Blog di Krugman

Flessibilità dei salari in dottrina e in politica (per esperti) (13 ottobre 2013)

 

October 13, 2013, 7:17 am

Wage Flexibility in Doctrine and Policy (Wonkish)

I probably should have made clear in my post on sticky wages that I was arguing for stickiness as a central issue in the history of macroeconomic thought, not as a central issue in current policy. I’ve been arguing for years that when you’re in a liquidity trap wage flexibility actually hurts rather than helps; this is the paradox of flexibility, which arises, roughly speaking, because under current conditions the aggregate demand curve is upward-sloping thanks to debt and balance sheet effects.

But if we look at the way the civil war emerged in macro during the 1970s, both sides assumed downward-sloping aggregate demand (the liquidity trap was a distant memory), so the whole focus was on aggregate supply. The key issue then because whether it was acceptable to assume an upward-sloping short-run AS curve even though we had no “microfoundations” for that assumption, just observation of reality. Half the relevant profession decided that although it might be true in practice, it wasn’t true in theory, and therefore couldn’t happen.

 

At this point, of course, we have many cohorts of economists trained in freshwater schools who don’t know this history — they just know that Keynes was “proved wrong” in the 70s, but don’t know the context, and are shocked, shocked to discover that the other half of the profession continued to take the evidence on sticky wages seriously despite the lack of a maximizing model to explain it.

One small note: what about stagflation? It’s true that the outward shift of the apparent tradeoff between unemployment and inflation during the 70s had an important impact on macroeconomics; it mattered a lot that Friedman and Phelps had predicted exactly that kind of shift by working with models that attempted, in a rough way, to provide microfoundations for aggregate supply. This lent some credibility to the freshwater exercise — I remember a few classmates in grad school saying things like, “Well, they’ve been right so far, so maybe they’re right about the next step”, which was rational expectations and microfoundations all the way down.

But by the early 80s it was already clear that going all the way was wrong. Textbook Keynesian economics (literally: think Dornbusch-Fischer and Gordon) had comfortably incorporated inflation expectations, while the persistence of recessions and the evident ability of fully anticipated monetary policy to move the real economy had made Lucas-type models unsustainable.

So stagflation mattered, but Keynesians responded by adapting their models; anti-Keynesians, by contrast, responded to their own empirical debacle in the 1980s by withdrawing deeper into their bubble.

 

Flessibilità dei salari in dottrina e in politica (per esperti)

 

Probabilmente  avrei dovuto chiarire nel mio post sui salari rigidi che stavo ragionando della rigidità [1] come tema centrale nella storia del pensiero macroeconomico, non come tema centrale nella politica attuale. Vengo sostenendo da anni che quando si è in una trappola di liquidità la flessibilità dei salari in effetti danneggia più che aiutare; è questo il paradosso della flessibilità [2], il quale si manifesta, parlando in termini approssimativi, perché nelle attuali condizioni la curva della domanda aggregata inclina verso l’alto a seguito degli effetti del debito e degli equilibri patrimoniali .

Ma se guardiamo al modo in cui si rappresentò quella sorta di guerra civile nella teoria economica durante gli anni ’70, entrambi gli schieramenti davano per implicita una domanda aggregata che inclina verso il basso (la trappola di liquidità era un lontano ricordo), cosicché l’intera attenzione era riposta sull’offerta aggregata. Il tema fondamentale, allora, era se fosse accettabile assumere una curva di breve periodo della offerta aggregata che inclinava verso il basso, anche se non si aveva alcun fondamento microeconomico per un assunto del genere, essendo solo una osservazione della realtà. Una metà della disciplina economica che aveva rilievo decise che, sebbene potesse essere vero in pratica, non era vero in teoria, e di conseguenza non poteva succedere.

Al giorno d’oggi, naturalmente, abbiamo truppe di economisti addestrati nelle scuole dell’orientamento dell’ “acqua dolce” [3] che non conoscono questa storia – essi sanno soltanto che negli anni ’70 si dimostrò che Keynes aveva torto, ma non conoscono il contesto e sono scioccati, letteralmente scioccati, nello scoprire che l’altra metà continuò seriamente a far propria l’evidenza dei salari rigidi nonostante la mancanza di un modello di massimizzazione che lo spiegasse.

Una piccola nota: che dire della stagflazione? E’ vero che lo spostamento verso l’esterno dello scambio apparente tra disoccupazione ed inflazione durante gli anni ’70 ebbe un impatto importante sulla teoria economica; fu molto rilevante il fatto che Friedman e Phelps avessero previsto esattamente quel tipo di spostamento sulla base di modelli che tentavano, in modo approssimativo, di fornire fondamenti microeconomici all’offerta aggregata. Questo concesse qualche credibilità agli esercizi della scuola dell’ “acqua dolce” – ricordo qualche compagno di corso che diceva cose come: “Bene, hanno avuto ragione sinora, dunque potrebbero aver ragione al prossimo passo”, il che comportò che la teoria delle aspettative razionali e dei fondamenti micro dilagasse.

Ma agli inizi degli anni ’80 era già chiaro che quel dilagare era infondato. Libri di testo di economia keynesiana (in particolare, si pensi a Dornbusch-Fischer e Gordon) avevano incorporato agevolmente le aspettative di inflazione, mentre la persistenza delle recessioni e l’evidente capacità di una politica monetaria pienamente giocata in anticipo nello smuovere l’economia reale resero i modelli del tipo di quello di Lucas insostenibili.

Dunque la stagflazione fu importante, ma i keynesiani risposero adattando i loro modelli; gli antikeynesiani, all’opposto, risposero alla loro pratica débâcle degli anni 80 ritirandosi sempre più nel profondo della loro bolla.  



[1] O “vischiosità”, più precisamente.

[2] Il “paradosso della flessibilità” è un concetto – vedi Wikipedia, ma in lingua inglese – introdotto nel 2011 da Paul Krugman e Gauti Eggertsson nel saggio “Debito, riduzione dei rapporti di indebitamento e trappola di liquidità: un approccio ispirato a Fisher, Minsky e Koo”. Esso consiste nel fatto che in uno shock derivante da una deflazione da debito l’aumento dei prezzi e la flessibilità dei salari si risolvono in una ulteriore diminuzione della domanda totale.

[3] Vedi le note sulla traduzione.

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