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Date ai posti di lavoro una possibilità (New York Times 15 settembre 2013)

 

Give Jobs a Chance

By PAUL KRUGMAN
Published: September 15, 2013

This week the Federal Reserve’s Open Market Committee — the group of men and women who set U.S. monetary policy — will be holding its sixth meeting of 2013. At the meeting’s end, the committee is widely expected to announce the so-called “taper” — a slowing of the pace at which it buys long-term assets.

Memo to the Fed: Please don’t do it. True, the arguments for a taper are neither crazy nor stupid, which makes them unusual for current U.S. policy debate. But if you think about the balance of risks, this is a bad time to be doing anything that looks like a tightening of monetary policy.

O.K., what are we talking about here? In normal times, the Fed tries to guide the economy by buying and selling short-term U.S. debt, which effectively lets it control short-term interest rates. Since 2008, however, short-term rates have been near zero, which means that they can’t go lower (since people would just hoard cash instead). Yet the economy has remained weak, so the Fed has tried to gain traction through unconventional measures — mainly by buying longer-term bonds, both U.S. government debt and bonds issued by federally sponsored home-lending agencies.

 

Now the Fed is talking about slowing the pace of these purchases, bringing them to a complete halt by sometime next year. Why?

One answer is the belief that these purchases — especially purchases of government debt — are, in the end, not very effective. There’s a fair bit of evidence in support of that belief, and for the view that the most effective thing the Fed can do is signal that it plans to keep short-term rates, which it really does control, low for a very long time.

 

Unfortunately, financial markets have clearly decided that the taper signals a general turn away from boosting the economy: expectations of future short-term rates have risen sharply since taper talk began, and so have crucial long-term rates, notably mortgage rates. In effect, by talking about tapering, the Fed has already tightened monetary policy quite a lot.

But is that such a bad thing? That’s where the second argument comes in: the suggestions that there really isn’t that much slack in the U.S. economy, that we aren’t that far from full employment. After all, the unemployment rate, which peaked at 10 percent in late 2009, is now down to 7.3 percent, and there are economists who believe that the U.S. economy might begin to “overheat,” to show signs of accelerating inflation, at an unemployment rate as high as 6.5 percent. Time for the Fed to take its foot off the gas pedal?

I’d say no, for a couple of reasons.

First, there’s less to that decline in unemployment than meets the eye. Unemployment hasn’t come down because a higher percentage of adults is employed; it’s come down almost entirely because a declining percentage of adults is participating in the labor force, either by working or by actively seeking work. And at least some of the Americans who dropped out of the labor force after 2007 will come back in as the economy improves, which means that we have more ground to make up than that unemployment number suggests.

How misleading is the unemployment number? That’s a hard one, on which reasonable people disagree. The question the Fed should be asking is, what is the balance of risks?

Suppose, on one side, that the Fed were to hold off on tightening, then learn that the economy was closer to full employment than it thought. What would happen? Well, inflation would rise, although probably only modestly. Would that be such a bad thing? Right now inflation is running below the Fed’s target of 2 percent, and many serious economists — including, for example, the chief economist of the International Monetary Fund — have argued for a higher target, say 4 percent. So the cost of tightening too late doesn’t look very high.

 

Suppose, on the other side, that the Fed were to tighten early, then learn that it had moved too soon. This could damage an already weak recovery, causing hundreds of billions if not trillions of dollars in economic damage, leaving hundreds of thousands if not millions of additional workers without jobs and inflicting long-term damage as more and more of the unemployed are perceived as unemployable.

The point is that while there is legitimate uncertainty about what the Fed should be doing, the costs of being too harsh vastly exceed the costs of being too lenient. To err is human; to err on the side of growth is wise.

 

I’d add that one of the prevailing economic policy sins of our time has been allowing hypothetical risks, like the fiscal crisis that never came, to trump concerns over economic damage happening in the here and now. I’d hate to see the Fed fall into that trap.

So my message is, don’t do it. Don’t taper, don’t tighten, until you can see the whites of inflation’s eyes. Give jobs a chance.

 

Date ai posti di lavoro una possibilità , di Paul Krugman

New York Times 15 settembre 2013

 

Questa settimana il Comitato Federale del Mercato Aperto della Fed – il gruppo di donne ed uomini che predispongono la politica monetaria degli Stati Uniti – terrà la sua sesta riunione nell’anno 2013. Alla fine dell’incontro, tutti si aspettano che il Comitato annunci il cosiddetto “assottigliamento” – un rallentamento del ritmo al quale esso acquista assets a lungo termine.

Un promemoria alla Fed: per favore, non lo fate. E’ vero, gli argomenti per una stretta non sono pazzeschi né sciocchi, il che li rende inusuali per l’attuale dibattito sulla politica degli Stati Uniti. Ma se pensate ad un bilancio dei rischi, questo è un cattivo momento per fare qualsiasi cosa assomigli ad una restrizione della politica monetaria.

Veniamo al punto: di cosa stiamo parlando? In tempi normali la Fed cerca di indirizzare l’economia acquistando e vendendo titoli a breve termine sul debito degli Stati Uniti. A partire dal 2008, tuttavia, i tassi a breve termine sono stati vicini allo zero, il che significa che non potevano scendere più in basso (dal momento che le persone piuttosto conserverebbero il contante). Tuttavia l’economia è rimasta debole, cosicché la Fed ha cercato di ottenere trazione attraverso misure non convenzionali – principalmente acquistando bonds a più lungo termine, sia collegati con il debito pubblico americano che emessi da agenzie che offrono crediti per l’acquisto della casa sostenute dal Governo federale.

Ora la Fed sta parlando di rallentare il ritmo di questi acquisti, sino ad un completo arresto previsto in qualche momento del prossimo anno. Perché?

Una risposta è il convincimento che questi acquisti – in particolare gli acquisti sui titoli del debito pubblico – siano, in fin dei conti, inefficaci. Ci sono un discreto numero di prove a sostegno di questo convincimento, ed a favore della tesi secondo la quale la cosa più efficace che la Fed può fare sia segnalare che essa ha in programma di tener bassi i tassi a breve termine, che essa realmente controlla, per un periodo molto lungo.

Sfortunatamente i mercati finanziari hanno deciso che l’ “assottigliamento” segnali una presa di distanze complessiva dal sostegno all’economia: le aspettative sui tassi futuri a breve termine sono bruscamente salite dal momento in cui si è cominciato a parlare di stretta, in modo particolare i tassi sui mutui. In effetti, solo parlando di ‘assottigliamento’, la Fed ha già ristretto un bel po’ la politica monetaria.

Si tratta di una cosa così negativa? E’ lì che interviene il secondo argomento: l’impressione che l’economia degli Stati Uniti non sia così fiacca, che non si sia così lontani dalla piena occupazione. Dopo tutto, il tasso di disoccupazione, che era schizzato al 10 per cento nell’ultima parte del 2009, è ora sceso al 7,3 per cento, e ci sono economisti che credono che l’economia degli Stati Uniti potrebbe cominciare a surriscaldarsi, a mostrare segni di una accelerazione della inflazione, con un tasso di disoccupazione attorno al 6,5 per cento. E’ tempo per la Fed di togliere il piede dal pedale dell’acceleratore?

Io dico di no, per un paio di ragioni.

La prima, il declino della disoccupazione è inferiore di quello che appare a prima vista. La disoccupazione non è scesa perché una più alta percentuale di adulti ha trovato impego; è scesa quasi interamente per effetto di un calo della percentuale degli adulti che sono considerati parte della forza lavoro, ovvero che lavorano o che stanno attivamente cercando lavoro. E almeno alcuni degli americani che sono stati espulsi dalla forza lavoro dopo il 2007, torneranno appena migliorerà l’economia, il che significa che abbiamo un maggiore terreno da compensare di quello che suggeriscono i dati sulla disoccupazione.

Quanto sono fuorvianti i dati sulla disoccupazione? Questa è una questione difficile, sulla quale persone pur ragionevoli sono in disaccordo.  La domanda che la Fed dovrebbe porsi è, quale è il bilancio dei rischi?

Supponiamo, da un parte, che la Fed decidesse di astenersi dalla restrizione, per poi apprendere che l’economia era più vicina alla piena occupazione di quanto avesse supposto. Cosa accadrebbe? Sarebbe una cosa così negativa? In questo momento l’inflazione sta procedendo al di sotto dell’obbiettivo del 2 per cento della Fed, e molti seri economisti – incluso, ad esempio, il capo economista del Fondo Monetario Internazionale [1] – si sono pronunciati per un obbiettivo più elevato, diciamo del 4 per cento. In questo modo, il costo di una restrizione tardiva non apparirebbe molto elevato.

Supponiamo, d’altra parte, che la Fed decidesse di restringere prematuramente, per scoprire in seguito che si era mossa troppo presto. Questo potrebbe danneggiare una ripresa già debole, provocando centinaia di miliardi se non migliaia di miliardi di dollari di danno economico, lasciando centinaia di migliaia se non milioni di lavoratori aggiuntivi senza lavoro e infliggendo un danno a lungo termine, quando un numero sempre più alto di disoccupati finisse coll’essere percepito non più occupabile.

Il punto è che mentre c’è una incertezza legittima su quello che la Fed dovrebbe fare, i costi dell’essere troppo rigidi eccedono grandemente quelli dell’essere troppo indulgenti. Sbagliare è umano; sbagliare nel senso della crescita è saggio.

Aggiungerei che uno dei principali peccati di politica economica del nostro tempo è stato quello di consentire che rischi ipotetici, come la crisi della finanza pubblica che non è mai arrivata, fossero di gran lunga prevalenti sulla considerazione dei danni economici che sono in atto al presente. Mi dispiacerebbe vedere la Fed cadere in quella trappola.

Dunque, il mio messaggio è: non fatelo. Non assottigliate, non restringete, finché non vedete l’inflazione nelle palle degli occhi [2]. Date una possibilità ai posti di lavoro.

 



[1] Olivier Blanchard.

[2] “Don’t fire until you see the white of their eyes” (“Non fate fuoco finché non vedete il bianco dei loro occhi”, letteralmente) è un famoso ordine attribuito all’ufficiale americano William Prescott, durante la Guerra Civile americana.  Pare che Prescott effettivamente dicesse “finché non vedete il colore dei loro occhi”.

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