Blog di Krugman

Globalizzazione e keynesismo (10 agosto 2013)

 

August 10, 2013, 10:38 am

Globalization and Keynesianism

Looking at some of the comments on yesterday’s column, I see that a fair number of readers believe that Keynes is no longer valid because any increase in domestic demand will simply “leak” abroad. This is a widespread view, but it’s wrong. Globalization has been impressive, but it has not proceeded far enough to make Keynesian analysis irrelevant.

Actually, you should realize this point immediately just by thinking about the Great Recession itself. If domestic spending all goes on stuff made in China, the one-two punch of plunging home construction and falling consumer spending should have done all its damage abroad, not here in America. Obviously that didn’t happen.

But we can also look at the issue directly. The fact is that despite rising trade, a large majority of workers in America still produce goods and services that can’t be traded. My favorite estimates here come from Jensen and Kletzer (pdf), who use geographical variation across the United States to estimate which industries and occupations are tradable (Silicon Valley has a way disproportionate number of software engineers, demonstrating that those engineers are producing stuff that can be exported to other locations; retail employs about the same fraction of the labor force everywhere, demonstrating that it can’t be traded). Their results look like this:

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Add to this the point that even tradable industries are strongly affected by domestic demand, and you find that globalization has not, in fact, changed the rules all that much.

I should also mention Nakamura and Steinsson (pdf), who use regional variation to estimate the size of the fiscal multiplier; they find that for U.S. regions, it comes in at around 1.5. And the U.S. economy as a whole is much less open than any one of its regions, so the overall multiplier should be larger. Again, globalization apparently doesn’t change the basics.

In the long run, Keynes is still alive.

 

Globalizzazione e keynesismo

 

Guardando alcuni commenti all’articolo di ieri, vedo che un certo numero di lettori crede che Keynes non sia più valido perché ogni incremento nella domanda interna finirebbe semplicemente per  fuoriuscire all’estero. E’ una opinione molto diffusa, ma è sbagliata. La globalizzazione è stata impressionante, ma non è arrivata al punto da rendere l’analisi keynesiana irrilevante.

In effetti, dovreste comprendere questo punto immediatamente solo pensando alla Grande Recessione stessa. Se tutta la spesa interna se ne andasse in roba costruita in Cina, il “colpo dell’uno-due” del crollo dell’edilizia e della caduta della spesa per consumi dovrebbe aver fatto tutto il suo danno all’estero e non in America. Naturalmente non è quello che è successo.

Ma possiamo anche osservare direttamente quel tema. Il fatto è che nonostante la crescita del commercio, una larga maggioranza di lavoratori americani ancora produce beni e servizi che non possono essere scambiati. In questo caso le mie stime favorite provengono da Jensen e Keltzer (disponibile in pdf), che utilizzano le variazioni geografiche attraverso gli Stati Uniti per stimare quali industrie e relativi posti di lavoro siano suscettibili di scambio (Silicon Valley ha un numero sproporzionato di ingegneri di software, a dimostrazione del fatto che quegli ingegneri stanno producendo cose che possono essere esportate in altre località; le occupazioni nel commercio al dettaglio sono dappertutto la stessa frazione della forza di lavoro, a dimostrazione del fatto che non sono scambiabili). I loro risultati appaiono come segue:

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[1]

Se si aggiunge a questo aspetto che anche le industrie suscettibili di scambi sono fortemente influenzate dalla domanda interna, si scopre che la globalizzazione non ha, di fatto, cambiato poi di tanto le regole.

Dovrei anche ricordare Nakamura e Steinsson (disponibile in pdf), che usano le variazioni regionali per stimare le dimensioni del moltiplicatore della spesa pubblica [2]; essi lo determinano per le singole regioni degli Stati Uniti, si avvicina a circa un fattore 1,5. E l’economia degli Stati Uniti è molto meno aperta di qualcuna delle sue regioni, cosicché il moltiplicatore complessivo dovrebbe essere più ampio. Ancora una volta, in apparenza la globalizzazione non ha cambiato le cose fondamentali.

Nel lungo periodo, Keynes è ancora vivo.


[1] La tabella mostra, se ben capisco, la percentuale degli occupati che si realizza nei vari settori suscettibili di scambi commerciali. Ma la fetta celeste è appannaggio dei settori non-suscettibili di scambi, che dunque sono il 60% degli occupati. Non mi è chiaro cosa siano i “non-scambiabili”, considerato che tra gli “scambiabili” ci sono pure la pubblica amministrazione e l’istruzione (ma anche Krugman nota che in molti casi i settori “scambiabili” sono molto dipendenti dalla domanda interna ….)

[2] Vedi a “multiplier” sulle note della traduzione.

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