Blog di Krugman

Il buon web (15 agosto 2013)

 

 

August 15, 2013, 10:16 am

The Good Web

Jonathan Chait mocks Robert Samuelson for his column lamenting the rise of the Internet. I don’t especially want to pile on; but this does give an occasion to say something about my own perceptions of how the web has changed journalism.

Now, obviously the Internet is causing big commercial problems for news organizations. And that is a real problem; someone does have to do basic reporting, which means that someone has to pay the bills. But that will have to be a subject for another post, one of these days.

What I want to talk about instead is the effect of the Internet on the quality of reporting, which I believe has been overwhelmingly positive.

Pundits like Samuelson seem to long for an age when wise men, from their platforms at major news orgs, sifted truth from falsehood and delivered sound judgment to the masses. The trouble is, that age never existed. I read a lot of economics reporting in the pre-Internet era, and by and large it was terrible. In part this was because the reporters and pundits often knew little economics — in fact, there was a sort of bias against having reporters with too much expertise, on the grounds that they wouldn’t be able to relate to the readership. In part it was because there wasn’t an effective mechanism for checking facts and interpretations: a reporter or pundit could say something that everyone who knew anything about the subject realized was all wrong, but those with better knowledge had no way of getting that knowledge out in real time.

Let me give an example. A couple of years ago Samuelson dismissed the relevance of Keynes, because conditions have changed; these days we have lots of debt, whereas

When Keynes wrote “The General Theory of Employment, Interest and Money” in the mid-1930s, governments in most wealthy nations were relatively small and their debts modest.

My guess is that in the pre-Internet era, an assertion like that would simply have sat there; economists would complain about it in the coffee room, but that would be it. In this case, however, the whole econoblogosphere immediately pounced, pointing out that Britain’s debt/GDP ratio in the 30s was actually much higher than it is today. (Times policy, by the way, would have called for a formal correction. Oh well.)

The point is that real journalists, as opposed to the idealized picture of the way things used to be, benefit from the ability of knowledgeable non-journalists to get their knowledge out there, fast.

It’s true that there’s a lot of misinformation out there on the web; but is it any worse than the misinformation people used to get from other sources? I don’t think so.

There’s also another, subtler positive effect of the Internet: newspapers now have a much better idea of what their readers actually care about. In the not-so-good old days, my sense is that management believed that the things that interested Beltway insiders were also the things that interested their wider readership; reporters and pundits who cultivated contacts and breathlessly reported the latest twists and turns in the Senator Bomfog scandal were considered the stars. But now we have real metrics. Most-emailed and most-viewed lists are highly imperfect, and you certainly wouldn’t want to let them dictate the whole direction of the paper. Otherwise the New York Times would be entirely devoted to articles about food and how to use animal training techniques on your husband. But the availability of these metrics has shaken up the insularity of the industry, and that’s all to the good.

Finally, let me just say that leaving the news organizations to one side, the truth is that we’re living in a golden age of economic discourse. Yes, there’s a lot of really bad stuff out there, some of it from people with big reputations — but then the loose relationship between reputations and the quality of analysis is part of what we’re learning. And the amount of good stuff — stuff delivered in real time, on blogs open to anyone who wants to read rather than in the pages of economics journals with a few thousand readers at most — is amazing. When it comes to useful economic analysis, these are the good old days.

 

Il buon web

 

Jonathan Chait prende in giro Robert Samuelson per il suo articolo nel quale si lamenta della crescita di Internet. Non ho un bisogno particolare di intervenire, ma questo mi dà una occasione per dire qualcosa sulle mie impressioni di come il web abbia cambiato il giornalismo.

Ora, è evidente che Internet stia provocando grandi problemi per le organizzazioni dei quotidiani. E quello è un problema reale; qualcuno deve proprio fare i resoconti di base, il che significa che qualcuno deve pagare il conto. Ma questo sarà oggetto di un nuovo post, uno di questi giorni.

Quello di cui voglio parlare è invece l’effetto di Internet sulla qualità dei servizi, che io credo sia stato completamente positivo.

Commentatori come Samuelson sembrano avere nostalgia per un’epoca nella quale gli uomini saggi, dalle loro piattaforme presso le associazioni dei quotidiani, passavano al setaccio le cose vere dalle cose false e trasmettevano alle masse giudizi corretti. Il guaio è che quell’epoca non è mai esistita. Leggevo molti resoconti economici nel periodo precedente ad Internet e in linea di massima erano cose tremende. In parte questo dipendeva dal fatto che i giornalisti ed i commentatori conoscevano poca economia – di fatto, c’era una specie di pregiudizio ad avere giornalisti con troppa esperienza, sulla base del fatto che non sarebbero stati capaci di relazionarsi con i lettori. In parte dipendeva dal fatto che non c’era un vero meccanismo per controllare fatti ed interpretazioni: un cronista o un commentatore potevano dire qualcosa che tutti coloro che erano un po’ al corrente della materia sapevano essere del tutto sbagliato, ma coloro i quali avevano una conoscenza migliore non avevano modo di far conoscere quelle cose in tempo reale.

Fatemi fare un esempio. Un paio di anni fa Samuelson liquidò l’importanza di Keynes, perché le condizioni erano cambiate; di questi tempi noi abbiamo una grande quantità di debiti, mentre

“Quando Keynes scriveva ‘La Teoria Generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta’ sulla metà degli anni Trenta, le funzioni di governo in gran parte delle nazioni ricche erano relativamente piccole ed i debiti erano modesti.”

La mia impressione è che nell’epoca pre-Internet un concetto come quello semplicemente si sarebbe fermato a quel punto; gli economisti si sarebbero lamentati nelle caffetterie, ma esso sarebbe rimasto tale. In questo caso, tuttavia, l’intera econoblogsfera si è scagliata contro, mettendo in evidenza che il rapporto debito/PIL dell’Inghilterra negli anni Trenta era effettivamente molto più alto di oggi (la politica del Times, per inciso, avrebbe dovuto chiedere una formale rettifica. Lasciamo perdere.)

Il punto è che i giornalisti veri, diversamente dalla rappresentazione teorica del modo in cui le cose di solito vanno, traggono vantaggio dalla capacità dei non giornalisti bene informati di far conoscere velocemente quello che sanno all’esterno.

E’ vero che c’è una gran quantità di disinformazione in giro sulla rete; ma è peggiore della disinformazione che le persone erano solite ricevere da altre fonti? Io non lo credo.

C’è anche un altro, più sottile, effetto di Internet: i giornali ora hanno un’idea migliore di quello di cui i loro lettori effettivamente si preoccupano. La mia impressione è che nei non esaltanti tempi andati, le direzioni dei media credevano che le cose che interessavano Washington erano le stesse che interessavano il più largo pubblico; i cronisti e commentatori che coltivavano i contatti e fornivano resoconti mozzafiato  sugli ultimi colpi di scena e novità nello scandalo del Senatore Bomfog [1], erano considerati come delle stelle.  Ma ora abbiamo strumenti di misura effettivi. Gran parte degli elenchi che vengono spediti e visionati via internet sono assai imperfetti, e certamente non vorreste che essi dettassero il complessivo orientamento del giornale. Altrimenti il New York Times sarebbe dedito agli articoli sul cibo e su come utilizzare le tecniche di addestramento degli animali con vostro marito.   Ma la disponibilità di questi strumenti di misura ha dato una scossa all’isolamento dell’industria, e questo è un gran bene.

Infine, lasciatemi dire che lasciando da una parte le agenzie giornalistiche, la verità è che stiamo vivendo un momento magico del dibattito economico. E’ vero, c’è un bel po’ di roba davvero pessima in circolazione, una parte di essa da persone altamente considerate – ma d’altro canto la relazione che si è persa tra quelle reputazioni e la qualità delle analisi fa parte di quello che stiamo imparando. E la somma delle cose buone – materiali trasmessi in tempo reale, su blogs aperti a tutti coloro che vogliono leggere, piuttosto che su pagine di giornali con al massimo poche migliaia di lettori – è impressionante. Quando si viene a ragionare di utilità dell’analisi economica, sono questi i bei tempi andati.



[1] Da quello che ho capito l’espressione “Bomfog” venne usata dai cronisti per riportare una espressione abituale del Governatore di New York Nelson Rockefeller, che nei suoi comizi utilizzava costantemente l’espressione “the brotherhood of man, under the fatherhood of God” (“l’amicizia dell’uomo, sotto la paternità di Dio”). Ridotta ad un acronimo, la frase diventava Bomfog. A prescindere da cosa volesse dire, il termine finì con l’indicare verosimilmente il Senatore Rockefeller. Nelson Rockefeller fu anche Vicepresidente degli Stati Uniti dal 1974 al 1976 (venne a sorpresa nominato dal Presidente Gerald Ford, che successe a Nixon dopo le sue dimissioni).

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