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Il mondo non è stato messo in salvo (New York Times 29 agosto 2013)

 

The Unsaved World

By PAUL KRUGMAN
Published: August 29, 2013

The rupiah is falling! Head for the hills! On second thought, keep calm and carry on.

In case you’re wondering, the rupiah is the national currency of Indonesia, and, like many other emerging-market currencies, it has fallen a lot over the past few months. The thing is, the last big rupiah plunge was in 1997-98, when Indonesia was the epicenter of an Asian financial crisis. In retrospect, that crisis was a sort of dress rehearsal for the much bigger crisis that engulfed the advanced world a decade later. So should we be terrified about Asia all over again?

I don’t think so, for reasons I’ll explain in a minute. But current events do bring back memories — and they are, in particular, a reminder of how little we learned from that crisis 16 years ago. We didn’t reform the financial industry — on the contrary, deregulation went full speed ahead. Nor did we learn the right lessons about how to respond when crisis strikes. In fact, not only have we been making many of the same mistakes this time around, in important ways we’re actually doing much worse now than we did then.

Some background: The run-up to the Asian crisis bore a close family resemblance to the run-up to the crisis now afflicting Greece, Spain and other European countries. In both cases, the origins of the crisis lay in excessive private-sector optimism, with huge inflows of foreign lending going mainly to the private sector. In both cases, optimism turned to pessimism with startling speed, precipitating crisis.

Unlike Greece et al., however, the crisis countries of 1997 had their own currencies, which proceeded to drop sharply against the dollar. At first, these currency declines caused acute economic distress. In Indonesia, for example, many businesses had large dollar debts, so when the rupiah plunged against the dollar, those debts ballooned relative to assets and income. The result was a severe economic contraction, on a scale not seen since the Great Depression.

 

Fortunately, the bad times didn’t last all that long. The very weakness of these countries’ currencies made their exports highly competitive, and soon all of them — even Indonesia, which was hit worst — were experiencing strong export-led recoveries.

Still, the crisis should have been seen as an object lesson in the instability of a deregulated financial system. Instead, Asia’s recovery led to an excessive showing of self-congratulation on the part of Western officials, exemplified by the famous 1999 Time magazine cover — showing Alan Greenspan, then the Fed chairman; Robert Rubin, then the Treasury secretary; and Lawrence Summers, then the deputy Treasury secretary — with the headline “The Committee to Save the World.” The message was, don’t worry, we’ve got these things under control. Eight years later, we learned just how misplaced that confidence was.

 

Indeed, as I mentioned, we’re actually doing much worse this time around. Consider, for example, the worst-case nation during each crisis: Indonesia then, Greece now.

Indonesia’s slump, which saw the economy contract 13 percent in 1998, was a terrible thing. But a solid recovery was under way by 2000. By 2003, Indonesia’s economy had passed its precrisis peak; as of last year, it was 72 percent larger than it was in 1997.

Now compare this with Greece, where output is down more than 20 percent since 2007 and is still falling fast. Nobody knows when recovery will begin, and my guess is that few observers expect to see the Greek economy recover to precrisis levels this decade.

Why are things so much worse this time? One answer is that Indonesia had its own currency, and the slide in the rupiah was, eventually, a very good thing. Meanwhile, Greece is trapped in the euro. In addition, however, policy makers were more flexible in the ’90s than they are today. The International Monetary Fund initially demanded tough austerity policies in Asia, but it soon reversed course. This time, the demands placed on Greece and other debtors have been relentlessly harsh, and the more austerity fails, the more bloodletting is demanded.

So, is Asia next? Probably not. Indonesia has a much lower level of foreign debt relative to income now than it did in the 1990s. India, which also has a sliding currency that worries many observers, has even lower debt. So a repetition of the ’90s crisis, let alone a Greek-style never-ending crisis, seems unlikely.

 

What about China? Well, as I recently explained, I’m very worried, but for entirely different reasons, mostly unrelated to events in the rest of the world.

But let’s be clear: Even if we are spared the spectacle of yet another region plunged into depression, the fact remains that the people who congratulated themselves for saving the world in 1999 were actually setting the world up for a far worse crisis, just a few years later.

 

Il mondo non è stato messo in salvo  , di Paul Krugman

29 agosto 2013

 

Crolla la rupia! Mettiamoci in salvo[1]! Pensandoci meglio, manteniamo la calma e andiamo avanti.

Nel caso ve lo stiate chiedendo, la rupia è la moneta nazionale dell’Indonesia e, come molte altre valute dei mercati emergenti, si è molto svalutata nel corso dei mesi passati. Il punto è, l’ultima grande caduta della rupia fu nel 1997-1998, quando l’Indonesia fu l’epicentro di una crisi finanziaria asiatica. Retrospettivamente, quella crisi fu una sorta di prova generale per la crisi molto più grande che travolse il mondo avanzato dieci anni dopo. Dovremmo dunque una volta ancora essere atterriti?

Non penso, per ragioni che spiegherò in un attimo. Ma gli eventi attuali ci riportano davvero a quei tempi – e sono, soprattutto, un promemoria di quanto poco abbiamo imparato dalla crisi di 16 anni fa. Noi non abbiamo riformato il settore finanziario – al contrario, la deregolamentazione è andata avanti a tutta velocità. Neppure abbiamo imparato la giusta lezione su come reagire quando si è colpiti dalle crisi. In sostanza, non solo in questa occasione stiamo facendo molti degli stessi errori, per aspetti rilevanti stiamo effettivamente facendo peggio di quello che facemmo allora.

Un po’ di contesto: l’incubazione della crisi asiatica presenta una stretta affinità con la preparazione della crisi che oggi affigge la Grecia, la Spagna ed altre nazioni europee. In entrambi i casi, le origini della crisi stanno in un ottimismo eccessivo del settore privato, con ampi flussi di prestiti stranieri che si indirizzano principalmente a quel settore. In entrambi i casi, l’ottimismo si è trasformato con impressionante velocità in pessimismo, facendo piombare nella crisi.

Diversamente dalla Grecia e dagli altri, tuttavia, i paesi in crisi nel 1997 avevano le loro valute, il che comportò l’effetto di una brusca caduta nei confronti del dollaro. Agli inizi, le perdite di valore delle valute provocarono un serio disordine economico. In Indonesia, ad esempio, molte imprese avevano debiti in dollari, cosicché quando la rupia crollò rispetto al dollaro, quei debiti crebbero a vista d’occhio in rapporto agli assets ed ai redditi. Il risultato fu una grave contrazione economica, di dimensioni che non s’erano viste dal momento della Grande Depressione.

Fortunatamente, la cattiva congiuntura non durò così a lungo. La grande debolezza delle valute di questi paesi, rese le loro esportazioni altamente competitive, e in breve tempo tutte – persino l’Indonesia, che fu colpita nel modo peggiore – conobbero forti riprese guidate dalle esportazioni.

Eppure, la crisi avrebbe dovuto essere letta come una dimostrazione pratica della instabilità di un sistema finanziario deregolamentato. Invece, la ripresa dell’Asia condusse ad eccessive manifestazioni si autocompiacimento da parte dei dirigenti dell’Occidente, che fu esemplificata dalla famosa copertina di Times Magazine – che mostrava Alan Greenspan, allora Presidente della Fed; Robert Rubin, allora Segretario al Tesoro e Lawrence Summers, allora vicesegretario al Tesoro – sotto il titolo: “Il comitato per salvare il mondo”. Il messaggio era: non preoccupatevi, è tutto sotto controllo. Otto anni dopo, apprendemmo quanto fosse esattamente mal riposta quella fiducia.

In effetti, come ho ricordato, in questa circostanza stiamo per davvero facendo molto peggio. Si considerino, ad esempio, le nazioni nelle peggiori condizioni in entrambe le crisi: l’Indonesia allora, la Grecia oggi.

La caduta dell’Indonesia, che vide l’economia contrarsi del 13 per cento nel 1998, fu una cosa terribile. Ma con il 2000 era in atto una solida ripresa. Con il 2003 l’economia indonesiana aveva superato il punto più alto precedente alla crisi;  alla fine dell’anno, era del 72 per cento più grande che nel 1997.

Ora si confronti questo con la Grecia, il cui prodotto è sceso più del 20 per cento dal 2007 e sta ancora calando. Nessuno sa quando la ripresa comincerà, e la mia impressione è che pochi osservatori si aspettano di vedere l’economia greca riprendersi  ai livelli precrisi in questo decennio.

Perché questa volta le cose vanno talmente peggio? Una risposta è che l’Indonesia aveva la propria valuta, e lo scivolone della rupia fu, alla fine, un’ottima cosa. Di contro, la Grecia è intrappolata nell’euro. In aggiunta, tuttavia, gli operatori politici furono più flessibili negli anni ’90 di quanto non siano oggi. Inizialmente, il Fondo Monetario Internazionale chiese per l’Asia politiche di dura austerità, ma rapidamente cambiò indirizzo. Questa volta sono state poste a carico della Grecia e degli altri paesi debitori richieste implacabilmente severe, e più che l’austerità  manca i suoi obbiettivi, maggiore è la richiesta di salassi.

Dunque, l’Asia è la prossima? Probabilmente no. L’Indonesia ha oggi un livello di debito in valuta straniera in rapporto al reddito molto inferiore di quello che aveva negli anni ’90. L’India, che pure ha una valuta in caduta che preoccupa molti osservatori, ha un debito persino più basso. Dunque sembra improbabile una riedizione della crisi degli anni ’90, per non dire una crisi infinita del genere di quella greca.

Cosa dire della Cina. Ebbene, come ho spiegato di recente, io sono molto preoccupato, ma per ragioni completamente diverse, in gran parte del tutto scollegate con gli eventi nel resto del mondo.

Ma, siamo chiari: anche se saremo risparmiati dallo spettacolo di un’altra regione ancora che precipita nelle depressione, resta il fatto che la gente che si congratulava per aver salvato il mondo nel 1999, in sostanza, mise nei guai il mondo con una crisi di gran lunga peggiore, a distanza di pochi anni [2].


 

 


[1] Letteralmente “andiamo sui colli!”, una espressione americana antica, per indicare situazioni di emergenza (ma c’è chi la usa scherzosamente anche per dire che sta andando a letto.)

[2] E siccome Alan Greenspan e Robert Rubin sono oggi fuori gioco, mentre Lawrence Summers è in questi giorni in predicato per la nomina a nuovo Presidente della Fed, è implicito, mi pare, che la frecciata di Krugman è soprattutto per quest’ultimo. Che fu collaboratore di Clinton, ed è economista di orientamento keynesiano e progressista, ma anche di solito ‘collaborativo’ con istanze poco innovative …. Non solo nel corso degli anni ’90; giacché era presidente del Comitato dei Consulenti economici di Obama al momento delle decisioni sullo “stimulus” e sembra che ebbe parte assai attiva nel decidere misure di sostegno assai più caute di quanto sarebbe stato necessario, con le conseguenza che poi si sono viste.

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