September 10, 2013, 5:09 pm
A further thought on this ongoing discussion with Konczal, Baker, and Rowe over whether economies tend to self-correct. I think it’s useful to ask why, as a practical matter, conventional policy-oriented macroeconomists (myself included) used to think we could normally count on a fairly quick return to full employment after a shock — and why we shouldn’t think so anymore.
So, think about macro as David Romer presented it back in 2000 (pdf). Romer described his approach as a way to teach macro — real men were supposed to use fully specified intertemporal optimizing models with a cherry on top — but I think it’s actually the way most practical macro people actually thought and to some extent still think. You basically represent the demand side of the economy with an IS curve; you imagine that monetary policy follows some kind of Taylor rule, in which the central bank sets interest rates based on the inflation rate and possibly some measure of economic slack; and you represent the supply side of the economy with a post-Friedmanite Phillips curve in which inflation rises ever higher if the economy is operating above potential, falls ever lower if the economy is operating below potential.
This is an equilibrating system — I’m not sure if it’s exactly self-equilibrating, because part of the mechanism runs through the mind of the central bank. But anyway, suppose the economy is depressed; this will lead to steadily falling inflation, which will lead the central bank to keep cutting interest rates (and because the inflation coefficient in Taylor rules is always bigger than one, this means cutting real rates); and eventually the interest rate will fall enough to restore full employment.
So what’s wrong with this pretty picture? Two ugly zeroes.
First is the zero lower bound on the interest rate: after a sufficiently large shock, the Taylor rule may say that you should keep cutting rates, but you can’t. Second is downward nominal rigidity, which isn’t quite as binding a constraint, but does lead the Phillips curve to be non-vertical in the face of very low inflation; as an IMF study of persistent large output gaps found, even years of a deeply depressed economy tend to produce at most slow, grinding deflation, and more usually slight positive inflation, not the ever-accelerating deflation the standard model would have predicted.
So here’s what happens after a large negative shock to the economy: the central bank finds itself up against the zero lower bound, so that all it can do is resort to controversial unorthodox measures. It might do that, or fiscal policy might be forced into action, if the economy really were suffering from accelerating deflation; but instead all you see is low inflation, which might even lead some central bankers to declare that they were doing their job just fine.
In the Bond movies, two zeroes meant a license to kill. In monetary policy, two zeroes — the hard zero on interest rates and the soft zero on wage changes — can, all too easily, give central bankers a de facto license to let the economy stagnate, remaining far below potential for an indefinite length of time.
Licenza di ristagnare [1]
Un ulteriore pensiero sulla discussione che continua con Konczal, Baker e Rowe sul fatto se le economie tendano ad auto correggersi. Penso che sia utile chiedersi perché, da un punto di vista pratico, gli economisti tradizionali orientati verso la politica (incluso il sottoscritto) erano abituati a pensare che si sarebbe normalmente potuto far conto su un abbastanza rapido ritorno alla piena occupazione dopo una crisi – e perché non dovremmo più ragionare in tal modo.
Dunque, pensiamo all’economia macro nello stesso modo in cui David Romer la presentava nel 2000 (disponibile in pdf). Romer descriveva il suo approccio come un modo per insegnare la macroeconomia – si supponeva che uomini in carne ed ossa utilizzassero modelli di ottimizzazione intertemporale [2] completamente specificata con una ciliegina in cima – ma io penso che si trattasse del modo più pratico nel quale effettivamente i teorici dell’economia ragionavano e in qualche misura ragionano ancora. Fondamentalmente ci si rappresenta il lato della domanda dell’economia con una curva IS [3] ; ci si immagina che la politica monetaria segua un qualche tipo di regola di Taylor, nella quale la banca centrale definisce i tassi di interesse basandosi sul tasso di inflazione e magari su qualche misura di allentamento dell’economia; e si rappresenta il lato dell’offerta con una curva di Phillips post friedmaniana, nella quale l’inflazione sale persino più in alto se l’economia sta operando sopra il suo potenziale, e cade persino più in basso se sta operando sotto il suo potenziale.
Questo è un sistema in equilibrio – non sono sicuro che sia esattamente in auto equilibrio, perché una parte del meccanismo passa attraverso la mente della banca centrale. Ma, in ogni caso, supponiamo che l’economia sia depressa; questo porterà ad una costante caduta dell’inflazione, che porterà la banca centrale a tagliare i tassi di interesse (e poiché il coefficiente di inflazione nelle regole di Taylor è sempre maggiore di uno, questo significa tagliare i tassi di interesse reali); ed alla fine il tasso di interesse cadrà a sufficienza da ripristinare la piena occupazione.
Cosa c’è dunque di sbagliato in questo grazioso disegno? Due sgradevoli ‘zero’.
Il primo è il limite inferiore di zero sul tasso di interesse: dopo uno shock sufficientemente grave, la regola di Taylor può dire che si dovrebbe tagliare i tassi di interesse, ma non si può. Il secondo è la rigidità verso il basso (dei salari e dei prezzi), che non è così vincolante come un obbligo, ma conduce la curva di Phillips ad essere non verticale a fronte di una inflazione molto bassa; come ha scoperto uno studio del FMI su persistenti ampi differenziali di produzione, persino anni di economia profondamente depressa tendono a produrre tutt’al più una lenta, opprimente deflazione, e più frequentemente una leggermente positiva inflazione, non la deflazione in continua accelerazione che il modello standard avrebbe previsto.
Ecco dunque quello che accade dopo uno shock ampiamente negativo nell’economia: la banca centrale si trova dinanzi al limite inferiore dello zero, cosicché tutto quello che può fare è ricorrere a controverse misure non ortodosse. Può farlo, o in alternativa si potrebbe essere costretti a mettere in atto politiche della spesa pubblica, se l’economia stesse davvero soffrendo per una deflazione incalzante; ma quello a cui si assiste è invece una inflazione lenta, che potrebbe persino indurre qualche banchiere centrale a dichiarare di star svolgendo il proprio compito proprio nel migliore dei modi.
Quanto ai movimenti dei bonds, i due zeri significano una licenza di uccidere. Nella politica monetaria, i due zeri – lo zero più grave sui tassi di interesse e quello più leggero sui cambiamenti salariali – possono, anche troppo facilmente, dare di fatto ai banchieri centrali la licenza di lasciare l’economia nella stagnazione, restando molto al di sotto delle potenzialità per un tempo indefinito.
[1] Questa volta Krugman non lo premette, ma il post è sicuramente di quelli più complessi.
[2] Ovvero, soluzioni capaci di dar conto di uno dei problemi tradizionalmente più complessi della teoria economica: la rappresentazione dell’evoluzione dei comportamenti e degli eventi all’interno di un modello matematico, tendenzialmente statico. Fu, ad esempio, la ragione principale per la quale John Richard Hicks criticò il suo stesso modello (il citatissimo, in queste pagine, IS-LM) e prese le distanze dalla sua ricerca in un periodo successivo.
[3] Nel modello suddetto, IS sta per Investimenti/Risparmi.
By mm
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