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Un copione già visto, nella versione della politica monetaria e della finanza pubblica (24 luglio 2013)

 

July 24, 2013, 1:21 pm

Been There, Done That: Monetary and Fiscal Policy Edition

Noah Smith has a nice takedown of Martin Feldstein’s latest, which is the claim that the reason a vast expansion of the Fed’s balance sheet has produced no inflationary effect at all is the 0.25 percent — that’s right, 0.25 percent — rate of interest the Fed is paying on excess reserves.

Even if this were right, wouldn’t it suggest that the Fed’s expansion poses no inflationary risk? I mean, if all that alleged pressure can be completely contained with a 1/4 percent interest rate, how big a problem can it be?

But it’s not right, as Noah shows logically; and of course the example of Japan, which did massive QE without paying interest on reserves, and saw nothing happen, reinforces the point.

The remarkable thing is the desperation with which inflationistas keep conjuring up new explanations for a result –the failure of large increases in the monetary base to have an inflationary impact — that was fully predicted, in advance, by simple economic models. Instead of saying that a simple IS-LM framework, or a New Keynesian analysis along the same general lines, has worked very well — and that whatever other model they were using failed the test — they keep coming up with excuses. It’s Obamacare! It’s interest on reserves! It’s the decline of traditional marriage! OK, they haven’t used that last one yet, but give them time.

And let me admit that I’m especially exasperated — actually, about the fiscal as well as monetary arguments — because I went over all this ground fifteen years ago.

Look, please, at my Brookings Paper on the liquidity trap (pdf), especially pp. 155-159. (Those are pages in the volume — the paper isn’t that long). You’ll find me explaining that once you’re up against the zero lower bound:

1. Changes in government spending are still effective, with a multiplier of 1, even with full Ricardian equivalence.

2. Unless you break that equivalence, it doesn’t matter how government spending is financed; “helicopter money” makes no difference.

3. Even very large increases in the monetary base will have no effect if seen as temporary.

4. Large increases in the base are likely to show up partly in increased cash holdings, partly in a large rise in excess bank reserves; this rise in excess reserves tells you nothing about whether the problem lies in the banking system, since it will happen even if the banks are perfectly OK.

So you can see why it was so frustrating to see reputable economists get all of these things wrong in the early years of the crisis; and some of them seem determined to keep getting them wrong even now.

Look, we have a framework here that has been a stunning success in practice. Why won’t you guys admit it?

 

Un copione già visto [1], nella versione della politica monetaria e della finanza pubblica.

 

Noah Smith ha una bella annotazione sull’ultimo articolo di Martin Feldstein, che è la tesi per la quale la ragione della totale mancanza di effetti inflazionistici   da parte dell’ampia espansione del bilancio patrimoniale delle Fed è il tasso di interesse dello 0,25 per cento – è corretto, 0,25 per cento – che la Fed sta pagando sulle riserve in eccesso.

Anche se questo fosse giusto, non suggerirebbe che l’espansione della Fed non costituisce alcun rischio inflazionistico? Voglio dire, se tutta quella pretesa pressione può essere interamente contenuta con un tasso di interesse di ¼ di punto percentuale, come può trattarsi di un gran problema?

Ma non è giusto, come Noah mostra logicamente; e naturalmente l’esempio del Giappone, che mise in atto una massiccia “facilitazione quantitativa” senza pagare interessi sulle riserve, e non vide accadere niente, rafforza quel punto.

L’aspetto considerevole è la disperazione con la quale gli inflazionisti continuano a congetturare nuove spiegazioni per un risultato – il fatto che gli ampi incrementi nella base monetaria non abbiano avuto impatti inflazionistici – che era stato ampiamente previsto in anticipo, da semplici modelli economici. Piuttosto che ammettere che un semplice schema IS-LM [2], od una analisi neokeynesiana lungo la stessa generale falsariga, abbia funzionato molto bene – e che qualsiasi altro modello sia stato da loro utilizzato abbia fallito la prova – continuano a venir fuori con scuse. È la riforma della assistenza di Obama! Sono gli interessi sulle riserve! E’ il declino del matrimonio tradizionale! Va bene, quest’ultima non l’hanno ancora usata, ma dategli tempo.

E fatemi dire che sono in particolar modo esasperato – in effetti, sugli argomenti relativi alla spesa pubblica come su quelli monetari – perché considerammo tutte queste cose quindici anni orsono.

Si guardi, per favore, il mio Brookings Paper [3]sulla trappola di liquidità (in connessione in pdf), particolarmente alle pagine 155-159 (sono la pagine dentro quel volume, il saggio non è così lungo). Ci troverete la spiegazione per la quale, una volta che si finisca contro il limite inferiore dello zero [4]:

1 . i cambiamenti nella spesa pubblica sono ancora efficaci, con un moltiplicatore pari ad 1, anche in condizioni di piena equivalenza ricardiana [5].

2 . A meno che non si rompa quella equivalenza, non ha importanza come è finanziata la spesa pubblica: buttar giù soldi da un elicottero non fa alcuna differenza.

3 . Persino incrementi molto ampi nella base monetaria non avranno alcun effetto se saranno considerati temporanei.

4 . Ampi incrementi nella base monetaria è probabile che si manifestino in parte come aumentate disponibilità di contante, in parte come ampia crescita di riserve in eccesso da parte delle banche; questa crescita delle riserve in eccesso non ci dice niente sul fatto che il problema sia nel sistema bancario, dal momento che ciò accadrà anche se le banche sono interamente a posto.

Potete dunque constatare perché sia stato così frustrante vedere economisti rispettabili fare tutti quegli errori nei primi anni della crisi; ed alcuni di loro paiono determinati a continuare a farli anche adesso.

Vedete, abbiamo uno schema che in pratica ha avuto un successo impressionante. Perché mai, cari signori, non lo volete riconoscere?


[1] Questo è il senso di “been there, done that”, da non confondersi con “detto, fatto” che è tutt’altro significato. Vedi WordRefrence Forum del novembre 2006.

[2] Vedi le note sulla traduzione.

[3] Il saggio sulla serie dei “Brookings”, che è il nome di una Fondazione culturale e penso derivi da un nome proprio.

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[4] Per !zero lower bound” vedi le note sulla traduzione.

[5] Anche per questo, vedi le note sulla traduzione.

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