August 29, 2013, 10:44 am
Simon Wren-Lewis replies to my post on the failure of macroeconomists, and tries to make most of the same points a bit more nicely. In particular, I’m glad to see him acknowledge that macroeconomics only looks like a progressive field if you start your story circa 1980, and ignore all the valid stuff that was tossed out by the RBC school, only to be painfully and partially reintroduced in New Keynesian models.
But even now, I think that Wren-Lewis is suffering from a bit of what I’ve come to think of as the Blanchard delusion (sorry, Olivier!): the delusion, widely prevalent on the eve of crisis, that we had in fact reached some kind of resolution of the bitter macroeconomics wars. Wren-Lewis declares that
In 2010, the standard business cycle model was the New Keynesian model, and the implications of that model for the efficacy of appropriately designed fiscal policy are clear.
I guess there’s some room for interpretation of the meaning of the word “standard”, but it became painfully clear in 2008-2009 that many economists — especially, but not only, at the University of Chicago — not only didn’t work in a New Keynesian framework, they were unaware that such a thing existed. As far as they knew, everything Keynesian had been refuted in the 1970s. And as for “the efficacy of appropriately designed fiscal policy” — well, here’s John Cochrane:
“It’s not part of what anybody has taught graduate students since the 1960s,” Cochrane said. “They are fairy tales that have been proved false. It is very comforting in times of stress to go back to the fairy tales we heard as children but it doesn’t make them less false.”
It would be interesting to know how many graduate departments were in fact teaching New Keynesian macro in 2008. My guess is that a fair number weren’t — that students literally had no exposure to the notion that monetary policy, let alone fiscal policy, could play an effective stabilizing role. The notion that we had reached some kind of intellectual detente was, as I said, a delusion: Keynesians had rebuilt their models to make them acceptable to the other side, but the idea that there was any real dialogue was a fantasy.
Now, it is true that New Keynesian models were dominant in policy-oriented research shops — at the various Feds, at the IMF, the Bank of England, etc.. But economists in such places aren’t as free to offer independent views as the academics, so the fact that NK was very much not established in the academic world mattered a lot.
Even given all that, it has been remarkable how unwilling many economists whose theoretical framework seems to be more or less Keynesian have been to go with the implications of that framework for fiscal and monetary policy; I think of people like John Taylor and Martin Feldstein. So there are deeper problems. But Wren-Lewis is, I think, too sanguine about the starting point.
Macroeconomisti in guerra
Simon Wren-Lewis replica al mio post sul fallimento dei macroeconomisti [1], e cerca di avanzare in gran parte gli stessi argomenti con un po’ più di tatto. In particolare, sono contento di constatare che riconosca che la macroeconomia assomigli ad un campo progressivo soltanto se si parte con il racconto attorno al 1980, e si ignorano tutte le cose valide che furono rigettate dalla scuola del Ciclo Economico Reale [2], solo per essere faticosamente e parzialmente reintrodotte nei modelli neokeynesiani.
Ma persino a questo punto, penso che Wren-Lewis stia un po’ soffrendo di quella che sono arrivato a pensare come “l’illusione di Blanchard” (spiacente, Olivier [3]!): l’illusione, ampiamente prevalente nel periodo della crisi, di avere raggiunto un qualche genere di armistizio nelle acerrime guerre macroeconomiche. Wren-Lewis dichiara che:
“Nel 2010 il modello standard di ciclo economico reale era il modello neo keynesiano, e sono chiare le implicazioni di quel modello a favore di una politica della finanza pubblica progettata in modo appropriato.”
Suppongo che ci sia qualche margine per una interpretazione del significato della parola “standard”, ma negli anni 2008-2009 divenne dolorosamente chiaro che molti economisti – specialmente ma non solo alla Università di Chicago – non soltanto non lavoravano in uno schema neo keynesiano, ma non erano consapevoli che esistesse qualcosa del genere. Per quanto ne sapevano, tutto del keynesismo era stato confutato nel corso degli anni ’70. E per quanto riguarda “l’efficacia di una politica della finanza pubblica progettata in modo appropriato” – bene, ecco qua John Cochrane [4]:
“Non fa parte di quello che ognuno ha insegnato agli studenti universitari a partire dagli anni ‘60” disse Cochrane. “Si tratta di favole che si sono rivelate false. E’ molto piacevole in tempi di tensione tornare alle favole che sentivamo raccontare da bambini, ma questo non le rende meno false.”
Sarebbe interessante sapere quanti dipartimenti universitari stavano effettivamente insegnando economia neo keynesiana nel 2008. La mia impressione è che non fossero un gran numero – che gli studenti non ebbero alcun contatto con il concetto per il quale la politica monetaria, lasciamo perdere quella della spesa pubblica, poteva giocare un effettivo ruolo di stabilizzazione. Il concetto secondo il quale avevamo raggiunto una qualche schiarita fu, come ho detto, una illusione: i keynesiani ricostruirono i loro modelli per renderli accettabili all’altro schieramento, ma l’idea che ci fosse un vero dialogo fu una fantasia.
Ora, è vero che i modelli neokeynesiani furono dominanti nei laboratori di ricerca orientati alla politica – presso le varie Fed, FMI, Banca di Inghilterra etc. Ma gli economisti in tali luoghi non sono altrettanto liberi di presentare punti di vista indipendenti come gli accademici, dunque la circostanza per la quale il neokeynesismo non avesse messo grandi radici nel mondo accademico pesò molto.
Anche considerato tutto questo, è stato considerevole come molti economisti riluttanti il cui schema teorico sembra più o meno keynesiano, abbiano proceduto di conserva con quello schema per la politica monetaria e della finanza pubblica; penso a persone come John Taylor e Martin Feldstein. Dunque ci sono problemi più profondi. Ma Wren-Lewis è, io penso, troppo ottimista sul punto di partenza.
[1] “Il vero guaio dell’economia” del 27 agosto.
[2] Vedi la nota in calce al post suddetto.
[3] Olivier Blanchard è al momento il principale economista del FMI.
[4] Ovvero uno dei principali esponenti della Teoria dei cicli economici reali.
By mm
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