Blog di Krugman

Per la maggior parte, i conservatori non sono liberali radicali (17 agosto 2013)

 

August 17, 2013, 3:34 pm

Conservatives Are (Mostly) Not Libertarians

Mike Konczal has an interesting and useful essay over at Wonkblog on what conservatives don’t get — namely, their failure to appreciate that some problems are inherently public in nature, and require public solutions. Somewhat unusually, however, I think that Mike has somewhat missed the point, and engaged in a bit of wishful thinking. His essay is an excellent critique of libertarians; but most conservatives are not libertarians, even if they like to use libertarian rhetoric now and then.

Think about it: the modern Republican party may be the party of deregulation and low taxes, but it’s also the party of social illiberalism. Someone like Rick Santorum firmly believes that the government has no right to tell business owners what they can do in the workplace, but has every right to tell ordinary citizens what they can do in the bedroom. William Buckley’s God and Man at Yale was in large part a diatribe against the notion that colleges were teaching students about unemployment and how to fight it; but what Buckley wanted was, in effect, for those colleges to get back to their proper role, which was religious indoctrination. In its heyday National Review was a staunch supporter of free markets; but it was also a staunch supporter of Jim Crow — which wasn’t just about the right of white business owners to discriminate against blacks, it was about a system of laws designed to protect white privilege.

All of this makes no sense if you think of liberalism versus conservatism as a simple argument about the size and role of the state. But it makes perfect sense if you follow Corey Robin, who sees it as being all about the protection of traditional hierarchy:

For that is what conservatism is: a meditation on, and theoretical rendition of, the felt experience of having power, seeing it threatened, and trying to win it back.

Now, there are some real libertarians out there, particularly in the realm of economics bloggers, but they have no real power base. Even when politicians claim to be libertarian, there are telltale giveaways: the two R. Pauls, father and son, may be unusual in questioning the national security state, but they both have a remarkable tendency to cater to and/or employ white supremacists.

And even the hatred for Keynesian economics has less, I think, to do with the notion that unemployment isn’t a proper subject of policy than about the notion of shifting power over the economy’s destiny away from big business and toward elected officials. That was Kalecki’s point — and I learned about that from Mike Konczal!

So there is an interesting debate to be had about the proper extent of the public sphere. But that isn’t the debate driving our politics; our left-right split isn’t nearly that idealistic, or innocent.

 

Per la maggior parte, I conservatori non sono liberali radicali [1]

 

Mike Konczal scrive un articolo interessante ed utile su Wonkblog su quello che i conservatori non capiscono – in particolare, la loro incapacità di considerare che alcuni problemi sono intrinsecamente pubblici nella realtà, e richiedono soluzioni pubbliche. Abbastanza inusualmente, tuttavia, penso che a Mike in qualche modo sfugga il punto, e si faccia un po’ prendere da una specie di ‘pensiero desiderante’. Il suo saggio è una eccellente critica del radicalismo liberale; ma gran parte dei conservatori non sono libertarian, anche se adoperano quella retorica di quando in quando.

Si pensi a questo: il moderno Partito Repubblicano può essere il partito della deregolamentazione e della basse tasse, ma è anche il partito della mancanza di libertà sociale. Uno come Rick Santorum crede fermamente che il Governo non abbia alcun diritto di dire ai proprietari di impresa che cosa debbono fare nel loro luogo di lavoro, ma abbia tutto il diritto di dire ai cittadini ordinari cosa possono fare nella loro stanza da letto. Il libro “Dio e l’uomo a Yale” di William Buckley era in larga parte una diatriba contro l’idea che le università insegnassero agli studenti sul tema della disoccupazione e del come combatterla; ma quello che Buckley voleva, in effetti, era che quelle università tornassero al loro ruolo corretto, che era l’indottrinazione religiosa. La National Review nel suo pieno fulgore fu una devota sostenitrice dei liberi mercati; ma era anche una devota sostenitrice di Jim Crow – la qualcosa non riguardava soltanto il diritto  degli impresari bianchi di discriminare i neri, ma un sistema di leggi rivolto a proteggere i privilegi dei bianchi [2].

Tutto questo è privo di senso si si pensa al liberalismo nel confronto con il conservatorismo come a un semplice tema di dimensioni e di ruolo degli Stati. Ma ha perfettamente senso se si segue Corey Robin, che lo vede interamente relativo alla difesa della tradizionale gerarchia:

“Perché quello è il conservatorismo: una meditazione, una rappresentazione dell’esperienza provata dell’avere potere, del vederlo minacciato e del cercare di riconquistarlo.”

Ora, in giro ci sono alcuni liberali radicali, specialmente nel settore dei bloggers dell’economia, ma essi non hanno una reale base di potere. Persino quando gli uomini politici sostengono di essere liberali radicali, ci sono annunci rivelatori: può essere poco frequente che i due Rand Paul, padre e figlio, avanzino dubbi sulle condizioni della sicurezza nazionale, ma hanno entrambi una considerevole tendenza a provvedere ai bisogni e ad impiegare i fautori della supremazia bianca [3].

Ed anche l’odio per l’economia keynesiana ha meno a che fare, penso, con il concetto che la disoccupazione non sia un tema corretto per la politica, che con il concetto dell’allontanare i poteri sui destini dell’economia  dalla grande impresa ai rappresentanti eletti. Quello era il punto di vista di Kalecki – ed io l’ho appreso proprio da Mike Konczal!

C’è dunque un dibattito interessante da sviluppare sulla dimensione appropriata della sfera pubblica. Ma non è quello il dibattito che orienta la nostra politica; la nostra frattura tra destra e sinistra non è così idealistica o innocente.


[1] Mi rendo conto che tradurre “libertarian” con “liberali radicali” è un po’ pesante. Ma la questione è complicata. Non si può rendere con “libertari”, che in italiano ha tutt’altro significato, normalmente del tutto estraneo alla ideologia del liberalismo. Ma se si traduce con “liberisti” non si migliora granché, perché si perde una certa parte del radicalismo che è implicito nel termine “libertarian” (l’attitudine di un “liberista” – per la accezione che ne abbiamo noi – è letteralmente ad un laissez faire integrale ed anche piuttosto bigotto; il radicalismo di un “libertarian”, magari ideologicamente, allude ad una parte della tradizione individualistica ed anche ribellistica americana …). Ora, come si constata dal post, l’intenzione di Krugman è quella di riconoscere una qualche teorica dignità a quella tradizione radicale, che non ha più niente a che fare con i conservatori americani odierni. Per attenuare la pesantezza, utilizzo dopo un po’ il termine inglese.

[2] Per comprendere la frase bisogna considerare che Jim Crow è un personaggio di una nota coon song nata fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, negli spettacoli dei menestrelli che si svolgevano negli Stati Uniti: Jump Jim Crow. In essa veniva descritto un tale nero di nome Jim Crow, sciancato, che lavorava in una scuderia. La sua figura fu presa ad emblema della discriminazione razziale: durante la lotta all’emancipazione si diceva spesso che il nero doveva “lottare contro Jim Crow”.

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Ma le leggi Jim Crow furono delle leggi locali e dei singoli stati degli Stati Uniti d’America emanate tra il 1876 e il 1965. Di fatto servirono a creare e mantenere la segregazione razziale in tutti i servizi pubblici, istituendo uno status definito di “separati ma uguali” per i neri americani e per i membri di altri gruppi razziali diversi dai bianchi. Alcuni esempi di leggi Jim Crow furono la separazione nelle scuole pubbliche, nei luoghi pubblici e sui mezzi di trasporto e la differenziazione dei bagni e dei ristoranti tra quelli per bianchi e quelli per neri. Anche all’interno dell’esercito venne applicata la segregazione razziale. Le leggi Jim Crow erano distinte dai Codici neri del periodo 180066 che a loro volta avevano ridotto i diritti e le libertà civili degli afroamericani. La segregazione razziale organizzata dagli stati nelle scuole fu dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema nel 1954, con la sentenza Brown v. Board of Education. In generale, le leggi Jim Crow rimaste furono abrogate dal Civil Rights Act del 1964[1] e dal Voting Rights Act del 1965 (notizie da Wikipedia).

[3] Nel mese passato i giornali ed i blogs hanno diffusamente parlato di casi del genere riguardanti i due repubblicani.

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