August 16, 2013, 2:27 pm
Brad DeLong weighs in on the Friedman legacy, and notes that there have been two big successful sort of meta-predictions in macroeconomics over the past half-century. In the late 60s, Friedman and Phelps warned of the risk of stagflation, and were vindicated in the 1970s. In the late 1990s, some economists warned of the risk of Depression-type liquidity traps, and were vindicated in the Naughties. The first success led to Friedmam’s promotion to demigod status; the second success has not produced any comparable elevation.
But never mind the personal aspect. More important, stagflation led to a major rethinking of macroeconomics, all across the board; even staunch Keynesians conceded that Friedman/Phelps had been right (indeed, they may have conceded too much), and the vertical long-run Phillips curve became part of every textbook. But the Great Recession and the long stagnation that followed (and continues) have brought no such concessions from the anti-Keynesians. As I often note on this blog, even the most spectacular failures of prediction (and successes for the other side) have been met with nothing but excuses (It’s Obamacare! It’s interest on reserves! It’s uncertainty!)
What accounts for this asymmetry? Partly, I think, there’s an economics-specific aspect: anti-Keynesian macroeconomics is a comfortable position, because it involves a return to notions of perfect markets and perfectly rational individuals; so the anti-Keynesians find it hard to leave that comfort zone, while even Keynesians sort of liked introducing a bit more rationality into their models.
But it’s also the usual left-right asymmetry. Keynesianism isn’t exactly left-wing, but monetarism was clearly conservative, and equilibrium business cycle theory even more so. And left and right in modern America are not mirror images. The right is purist, uncompromising, and ultimately not interested in contrary evidence; the left is much more open and empirical. And the economics profession, it turns out, is not that different from the political sphere.
This is an uncomfortable truth to acknowledge. Many economists would like to believe that we’re having a reasonable, civilized discussion, rather than dealing with denialism and bad faith. But you go to economic debates with the profession you have, not the profession you want.
Stagflazione, stagnazione ed asimmetria intellettuale
Brad DeLong interviene sul tema dell’eredità di Friedman [1], ed osserva che in un certo senso ci sono state due grandi meta-previsioni economiche nell’ultimo mezzo secolo. Sulla fine degli anni ’60, Friedman e Phelps misero in guardia sul rischio di stagflazione [2], ed ebbero una conferma nel corso degli anni 70. Sulla fine degli anni ’90, qualche economista mise in guardia dal rischio di una Depressione del genere di una trappola di liquidità, ed ottenne una conferma con i primi anni 2000. Il primo successo comportò la promozione di Friedman allo status di semi Dio; il secondo non ha prodotto alcun effetto paragonabile.
Ma lasciamo perdere l’aspetto personale. La cosa più importante è che la stagflazione portò ad un ripensamento importante della macroeconomia, su tutto lo scenario; persino i più convinti keynesiani ammisero che Friedman e Phelps avevano avuto ragione (in effetti, forse concessero un po’ troppo), e la curva verticale di lungo periodo di Phillips divenne parte di ogni libro di testo. Ma la Grande Recessione e la lunga stagnazione che è seguita (e continua) non hanno portato a concessioni simili da parte degli antikeynesiani. Come spesso noto su questo blog, persino le più spettacolari previsioni fallite (e di contro i successi dalla parte opposta) non hanno corrisposto a niente se non a scusanti (è stata la riforma sanitaria di Obama! Sono gli interessi sulle riserve! E’ l’incertezza!)
Cosa rappresenta questa asimmetria? In parte, penso, c’è un aspetto specificamente economico: la macroeconomia anti-keynesiana si trova in una posizione confortevole, giacché include il ritorno ai concetti di mercati perfetti e di individui perfettamente razionali; dunque per gli antikeynesiani è arduo abbandonare quella zona tranquilla, mentre persino i keynesiani in qualche modo hanno introdotto con compiacimento un po’ più di razionalità entro i propri modelli.
Ma si tratta anche della solita asimmetria tra sinistra e destra. Il Keynesismo non è esattamente la sinistra, ma il monetarismo fu chiaramente conservatore, e la teoria del ciclo economico in equilibrio ancora di più. E destra e sinistra nell’America odierna non sono immagini speculari. La destra è dogmatica, contraria ai compromessi e di recente non influenzabile dalle prove opposte; la sinistra è molto più aperta ed empirica. E si scopre che la disciplina economica non è diversa dalla sfera della politica.
E’ un verità spiacevole da ammettere. A molti economisti piacerebbe credere che stiamo partecipando ad un dibattito ragionevole e civile, piuttosto che facendo i conti con il negazionismo e la mala fede. Ma si partecipa ai dibattiti economici con la disciplina che esiste, non con quella che si vorrebbe.
[1] Forse qualcuno potrebbe essere interessato al breve post di Brad DeLong qua citato:
Previsioni corrette e la condizione degli economisti Brad DeLong (16 agosto 2013)
Paul Krugman ha certamente ragione nel dire che la storia ha giudicato, e che il giudizio della storia è in modo così completo a favore di James Tobin rispetto a Milton Friedman che non è rimasto neppure una traccia nel punto dove un tempo si ergeva l’approccio di Friedman ad una teoria monetaria della determinazione del reddito nominale.
E Robert Waldmann indica, ripetutamente e correttamente, che non c’è niente di teoricamente rilevante in Friedman (1967) che non fosse (già) in Samuelson e Solow (1960) – che il fatto che l’inflazione al di sopra delle aspettative possa sbloccare inflazione futura non fu un tema ideato da Friedman (o da Phelps), ed anche che né Friedman (né Phelps) stavano pensando che l’elevata disoccupazione potesse sbloccare il NAIRU (il livello al quale il tasso di disoccupazione non provoca ancora una accelerazione dell’inflazione, ndT).
E Paul Krugman mette in evidenza che la Curva di lungo periodo di Phillips utilizzata da Friedman (e da Phelps) è semplicemente sbagliata a bassi tassi di inflazione, e non così utile come strumento fondamentale.
C’è tuttavia una grande cosa nella quale Friedman ebbe ragione: alzarsi in piedi e dire: “In questo momento le aspettative di inflazione stanno perdendo la loro stabilità. Il meccanismo di accelerazione è destinato a dominare le dinamiche del ciclo economico sia nel breve che nel medio termine.” Questo fu giusto. E fu una fonte potente di manna da cielo.
In modo simile, o forse no, mi sentirei di sostenere che c’è una grande cosa (assieme ad un ampio numero di medie e piccole cose) nella quale Paul Krugman ha avuto ragione: la sua previsione nel passato 1998 sul “Ritorno dell’economia della depressione”. Eppure lo Zio Paul non si è guadagnato una quantità di manna paragonabile a quella che lo Zio Milton si guadagnò negli anni Sessanta ….
[2] In economia, con il termine stagflazione (combinazione dei termini stagnazione ed inflazione) si indica la situazione nella quale sono contemporaneamente presenti – su un determinato mercato – sia un aumento generale dei prezzi (inflazione), sia una mancanza di crescita dell’economia in termini reali (stagnazione economica). La stagflazione è un fenomeno presentatosi per la prima volta alla fine degli anni sessanta, prevalentemente nei paesi occidentali; precedentemente inflazione e stagnazione si erano invece sempre presentate disgiuntamente.
By mm
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