September 8, 2013, 10:03 am
Mike Konczal argues that the big divide between New Keynesians and Old Keynesians lies in the NK belief that, contra Keynes, the economy can be counted on to “auto-correct” back to full employment. I guess I’d quibble a bit both with the intellectual history and with Mike’s emphasis on rational expectations as the key divide, and I want to say a bit about that. On the main point, however, Mike and I are in complete agreement: any self-corrective forces in the economy of 2013 are very weak and slow, and we can stay depressed for a very long time.
OK, so about that history of thought issue: The standard view of a self-correcting economy is that it comes from long-run wage flexibility. The textbook picture — literally: this is taken straight from the World’s Best Principles Book — looks like this:
According to this picture, short-run declines of output below potential are all about short-run nominal wage rigidity. So where does this come from? Actually, its intellectual lineage runs straight back to Modigliani 1944 (pdf) — not exactly a New Keynesian! — who basically added an aggregate supply curve to Hicks’s IS-LM analysis and correctly concluded that this implied that everything depended on M/W, the ratio of the money supply to the wage rate, except in a liquidity trap. As the memory of the 30s receded, that last qualifying clause came to seem like trivial small print.
By the way, at various points in Keynes the master seems to agree, arguing that historically it had been possible to restore full employment by raising the quantity of money relative to wages; his view, however, was that something like a liquidity trap had become the norm by the 1930s. Obviously his prediction proved wrong, but I don’t think his logic was very different from Modigliani’s.
So what does this have to do with our current predicament? Until the late 1990s, I think most Keynesians, old or new, would have said that the process described by the figure may be right, but you don’t want to go through it, because wages adjust so slowly; in the long run the economy self-corrects, but in the long run we are all dead. Far better to get M/W in line by raising M instead of cutting W.
But then came Japan’s rediscovery of the liquidity trap — and a decade later, the Japanification of the whole advanced world. Suddenly Modigliani’s small print becomes big news: even if wages are flexible downward, that doesn’t help, because increasing the real money supply doesn’t reduce interest rates. In terms of the figure above, the aggregate demand curve becomes vertical.
Or maybe worse than that: once we take balance sheet effects into account, the aggregate demand curve may well slope the “wrong” way, so that flexible wages and hence prices make things worse (pdf):
The paradox of flexibility
That figure, by the way, is taken from a paper that is very much New Keynesian in its setup, although the basic insight can be expressed in IS-LM too.
Now, since World War II the US economy always has tended to return to full employment after slumps. Why? Well, the answer is that (a) it wasn’t in a liquidity trap and (b) we had an active monetary policy response (in fact, before 1990 monetary policy generally caused the slumps, so all the Fed had to do was stop the punishment). The trouble is that none of this experience is relevant to our current situation.
So is there no route back to full employment absent the kind of massive stimulus that only seems to happen via war? OK, even Keynes wasn’t that pessimistic: he argued that investment would eventually recover once “use, decay, and obsolescence” created a sufficient scarcity of capital. Once we take the problem of debt into account, I think you’d want to add deleveraging and default — which reduce the debt overhang — to his list. So even on a very Old Keynesian view, depressions aren’t forever. And I think you can see some of those Keynesian mechanisms of long-run recovery at work in the US economy now, with a depleted housing stock and a somewhat reduced debt burden driving a gradual upswing despite Washington’s best efforts.
But it could be a very long time before we have anything like full employment — and there will, as Mike says, be legions of people denying that there even is a gap that needs closing.
L’autocorrezione non funziona (per esperti) [1]
Mike Konczal sostiene che la grande divisione tra Neo Keynesiani e Vecchi Keynesiani consiste nella convinzione dei neokeynesiani che, diversamente da quanto pensava Keynes, l’economia può far conto su un ritorno alla piena occupazione tramite una “autocorrezione”. Penso che avrei un po’ da discutere sia dal punto di vista della storia intellettuale che per l’enfasi di Mike sulle aspettative razionali come ragione fondamentale di divisione, e voglio dire qualcosa a proposito. Sull’aspetto principale, tuttavia, io e Mike siamo completamente d’accordo: tutte le forze autocorrettive sono, nell’economia del 2013, molto deboli e lente, e possiamo restare depressi per un lungo periodo.
Andiamo avanti, dunque a proposito del tema della storia del pensiero. Il punto di vista consueto su una autocorrezione dell’economia è che essa deriva dalla flessibilità nel lungo periodo dei salari. Il diagramma di un libro di testo (letteralmente: questo che segue è preso direttamente da “Il miglior libro al mondo di principi”) appare così [2]:
Secondo questo diagramma, i cali nel breve periodo della produzione al di sotto del suo potenziale dipendono tutti dalla rigidità nominale dei salari nel breve periodo. Effettivamente, la discendenza intellettuale deriva direttamente da Modigliani (1944, disponibile in pdf) – il quale fondamentalmente aggiunse una curva dell’offerta aggregata alla analisi IS-LM di Hicks [3] e concluse correttamente che questo comportava che tutto dipendeva dal rapporto tra Moneta e Salari, il rapporto tra l’offerta monetaria e la quantità di salario in una unità di tempo [4], ad eccezione di una situazione di trappola di liquidità. Quando la memoria degli anni Trenta venne meno, l’ultima clausola fondamentale finì col sembrare una banale appendice scritta con caratteri minimi.
Per inciso, in vari passaggi di Keynes il ‘maestro’ [5] sembra convenire , sostenendo che storicamente è stato possibile ripristinare la piena occupazione accrescendo la quantità di moneta in rapporto ai salari; il suo punto di vista, tuttavia, era che la trappola di liquidità era diventata la norma negli anni Trenta. Ovviamente, la sua previsione si rivelò sbagliata [6], ma non penso che la sua logica fosse molto diversa da quella di Modigliani.
Cosa ha dunque a che fare tutto questo con il nostro attuale dilemma? Sino alla fine degli anni ’90, io penso che la gran parte dei Keynesiani, vecchi e nuovi, avrebbero detto che il processo descritto nel diagramma poteva essere giusto, ma che quella non poteva essere la strada perché i salari si correggono in modo molto lento; nel lungo periodo l’economia si corregge, ma nel lungo periodo saremo tutti morti. Molto meglio rimettere a posto il rapporto tra Moneta e Salari aumentando la Moneta, invece che tagliando i Salari.
Ma poi intervenne la riscoperta giapponese della trappola di liquidità – e, un decennio dopo, la nipponizzazione di tutto il mondo avanzato. Improvvisamente l’aggiunta in caratteri minimi di Modigliani [7] divenne una grande notizia: persino se i salari fossero flessibili verso il basso, ciò non sarebbe di aiuto, perché incrementando l’offerta reale di moneta non si riducono i tassi di interesse [8]. Nei termini del diagramma precedente, la curva della domanda aggregata diviene verticale.
O forse è peggio ancora: una volta che si mettono nel conto gli effetti sugli equilibri contabili, la curva della domanda aggregata può ben inclinarsi nel modo ‘sbagliato’, cosicché i salari flessibili e di conseguenza i prezzi flessibili rendono le cose peggiori (il riferimento è disponibile in pdf) [9]:
Il paradosso della flessibilità.
Questa figura, per inciso, è presa da uno studio che è molto neokeynesiano nella sua impostazione, sebbene l’intuizione di base possa essere espressa anche in termini di modello IS-LM.
Ora, a partire dalla Seconda Guerra Mondiale l’economia statunitense ha sempre teso a ritornare alla piena occupazione dopo le crisi. Perché? Ebbene, la risposta è: a) non c’era una trappola di liquidità; b) ci fu una risposta di una politica monetaria attiva (di fatto, prima del 1990 era la politica monetaria che provocava in generale le cadute, cosicché tutto quello che la Fed doveva fare era fermare le restrizioni). Il guaio è che nella nostra situazione attuale niente di quelle esperienze è rilevante.
Dunque, non c’è alcuna strada per tornare alla piena occupazione in mancanza di quel genere di stimolazione massiccia che può soltanto aver luogo attraverso una guerra? Ebbene, neppure Keynes era così pessimista: egli sostenne che ci sarebbe stata alla fine una ripresa degli investimenti, una volta che “l’uso, il decadimento e l’obsolescenza” avessero determinato una sufficiente scarsità di capitale. Una volta che si metta nel conto il problema del debito, penso che si voglia aggiungere alla sua lista (alla lista dei fattori che Keynes considerava utili alla ripresa degli investimenti, ndt) la riduzione dei rapporti di indebitamento e il default, che entrambi riducono l’eccesso di debito. Dunque, persino in un punto di vista tardo keynesiano, le depressioni non sono infinite. Ed io penso che si possano vedere alcuni di questi meccanismi keynesiani di ripresa nel lungo periodo all’opera nell’economia americana attuale, con un riserva di alloggi esaurita e un peso del debito in qualche modo ridotto che spingono ad una oscillazione verso l’alto, a dispetto dei massimi sforzi di Washington.
Ma ci vorrà molto tempo prima che si abbia qualcosa di simile alla piena occupazione – e ci saranno, come dice Mike, legioni di individui che negheranno persino che ci sia un buco al quale si deve porre rimedio.
[1] Il titolo credo è pieno di errori per significare, appunto, che non funziona il correttore automatico ….
[2] Una spiegazione sommaria della Tabella..
Il titolo del diagramma è: “Effetti di uno shock negativo della domanda; il lungo periodo a confronto del breve periodo”. Sull’asse verticale il livello complessivo dei prezzi, su quello orizzontale il PIL reale. Le due linee AD1 e AD2 indicano, con una differenza che spiegheremo subito, il verso della Domanda Aggregata; l’ipotesi appunto è che accada uno shock iniziale della domanda aggregata e che, dunque, esso provochi una riduzione del livello complessivo dei prezzi e della produzione, scendendo verso il basso e riducendo così anche l’incremento del PIL reale. Questo processo iniziale provoca naturalmente anche una più elevata disoccupazione, nel breve periodo. Ma questo accade sinché una eventuale caduta nei salari nominali nel lungo periodo porta ad una crescita dell’offerta aggregata; a partire da lì l’economia torna verso i livelli della sua produzione potenziale. Questo ultimo processo è espresso dalla traslazione, appunto, dalla linea 1 della domanda aggregata a quella della linea 2, e analogamente dal passaggio dalla linea dell’offerta aggregata 1 a quella dell’offerta aggregata 2 (le sigle SRAS 1 e 2 significano: offerta aggregata di breve periodo, 1 e 2).
[3] Vedi note sulla traduzione a “Modello IS-LM”.
[4] Appunto, il tasso salariale. L’unità di tempo può essere di un’ora o di un giorno.
[5] Mi pare chiaro che “master” sia da leggere in rapporto a Keynes e non a Modigliani. Per questo traduco ‘Maestro’ e non, magari, con il termine più comune di ‘professore’.
[6] Nel senso che la trappola di liquidità non rimase nel tempo una condizione obbligata.
[7] Ovvero, l’eccezione per la situazione di trappola di liquidità alla quale egli aveva fatto riferimento.
[8] Giacché in una trappola di liquidità essi sono prossimi allo zero nominale, e non possono ridursi ulteriormente (perché il quel caso converrebbe tenersi i soldi in tasca).
[9] Quello che accade di diverso in questo diagramma, rispetto a quello precedente, è che per effetto dei tassi di interesse che non possono essere ridotti, le curve della domanda aggregata vanno verso l’alto dell’asse del livello complessivo dei prezzi (ed anche verso la sinistra dell’asse del PIL reale, cioè in area di depressione, di caduta della produzione). In quel caso avere salari flessibili – come nella linea “AS flexible” – anziché rigidi – come nella linea “AS sticky” – peggiora le cose. Ovvero rende ancora peggiora il risultato in termini di PIL minore e di disoccupazione maggiore.
By mm
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