sulla economia politica della stagnazione permanente
Sto maturando una strana reazione alle recenti notizie di politica economica. Le cose che succedono: la Fed pasticcia la sua comunicazione, mettendoci del suo per mettere a repentaglio il modesto progresso dell’economia; la Commissione Europea sta in qualche modo attenuando le sue richieste di austerità; la Banca di Inghilterra sembra aver emesso un indirizzo avanzato secondo il quale starebbe per emettere un indirizzo avanzato; e così via. Ma, con la possibile eccezione della politica economica di Abe, è tutta roba modesta e fastidiosa.
Ed è deludente. Abbiamo avuto quello che sentivamo come un dibattito epico sull’economia dell’austerità, che si è concluso, nella misura in cui dibattiti del genere si possono concludere, con una stupefacente vittoria dello schieramento contrario all’austerità – e nel mondo reale le cose cambiano a malapena. Nel frattempo, il partito della sofferenza ha trovato un nuovo obbiettivo, inventandosi ragioni dubbie per una stretta monetaria. E la disoccupazione di massa va avanti.
Dunque, quando mai finirà? Ecco un pensiero deprimente: forse mai.
E’ vero, qualcosa potrebbe venire avanti – una nuova tecnologia che induca un quantità di investimenti, una guerra, o forse soltanto, come si esprime Keynes, un accumulo di “uso, decadenza ed obsolescenza”. Ma a questo punto ho reali dubbi che accadranno fatti che costringeranno all’iniziativa politica.
Prima di tutto, penso che molti di noi siano abituati a ritenere che una prolungata alta disoccupazione porterebbe ad una sostanziale e forse accelerata deflazione – e che questo costringerebbe gli operatori politici a fare qualcosa di energico. Ora è chiaro, tuttavia, che la relazione tra inflazione e disoccupazione si appiattisce con tassi di inflazione bassi. E’ probabile che in Europa ed in America si possano avere una disoccupazione elevata e prezzi stabili per un lungo periodo – e tutti quei saggi cervelloni insisteranno che sono tutti fenomeni strutturali, e che niente si può fare finché il pubblico non accetta drastici tagli nelle reti della sicurezza sociale.
Ma non ci sarà una richiesta sempre più forte da parte della opinione pubblica, per una iniziativa? Effettivamente, non è affatto chiaro. Mentre in Europa c’è una crescente “spossatezza da austerità” che potrebbe provocare una crisi, il risultato inequivocabile di studi politici negli Stati Uniti è che il livello della disoccupazione incide assai modestamente sulle elezioni; quello che conta è il tasso dei cambiamenti nei mesi che precedono le elezioni. In altre parole, una elevata disoccupazione potrebbe finire col costituire le nuova norma, nella politica come nell’analisi economica.
In sostanza sto dicendo che, per il modo in cui le cose procedono, sono preoccupato che una più o meno permanente depressione potrebbe finire con l’essere accettata, che potremmo avere un patimento senza fine, un patimento gratuito, e tuttavia i gruppi dirigenti che gestiscono i rapporti tra le forze politiche e le strategie operative potrebbero non sentire alcun bisogno di cambiar strada.
E, infine, passate una buona giornata!
By mm
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