Blog di Krugman

Milton Friedman, non identificato (8 agosto 2013)

 

 

August 8, 2013, 5:09 pm

Milton Friedman, Unperson

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David Glasner has been making a series of posts on the legacy of Milton Friedman, some of them in response to Scott Sumner; they’re interesting if you want to delve into the intellectual history. I’m not personally big on such things — in general, what people thought Keynes or Friedman meant ends up being more important than what they turn out, on close reading, to (maybe, possibly) actually have meant. For what it’s worth, I think Glasner makes a good case that Friedman was indeed more or less a Keynesian, or maybe Hicksian — certainly that was the message everyone took from his Monetary Framework, which was disappointingly conventional. And Friedman’s attempts to claim that Keynes added little that wasn’t already in a Chicago oral tradition don’t hold up well either.

But never mind. What I think is really interesting is the way Friedman has virtually vanished from policy discourse. Keynes is very much back, even if that fact drives some economists crazy; Hayek is back in some sense, even if one has the suspicion that many self-proclaimed Austrians bring little to the table but the notion that fiat money is the root of all evil — a deeply anti-Friedmanian position. But Friedman is pretty much absent.

This is hardly what you would have expected not that long ago, when Friedman’s reputation bestrode the economic world like a colossus, when Greg Mankiw declared Friedman, not Keynes, the greatest economist of the 20th century, when Ben Bernanke concluded a speech praising Friedman with the famous line,

Let me end my talk by abusing slightly my status as an official representative of the Federal Reserve. I would like to say to Milton and Anna: Regarding the Great Depression. You’re right, we did it. We’re very sorry. But thanks to you, we won’t do it again.

Best wishes for your next ninety years.

So what happened to Milton Friedman?

Part of the answer is that at this point both of Friedman’s key contributions to macroeconomics look hard to defend.

First, on monetary policy: Even if you give him a pass on the 3 percent growth in M2 thing, which was abandoned by almost everyone long ago, Friedman was still very much associated with the notion that the Fed can control the money supply, and controlling the money supply is all you need to stabilize the economy. In the wake of the 2008 crisis, this looks wrong from soup to nuts: the Fed can’t even control broad money, because it can add to bank reserves and they just sit there; and money in turn bears little relationship to GDP. And in retrospect the same was true in the 1930s, so that Friedman’s claim that the Fed could easily have prevented the Great Depression now looks highly dubious.

Second, on inflation and unemployment: Friedman’s success, with Phelps, in predicting stagflation was what really pushed his influence over the top; his notion of a natural rate of unemployment, of a vertical Phillips curve in the long run, became part of every textbook exposition. But it’s now very clear that at low rates of inflation the Phillips curve isn’t vertical at all, that there’s an underlying downward nominal rigidity to wages and perhaps many prices too that makes the natural rate hypothesis a very bad guide under depression conditions.

So Friedman’s economic analysis has taken a serious hit. But that’s not the whole story behind his disappearance; after all, all those economists who have been predicting runaway inflation still have a constituency after being wrong year after year.

Friedman’s larger problem, I’d argue, is that he was, when all is said and done, a man trying to straddle two competing world views — and our political environment no longer has room for that kind of straddle.

Think of it this way: Friedman was an avid free-market advocate, who insisted that the market, left to itself, could solve almost any problem. Yet he was also a macroeconomic realist, who recognized that the market definitely did not solve the problem of recessions and depressions. So he tried to wall off macroeconomics from everything else, and make it as inoffensive to laissez-faire sensibilities as possible. Yes, he in effect admitted, we do need stabilization policy — but we can minimize the government’s role by relying only on monetary policy, none of that nasty fiscal stuff, and then not even allowing the monetary authority any discretion.

At a fundamental level, however, this was an inconsistent position: if markets can go so wrong that they cause Great Depressions, how can you be a free-market true believer on everything except macro? And as American conservatism moved ever further right, it had no room for any kind of interventionism, not even the sterilized, clean-room interventionism of Friedman’s monetarism.

So Friedman has vanished from the policy scene — so much so that I suspect that a few decades from now, historians of economic thought will regard him as little more than an extended footnote.

 

Milton Friedman, non identificato [1]

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David Glasner viene scrivendo una serie di posts sull’eredità di Milton Friedman, alcuni dei quali in risposta a Scott Sumner; sono interessanti se si vuole approfondire la storia intellettuale. Non sono personalmente versato per cose del genere – in generale, quello che le persone hanno supposto che Keynes o Friedman intendessero dire finisce con l’essere più importante di quello che essi stessi ritennero, ad una lettura attenta, (forse, eventualmente) effettivamente di aver voluto dire. Per quello che conta, io penso che Glasner avanzi un argomento giusto affermando che Friedman  fu in effetti più o meno un Keynesiano, o forse un hicksiano – certamente quello fu il messaggio che tutti trassero dal suo “Monetary Framework”, che era convenzionale in modo deludente. Ed i tentativi di Friedman di sostenere che Keynes avesse aggiunto poco a quanto non fosse  già nella tradizione orale di Chicago non reggono granché anch’essi.

Ma non ha importanza. Quello che io penso sia realmente interessante è il modo in cui Friedman è virtualmente scomparso dal dibattito politico. Keynes è tornato alla grande, anche se la cosa fa diventare matti alcuni economisti; Hayek in qualche modo è riapparso, anche se si ha il sospetto che molti autoproclamantisi “austriaci” mettano ben poco sul tavolo, a parte il concetto  secondo il quale la valuta legale [2] sia all’origine di tutti i mali – posizione questa profondamente antifriedmaniana. Ma Friedman è piuttosto assente.

Difficilmente ci si sarebbe aspettati una cosa del genere non molto tempo fa, quando la reputazione di Friedman stava a cavalcioni del mondo dell’economia come un colosso, quando Greg Mankiw dichiarava Friedman, non Keynes, il più grande economista del ventesimo secolo,  quando Ben Bernanke concludeva un discorso di ammirazione su Friedman con la famosa frase:

“Lasciatemi concludere il mio discorso leggermente abusando della mia qualifica di  rappresentante del gruppo di rigente della Federal Reserve. Vorrei dire a Milton ed ad Anna [3], a proposito delle Grande depressione. Avete ragione, fu una nostra responsabilità. Siamo molto spiacenti. Ma grazie a voi non lo faremo nuovamente.

I migliori auguri per i vostri prossimi  novant’anni.”

Dunque, cosa è successo a Milton Friedman?

In parte la risposta è che a questo punti entrambi i contributi chiave di Friedman alla macroeconomia sembrano difficile da difendere.

Anzitutto, sulla politica monetaria: anche se gli si concede una promozione sulla faccenda della crescita del 3 per cento nell’aggregato monetario M2, cosa che è stata abbandonata da quasi tutti da molto tempo, Friedman era ancora del tutto dipendente dal concetto secondo il quale la Fed può controllare l’offerta monetaria, e controllare l’offerta di moneta e tutto quello di cui si ha bisogno per stabilizzare l’economia. Sulla scia della crisi del 2008, questo sembra sbagliato dalla A alla Z: la Fed non può neppure controllare in generale la moneta, giacché essa può aumentare le riserve bancarie e quelle semplicemente si fermano a quel punto: ed a sua volta la moneta ha una relazione modesta col PIL. E, retrospettivamente, la stessa cosa fu vera negli anni Trenta, cosicché la pretesa di Friedman secondo la quale la Fed avrebbe potuto facilmente prevenire la Grande Depressione oggi appare assai dubbia.

In secondo luogo, sulla inflazione e sulla disoccupazione: il successo di Friedman, assieme a Phelps, nel prevedere la ‘stagflazione’ fu quello che realmente spinse la sua influenza all’apice; il suo concetto di un tasso naturale di disoccupazione, di una curva di Phillips [4] verticale nel lungo periodo, divenne parte della esposizione di ogni libro di testo. Ma oggi è molto chiaro che a bassi tassi di inflazione la curva di Phillips non è affatto verticale, che c’è una intrinseca rigidità verso il basso per i salari nominali  e forse anche per molti prezzi, che rendono l’ipotesi di un tasso naturale (di inflazione) una pessima guida in condizioni di depressione.

Dunque, l’analisi di Friedman ha preso un serio colpo. Ma questa non è l’intera storia che sta dietro la sua scomparsa; in fondo, tutti quegli economisti che hanno previsto una inflazione senza controllo continuano ad avere i loro consensi, dopo aver sbagliato un anno dietro l’altro.

Il più ampio problema di Friedman, vorrei sostenere, è che egli fu, una volta considerati tutti gli aspetti, un uomo che cercava di cavalcare due visioni del mondo in competizione – ed il nostro ambiente politico non ha più posto per quel genere di ambivalenza.

Si pensi a questo: Friedman fu un appassionato sostenitore del libero mercato, insistette che il mercato, lasciato a se stesso, poteva risolvere quasi ogni problema. Tuttavia fu anche un macroeconomista realista, che riconosceva che il mercato certamente non risolveva il problema delle recessioni e delle depressioni. Così egli cercò di isolare la macroeconomia da ogni altra cosa, e di renderla la meno inoffensiva possibile per le sensibilità del laissez-faire. In effetti sì, egli ammise che abbiamo proprio bisogno di politiche di stabilizzazione – ma possiamo minimizzare il ruolo del Governo affidandoci soltanto alla politica monetaria, nessun bisogno di quella cattiva politica della spesa pubblica, e quindi neppure di consentire una qualche discrezionalità alla autorità monetaria.

In ultima analisi, tuttavia, questa era una posizione incoerente. Se i mercati possono talmente sbagliare da provocare le Grandi Depressioni, come si può essere credenti del libero mercato per ogni aspetto, fatta eccezione per la macroeconomia? E dal momento che il conservatorismo americano si è spostato più a destra che mai, esso non ha più posto per un qualsiasi genere di interventismo, neppure per l’interventismo sterilizzato, da camera asettica, del monetarismo di Friedman.

Dunque Friedman è scomparso dalla scena politica – talmente scomparso che io ho il sospetto che tra qualche decennio gli storici dell’economia non gli concederanno più di una ampia nota a fondo pagina.


[1] Traduciamo in un gergo leggermente ‘anagrafico’, ma “unperson” ha anche un significato più forte, di persona alla quale non viene riconosciuto alcun diritto.

[2] Ovvero non basata sulla parità con l’oro.

[3] La moglie e coautrice del libro principale di Friedman, evidentemente presente all’occasione.

[4] Vedi note sulla traduzione.

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