August 25, 2013, 8:54 am
Bob Hall’s paper for Jackson Hole (pdf) is, characteristically for Hall, a mix of very sensible stuff and strange-looking stuff that just might involve a deep insight. (Hall used to be famous at MIT for talks along the lines of “Not many people understand this, but the IS curve actually slopes up and the LM curve slopes down” — and then, not most of the time but often enough, his apparent craziness would turn out to be a big insight that changed the way you thought about a major issue.)
So, the first half of the paper is a discussion of the problem of aggregate demand in terms of the Wicksellian natural interest rate — the rate consistent with full employment — and the impossibility of reaching that rate right now because of the zero lower bound. It’s the same framework I’ve been using all along.
The second half, however, is an attempt to explain why excess supply of labor hasn’t led to deflation, in which Hall tries to marry IS-LM macro to a search model of equilibrium unemployment. The idea is that something — Hall points to higher risk premia, although those have come down a lot since 2009 — is makings firms unwilling to invest in new hires, in effect degrading the process that matches workers to jobs and hence raises equilibrium unemployment. At least I think that’s what is going on.
Brad DeLong also links to Roger Farmer, presumably because he thinks Farmer, in his attack on the concept of the natural rate of unemployment, is making a fundamentally similar argument. I guess I think so too, although — well, read it for yourself.
So, do I buy this? No, or at least not yet, for several reasons.
First, they may be explaining a puzzle that isn’t there. Hall talks as if it were clear that there is no relationship between economic slack and inflation and/or wage changes. But suppose we look at the period of the Great Moderation — that is, the period after the great disinflation of the early 80s, after which public expectations of inflation more or less stabilized — and look at an old-fashioned Phillips type relationship between unemployment and the change in wages over the following year. (I use nonsupervisory employees because the all-employees series doesn’t start until recently). It looks like this:
That looks about as good as, or even better than, the Phillips curves people were looking at back in the early 60s. Are we sure we have a problem here?
Second, Hall lays a lot of stress on risk premia as sources of shocks, in effect, to aggregate supply — rising risk premia deterring hiring, so that workers have to spend more time searching. But risk premia, at least as measured by spreads on risky corporate bonds, are way down:
Where’s my full employment? OK, you could argue that this is indicating normalization of markets only for large corporations, and that small business still faces unusual credit constraints. But Hall is still laying a lot of stress on a factor that isn’t obvious in the data.
Finally, sheer nominal stickiness / money illusion doesn’t seem to play any role in the Hall/Farmer formulation. Yet we now have overwhelming evidence of the presence of such stickiness, in the form of a large (and increased) share of wages that exhibit precisely zero change from year to year:
San Francisco Fed Percentage of workers with zero wage change
So, I’m not sold. But interesting stuff.
Modelli innaturali del mercato del lavoro (per esperti)
Il saggio di Bob Hall per Jackson Hole (disponibile in pdf) è, come è caratteristico di Hall, un misto di cose molto ragionevoli e di idee dall’aspetto singolare che potrebbero avere a che fare con intuizioni profonde (Hall era famoso al MIT per discorsi del tipo “Non molte persone lo capiscono, ma la curva IS effettivamente inclina verso l’alto e quella LM inclina verso il basso” [1]– e poi, non nella maggior parte dei casi ma abbastanza spesso, si è scoperto che la sua apparente follia era una grande intuizione che ha cambiato il modo nel quale si pensa a cose importanti).
Dunque, la prima parte del saggio è una discussione del problema della domanda aggregata in termini di wickselliano tasso di interesse – ovvero il tasso coerente con una situazione di piena occupazione – e della impossibilità di raggiungere quel tasso immediatamente a causa del limite inferiore dello zero. Si tratta dello stesso schema che io utilizzo da sempre.
La seconda parte, tuttavia, è un tentativo di spiegare perché l’eccesso di offerta di lavoro non ha condotto alla deflazione, e in essa Hall cerca di sposare la macro del modello IS-LM con un modello di ricerca della disoccupazione in equilibrio. L’idea è che qualcosa – Hall indica i più alti premi del rischio [2], sebbene quelli siano molto scesi dal 2009 – stia rendendo le imprese non desiderose di fare nuove assunzioni, in sostanza degradando il processo che equipara i lavoratori ai posti di lavoro e di conseguenza elevando l’equilibrio di disoccupazione. Almeno io penso che è quello che stia succedendo.
Brad DeLong lo mette in connessione con Roger Farmer, presumibilmente perché egli pensa che Farmer, nel suo attacco al concetto di tasso naturale di disoccupazione, stia avanzando un argomento fondamentalmente simile. Penso anch’io nello stesso modo, sebbene – ebbene, leggetelo per conto vostro.
Dunque, mi lascia convinto? No, o almeno non ancora, per un certo numero di ragioni.
La prima, può darsi che essi spieghino un mistero che in questo caso non c’è. Hall parla come se non ci fosse alcuna relazione tra una economia fiacca e l’inflazione e/o i mutamenti salariali. Ma supponiamo di osservare il periodo della cosiddetta Grande Moderazione – cioè, il periodo successivo alla grande disinflazione dei primi anni ’80, dopo il quale le aspettative di inflazione più o meno si stabilizzarono – e si guardi a quel tipo di tradizionale relazione alla Phillips tra disoccupazione e cambiamenti salariali negli anni successivi (utilizzo i dati sugli impiegati non addetti alla sorveglianza, perché le serie sugli impiegati complessivi non sono partite se non di recente). Appare in questo modo:
Sembra altrettanto buono, o persino migliore di quello che i cultori delle curve di Phillips osservavano agli inizi dei passati anni ’60. Siamo sicuri che ci sia qua un problema?
Il secondo, Hall si basa molto sullo stress dei premi di rischio come fonti di shocks per l’offerta aggregata – premi di rischio crescenti dissuadono dall’assumere, cosicché i lavoratori debbono impiegare più tempo nella ricerca. Ma i premi di rischio, almeno come misurati dai differenziali sui bonds rischiosi delle grandi imprese, sono assai in basso:
Dov’è la piena occupazione di cui si parla? E’ vero, si potrebbe sostenere che questo stia indicando una normalizzazione dei mercati soltanto per le imprese grandi, e che le piccole imprese stiano ancora fronteggiando limitazioni inusuali al credito. Ma Hall continua ad attribuire molta tensione ad un fattore che non è evidente nelle statistiche.
Infine, la pura e semplice rigidità nominale (l’illusione monetaria) non sembra che giochi alcun ruolo nelle formulazioni di Hall/Farmer. Tuttavia abbiamo adesso una completa prova della presenza di tale rigidità, nella forma di una ampia (ed accresciuta) quota di salari che mostrano da un anno all’altro precisamente un mutamento nullo [3]:
Percentuale di lavoratori con mutamento salariale nullo
Dunque, non sono convinto. Ma si tratta di cose interessanti.
[1] La frase è un esempio di una affermazione strana. Infatti, si tenga a mente la rappresentazione del modello IS-LM:
Nel diagramma, la linea verticale rappresenta il tasso di interesse (l’economia monetaria) e quella orizzontale il reddito (l’economia reale). Ora, la curva IS (investimenti e risparmi), dal momento che si ipotizza che il tasso di interesse diminuisca, scende per definizione verso il basso, ed inoltre va verso destra perché un tasso di interesse minore favorisce l’investimento e dunque aumenta il reddito. Di contro, la curva LM – ovvero della Liquidità e della Moneta – andando nella direzione di un aumento del reddito, è inevitabile che ad un certo punto prenda a salire verso l’alto perché, con una data quantità di moneta, il reddito non può continuare a salire indefinitamente, e dunque i tassi di interesse aumentano ed il reddito ferma la sua ascesa. La spiegazione, con un po’ di pazienza, si capisce, ma in effetti non è così chiaro il perché delle premesse.
[2] Il ‘premio del rischio’ è semplicemente una minima quantità di denaro che nella aspettativa di ritorno di un bene o asset con un certo rischio deve eccedere il ritorno di un bene senza rischio, per indurre l’individuo appunto a rischiare.
[3] Come si legge, la tabella indica i due periodi attraversati da recessioni (le righe grigie) – il 1986/1994 ed il 1996/2012. Si badi che la tabella misura la percentuale di lavoratori che non hanno avuto alcuna variazione salariale, cosicché più la percentuale è alta e più i salari sono rigidi. Se ben capisco, la tabella mostra che i periodi recessivi sono accompagnati ed anche seguiti per un po’ da fenomeni di più elevata stabilità (vischiosità o rigidità) dei salari; dunque le recessioni non sono accompagnate da riduzioni di salari perché la loro vischiosità o rigidità è forte proprio quando dovrebbero scendere verso il basso.
By mm
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