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Anni di tragico spreco (New York Times 5 settembre 2013)

 

Years of Tragic Waste

By PAUL KRUGMAN
Published: September 5, 2013

In a few days, we’ll reach the fifth anniversary of the fall of Lehman Brothers — the moment when a recession, which was bad enough, turned into something much scarier. Suddenly, we were looking at the real possibility of economic catastrophe.

And the catastrophe came.

Wait, you say, what catastrophe? Weren’t people warning about a second Great Depression? And that didn’t happen, did it? Yes, they were, and no, it didn’t — although the Greeks, the Spaniards, and others might not agree about that second point. The important thing, however, is to realize that there are degrees of disaster, that you can have an immense failure of economic policy that falls short of producing total collapse. And the failure of policy these past five years has, in fact, been immense.

Some of that immensity can be measured in dollars and cents. Reasonable measures of the “output gap” over the past five years — the difference between the value of goods and services America could and should have produced and what it actually produced — run well over $2 trillion. That’s trillions of dollars of pure waste, which we will never get back.

Behind that financial waste lies an even more tragic waste of human potential. Before the financial crisis, 63 percent of adult Americans were employed; that number quickly plunged to less than 59 percent, and there it remains.

How did that happen? It wasn’t a mass outbreak of laziness, and right-wing claims that jobless Americans aren’t trying hard enough to find work because they’re living high on food stamps and unemployment benefits should be treated with the contempt they deserve. A bit of the decline in employment can be attributed to an aging population, but the rest reflects, as I said, an immense failure of economic policy.

Set aside the politics for a moment, and ask what the past five years would have looked like if the U.S. government had actually been able and willing to do what textbook macroeconomics says it should have done — namely, make a big enough push for job creation to offset the effects of the financial crunch and the housing bust, postponing fiscal austerity and tax increases until the private sector was ready to take up the slack. I’ve done a back-of-the-envelope calculation of what such a program would have entailed: It would have been about three times as big as the stimulus we actually got, and would have been much more focused on spending rather than tax cuts.

 

Would such a policy have worked? All the evidence of the past five years says yes. The Obama stimulus, inadequate as it was, stopped the economy’s plunge in 2009. Europe’s experiment in anti-stimulus — the harsh spending cuts imposed on debtor nations — didn’t produce the promised surge in private-sector confidence. Instead, it produced severe economic contraction, just as textbook economics predicted. Government spending on job creation would, indeed, have created jobs.

 

But wouldn’t the kind of spending program I’m suggesting have meant more debt? Yes — according to my rough calculation, at this point federal debt held by the public would have been about $1 trillion more than it actually is. But alarmist warnings about the dangers of modestly higher debt have proved false. Meanwhile, the economy would also have been stronger, so that the ratio of debt to G.D.P. — the usual measure of a country’s fiscal position — would have been only a few points higher. Does anyone seriously think that this difference would have provoked a fiscal crisis?

 

And, on the other side of the ledger, we would be a richer nation, with a brighter future — not a nation where millions of discouraged Americans have probably dropped permanently out of the labor force, where millions of young Americans have probably seen their lifetime career prospects permanently damaged, where cuts in public investment have inflicted long-term damage on our infrastructure and our educational system.

Look, I know that as a political matter an adequate job-creation program was never a real possibility. And it’s not just the politicians who fell short: Many economists, instead of pointing the way toward a solution of the jobs crisis, became part of the problem, fueling exaggerated fears of inflation and debt.

Still, I think it’s important to realize how badly policy failed and continues to fail. Right now, Washington seems divided between Republicans who denounce any kind of government action — who insist that all the policies and programs that mitigated the crisis actually made it worse — and Obama loyalists who insist that they did a great job because the world didn’t totally melt down.

Obviously, the Obama people are less wrong than the Republicans. But, by any objective standard, U.S. economic policy since Lehman has been an astonishing, horrifying failure.

 

Anni di tragico spreco, di Paul Krugman

New York Times 5 settembre 2013

 

Tra pochi giorni sarà il quinto anniversario della caduta di Lehman Brothers – il momento in cui la recessione, che era già stata abbastanza grave, si trasformò in qualcosa di molto più spaventoso. Improvvisamente, fummo dinanzi alla reale possibilità di una catastrofe economica.

E la catastrofe arrivò.

Un momento, dite voi, quale catastrofe?  La gente non fu messa in guardia su una seconda Grande Depressione? E quella non c’è stata, non è così? Sì, lo fummo, e no, non è successo – sebbene i Greci e gli Spagnoli ed altri ancora potrebbero non convenire su quel secondo punto. La cosa importante, tuttavia, è comprendere che ci sono gradazioni di disastro, che si può avere un totale fallimento della politica economica che pure non provoca un collasso totale. E il fallimento di questi cinque anni passati di politica è stato, di fatto, grandissimo.

In parte, tale ampiezza può essere misurata in dollari ed in centesimi. Misurazioni ragionevoli del “differenziale di produzione” nel corso dei cinque anni passati – la differenza tra il valore di beni e servizi che poteva e doveva essere prodotto e quello che effettivamente si è prodotto – si aggirano attorno ai 2 mila miliardi di dollari. Quelli sono stati migliaia di miliardi di dollari di puro spreco,  che non riavremo mai indietro.

Dietro questo spreco finanziario c’è uno spreco anche maggiore di potenziale umano. Prima della crisi finanziaria il 63 per cento degli americani adulti era occupato; quel numero scese rapidamente a meno del 59 per cento, ed è ancora a quel punto.

Come è accaduto? Non si è trattato di uno scoppio di follia generalizzata, e le pretese della destra secondo le quali gli americani senza lavoro non starebbero cercando con abbastanza impegno di trovarlo, perché vivono comodamente sugli aiuti alimentari e sui sussidi di disoccupazione, dovrebbero essere trattate con lo sdegno che meritano.  Un po’ del declino dell’occupazione può essere attribuito ad un invecchiamento della popolazione, ma il resto riflette, come ho detto, un immenso fallimento della politica economica.

Lasciamo da parte per un momento la politica e chiediamoci a cosa sarebbero somigliati i cinque anni passati, se il Governo degli Stati Uniti fosse stato capace ed avesse avuto la volontà di fare quello che l’economia dei libri di testo dice che deve esser fatto – precisamente, mettere in atto una forte spinta per la creazione di posti di lavoro per bilanciare gli effetti della stretta finanziaria e del disastro nel settore immobiliare, rinviando l’austerità della finanza pubblica e gli incrementi fiscali  al momento in cui il settore privato sia nelle condizioni di fare il suo lavoro. Ho fatto un calcolo su due piedi di quello che un programma del genere avrebbe comportato: ci sarebbero volute tre volte le misure di sostegno che effettivamente abbiamo avute, ed avrebbero dovuto essere concentrate molto di più sulla spesa pubblica che sugli sgravi fiscali.

Avrebbe prodotti i suoi effetti un programma del genere? Tutte le testimonianze dei cinque anni passati dicono di si. Lo stimulus di Obama, inadeguato com’era, fermò la caduta dell’economia nel 2009. L’esperimento europeo di una politica opposta allo stimolo – i rigidi tagli alla spesa imposti ai paesi debitori – non hanno prodotto la promessa crescita di fiducia nel settore privato. Hanno prodotto piuttosto una grave contrazione economica, esattamente come l’economia dei libri di testo aveva pronosticato. La spesa pubblica per la creazione di posti di lavoro avrebbe, certamente, prodotto tale effetto.

Ma quel genere di programma di spesa pubblica che sto suggerendo non avrebbe significato più debito? Si – secondo un mio rozzo calcolo, a questo punto il debito federale a carico dello Stato sarebbe stato di circa mille miliardi di dollari maggiore di quello che effettivamente è. Ma gli ammonimenti allarmistici sui pericoli di un debito modestamente più elevato si sono dimostrati falsi. Nel contempo, l’economia sarebbe anche stata più forte, cosicché la percentuale del debito sul PIL – la misura consueta della condizione della finanza pubblica di un paese – sarebbe stata solo di pochi punti più alta. C’è qualcuno che può seriamente pensare che questa differenza avrebbe provocato una crisi della finanza pubblica [1]?

E, dall’altra parte del registro, saremmo stati una nazione più ricca, con un futuro più luminoso – non una nazione nella quale milioni di americani scoraggiati si sono ritirati probabilmente in permanenza dalle forze di lavoro, dove milioni di giovani americani hanno probabilmente subito una danno permanente alle prospettive di carriera nel corso delle loro esistenze, dove i tagli agli investimenti pubblici hanno inflitto un danno di lungo periodo alle nostre infrastrutture ed al nostro sistema educativo.

Si badi, io so che per una ragione politica un programma adeguato di creazione di posti di lavoro non è mai stato una possibilità reale. E non sono stati miopi solo gli uomini politici: molti economisti, anziché indicare la via per una soluzione alla crisi dei posti di lavoro, sono diventati parte del problema, accendendo paure esagerate sull’inflazione e sul debito.

Eppure, penso che sia importante comprendere quanto malamente la politica sia venuta e continui a venir meno alla sua funzione. In questo momento, Washington sembra divisa tra i Repubblicani che denunciano ogni genere di iniziativa pubblica – che insistono che tutte le politiche ed i programmi che hanno attenuato la crisi in realtà l’hanno resa peggiore – ed i seguaci di Obama che ribadiscono di aver fatto un gran lavoro perché il mondo ha evitato una distruzione totale.

Naturalmente, i seguaci di Obama sbagliano meno dei Repubblicani. Ma, ad una valutazione oggettiva, a partire dal fallimento della Lehman l’economia degli Stati Uniti è stata uno stupefacente, terribile fallimento.  



[1] Sulle ragioni lessicali per le quali continua a sembrarmi preferibile tradurre “fiscal” con “della finanza pubblica”,  si vedano a quella voce le Note sulla Traduzione.

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