Blog di Krugman

Banche e base monetaria (per esperti) (16 agosto 2013)

 

August 16, 2013, 11:39 am

Banks and the Monetary Base (Wonkish)

Cullen Roche is unhappy with the way I treat monetary expansion in my old Japan paper (pdf); or actually he’s unhappy with the way I talk about it. I’m actually kind of reluctant to even get into this, because any discussion of these issue brings out the people who believe that they have discovered the hidden secrets of the monetary universe, somehow missed by generations of economists. But here goes anyway.

When I think about the role of banks in the economy, I generally rely on two models, which are both partial pictures but add up to a reasonable overall approach. One is Diamond-Dybvig (pdf), which portrays banks as providers of liquidity services, and also shows how bank runs can happen. The other is Tobin-Brainard (pdf), which portrays the financial system in terms of a portfolio equilibrium, in which each sector — households, banks, firms, etc. — choose the mixes of assets and liabilities they want to hold, and asset prices adjust to make these choices consistent.

What I did in that old Brookings Paper was a quick-and-dirty merger of these two approaches, in which I got the monetary base into the story in the form of required reserves held by banks. That was a strategic simplification, and an unrealistic one — almost all of the monetary base is actually held in the form of currency, not bank reserves. But it was obvious to me that it didn’t really make any difference for the question at hand.

And how did I know that? Basically from Tobin-Brainard, who showed that whether banks hold monetary base in the form of reserves makes no fundamental difference to the monetary mechanism, as long as somebody wants to hold base money — and the public does, in the form of currency.

Actually, Tobin-Brainard is to many of the controversies that swirl around banks and money as IS-LM is to controversies about interest-rate determination. When we ask, “Are interest rates determined by the supply and demand of loanable funds, or are they determined by the tradeoff between liquidity and return?”, the correct answer is “Yes” — it’s a simultaneous system.

Similarly, if we ask, “Is the volume of bank lending determined by the amount the public chooses to deposit in banks, or is the amount deposited in banks determined by the amount banks choose to lend?”, the answer is once again “Yes”; financial prices adjust to make those choices consistent.

Now, think about what happens when the Fed makes an open-market purchase of securities from banks. This unbalances the banks’ portfolio — they’re holding fewer securities and more reserve — and they will proceed to try to rebalance, buying more securities, and in the process will induce the public to hold both more currency and more deposits. That’s all that I mean when I say that the banks lend out the newly created reserves; you may consider this shorthand way of describing the process misleading, but I at least am not confused about the nature of the adjustment.

And the crucial thing is that there are no puzzles or misunderstandings here. Tobin and Brainard got it all straight half a century ago, and anyone who thinks that there’s a big flaw in their reasoning is almost surely just getting caught up in his own word games.

 

Banche e base monetaria (per esperti)

 

Cullen Roche è scontento per il modo in cui tratto l’espansione monetaria nel mio vecchio saggio sul Giappone (disponibile in pdf [1]); o, per la verità, è scontento del modo in cui ne parlo. Effettivamente sono un po’ riluttante a farmi prendere da questo tema, perché ogni dibattito su di esso porta allo scoperto persone che pensano di aver scoperto i segreti nascosti dell’universo monetario, in qualche modo sfuggiti a generazioni di economisti. Ma in questo caso andiamo avanti comunque.

Quando io penso al ruolo delle banche nell’economia, in generale mi baso su due modelli, che sono entrambi rappresentazioni parziali ma portano ad un ragionevole approccio complessivo. Uno è quello di Diamond-Dybvig (disponibile in pdf) che rappresenta le banche come fornitrici di servizi di liquidità, e mostra anche come possono avvenire gli ‘assalti agli sportelli’. L’altro è quello di Tobin-Brainard (disponibile in pdf), che ritrae il sistema bancario in termini di equilibrio di portafoglio,  per il quale ogni settore – famiglie, banche, imprese etc. – sceglie le combinazioni di assets e di passività che vuol detenere, ed i prezzi degli assets operano nel senso di rendere queste scelte coerenti.

Quello che io feci in quel vecchio Brookings Paper fu una sbrigativa fusione di quei due approcci, nella quale inserivo la base monetaria nella mia narrativa nella forma delle riserve richieste detenute dalle banche. Si trattava di una semplificazione strategica, peraltro non realistica – quasi tutta la base monetaria è effettivamente detenuta nella forma di contante, non di riserve bancarie. Ma per me era chiaro che questo non faceva alcuna differenza per il tema che stavo trattando.

E come sapevo ciò? Fondamentalmente in conseguenza del lavoro di Tobin-Brainard, che mostrava che se le banche detengono la base monetaria nella forma di riserve, questo non induce alcuna differenza di fondo nel meccanismo monetario, fin quando c’è qualcuno che vuole possedere la basa monetaria – che è quello che vuole il pubblico, nella forma di contante.

In verità, il lavoro di Tobin-Brainard riguarda molte delle controversie che ruotano attorno alla banche ed alla moneta così come il modello IS-LM è relativo alle controversie sulla determinazione dei tassi di interesse. Quando ci chiediamo: “I tassi di interesse sono determinati dall’offerta e dalla domanda di fondi concedibili in prestito, oppure sono determinati dallo scambio tra liquidità e rendimenti?”, la risposta corretta è “Sì” – si tratta di un sistema simultaneo.

In modo simile, se ci chiediamo: “Il volume dei prestiti bancari è determinato dall’ammontare che il pubblico sceglie di depositare nelle banche, oppure è la somma depositata nelle banche che è determinata dall’ammontare che le banche scelgono di dare a prestito?”, la risposta è ancora una volta “Sì”; i prezzi finanziari operano nel senso di rendere queste scelte coerenti.

Ora, si pensi a quello che accade quando la Fed fa un acquisto di titoli a mercato aperto [2] dalle banche. Esso provoca un squilibrio nei portafogli delle banche – detengono meno titoli e più riserve – ed esse procederanno a cercare un riequilibrio, acquistando più titoli, e in quel processo il pubblico sarà indotto a detenere sia più denaro corrente che più depositi. Questo è tutto quello che io intendo quando dico che le banche danno in prestito all’esterno le riserve di nuova creazione; potete considerare questo modo semplificato di descrivere il processo come fuorviante, ma io almeno non sono confuso sulla natura dell’adattamento.

E l’aspetto cruciale è che non ci sono, in questo caso, misteri o fraintendimenti. Tobin e Brainard compresero tutto correttamente mezzo secolo fa, e tutti quelli che pensano che ci fosse un grande difetto nel loro ragionamento quasi sicuramente sono semplicemente catturati dai loro stessi giochi di parole.


[1] E’ il saggio più volte citato che nella prima parte fornisce tra l’altro il contesto per una comprensione della cosiddetta ‘trappola di liquidità’, e nella seconda approfondisce  il caso giapponese. Interessante tra l’altro che uno dei due ‘discussori’ del saggio fosse Kenneth Rogoff. Il saggio è definito Brookings Paper perché venne presentato nell’ambito di una iniziativa di quell’Istituto.

[2] Il termine “open market” (“”mercato aperto”) in termini generali esprime una situazione prossima ad una condizione di commercio libero. In termini più specificamente tecnici si riferisce alla stessa cosa, quando si tratti di compra vendita di titoli da parte delle banche.

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