Blog di Krugman

Gli sbagli della ‘causalità immacolata’ (16 ottobre 2013)

 

October 16, 2013, 11:49 am

Fallacies of Immaculate Causation

Brad DeLong reminds us of Eugene Fama’s remarkable (in the worst way) claim that stimulus can’t work as a matter of logic. It was actually that claim, and its endorsement by John Cochrane , that led me to the realization that we were living in a dark age of macroeconomics.

This is, I suppose, the kind of thing that leads some people to accuse me of being uncivil and engaging in ad hominem attacks. I guess we’re supposed to be respectful when economists resurrect fallacies that were corrected three generations ago, and present those fallacies as new and important insights. But I don’t have it in me to do that, especially when those resurrected fallacies are being used to confuse public discussion in a time of economic crisis, when it matters a great deal whether we have the right policy response.

In any case, Fama’s confusion is of a fairly common type (although we should expect better from famous economists.) Call it the fallacy of immaculate causation. I first encountered it in the field of international macro, where people used the identity S-I = X-M to argue that trade balances could adjust with no need for changes in relative prices; John Williamson dubbed this the fallacy of immaculate transfer. The Fama-Cochrane fallacy is just the domestic version.

Here’s what happens: you start with an accounting identity, in this case savings = investment, and treat it as a causal relationship – savings => investment – imagining that this excuses you from the need to lay out a mechanism for this alleged causation.

The immediate thing Fama should have asked himself, even if completely ignorant of the history of macroeconomics, is why the causation necessarily runs from savings to investment. Why not the other way around? In fact, in simple Keynesian models investment (determined by animal spirits) does in fact determine the level of savings. More broadly, however, you always want to ask about the motives of economic actors; only by thinking through who does what why can you actually learn anything about the actual implications of an accounting identity.

In this case, ask what happens if consumers decide to save more. What do they actually do? They cut their spending. Now, how does the equality S=I hold? In the very short run, it’s likely to hold through involuntary actions – that is, the accounting identity doesn’t say that *desired* saving and investment are always equal. If consumers try to save more, firms may engage in involuntary investment, as inventories pile up, and consumers may find that they’re not saving as much as they intended to, because their incomes fall. Naturally, these unintended results will lead to further changes in behavior, with firms cutting production and consumers further reducing spending, until we eventually reach a sort of equilibrium in which desired saving and desired investment match up; this new equilibrium need not be one in which investment rises, and could well be one in which investment falls.

To reach the conclusion that higher desired savings lead to higher investment, you have to explain how the desire of consumers to save more gives firms an incentive to spend more. Lower interest rates could do the trick – but not in an economy where rates are already zero.

The point, in any case, is that accounting identities can only tell you so much. Anyone who claims that the identities tell you everything you know, without an actual model of how things work, is just doing bad economics. And I’m sorry, but I’m not going to be respectful or pretend that we’re having a serious debate when economists who should know better engage in such obvious fallacies.

 

Gli sbagli della ‘causalità immacolata’

 

Brad DeLong ci ricorda la considerevole (nel senso peggiore) pretesa di Eugene Fama secondo la quale lo stimulus non può funzionare per una ragione di logica. Fu esattamente quella pretesa, e la adesione da parte di John Cochrane, che mi indusse a rendermi conto (come scrissi) che vivevamo in un’epoca  buia della macroeconomia.

Suppongo che questo sia il genere di giudizi che portano alcune persone ad accusarmi di inciviltà e di una propensione agli attacchi personali. Immagino che si pensi che si dovrebbe avere rispetto quando gli economisti rimettono in vita sbagli che furono corretti tre generazioni orsono, e presentano tali sbagli come intuizioni nuove e importanti. Ma a me non riesce, specialmente quando quegli errori risuscitati vengono usati per portare confusione nel dibattito pubblico in un periodo di crisi economica, quando ha grande importanza avere la risposta politica corretta.

In ogni caso, la confusione di Fama è di un genere abbastanza frequente (per quanto ci si aspetterebbe di più da economisti famosi). Lo potete chiamare l’errore della ‘causalità immacolata’. Lo incontrai per la prima volta nel campo dell’economia internazionale, dove c’erano persone che utilizzavano l’identità S-I=X-M [1] per sostenere che gli equilibri commerciali potevano essere corretti senza bisogno di alcun cambiamento nei prezzi relativi; John Williamson lo soprannominò come l’errore dell’ “immacolato trasferimento”. L’errore di Fama-Cochrane è semplicemente la versione interna.

Ecco che cosa accade: si comincia con una identità contabile, in questo caso i risparmi sono eguali all’investimento, e la si tratta come una relazione causale (i risparmi sono eguali o superiori all’investimento), immaginando che ciò vi esenti dalla necessità di esibire un meccanismo per questa pretesa causalità.

La cosa immediata che Fama avrebbe dovuto chiedersi, anche se completamente ignorante della storia della macroeconomia, sarebbe stata perché il rapporto di causalità debba necessariamente correre dai risparmi agli investimenti. Perché non il contrario? Di fatto, nei semplici modelli keynesiani è proprio l’investimento (provocato dagli ‘istinti animali[2]) che determina di fatto il livello dei risparmi. Più in generale, tuttavia, sempre ci si deve porre domande sui motivi che muovono gli attori dell’economia; solo riflettendo bene sul “chi-fa-qualcosa-perché” si può effettivamente imparare qualcosa delle implicazioni di una identità contabile [3].

In questo caso, chiedetevi cosa accade quando i consumatori decidono di risparmiare di più. Cosa fanno effettivamente? Tagliano le loro spese. Ora, su cosa si regge l’eguaglianza tra risparmi ed investimenti? Nel brevissimo termine, è probabile che essa si regga su azioni involontarie – vale a dire, l’identità contabile non dice che i risparmi attesi e gli investimenti sono sempre uguali. Se i consumatori cercano di risparmiare maggiormente, le imprese possono, come le scorte si accumulano, impegnarsi in investimenti involontari, e i consumatori possono scoprire di non stare risparmiando quanto volevano, dato che i loro redditi calano. Naturalmente, questi risultati involontari porteranno ad ulteriori modifiche dei comportamenti, con le imprese che taglieranno la produzione ed i consumatori che taglieranno ulteriormente la spesa, finché non arriveremo ad una specie di equilibrio nel quale i risparmi attesi e gli investimenti si equivarranno; questo nuovo equilibrio non c’è bisogno che veda l’investimento crescere, potrebbe benissimo vederlo diminuire.

Per arrivare alla conclusione secondo la quale risparmi attesi più elevati portano ad investimenti più elevati, dovete spiegare come il desiderio dei consumatori di risparmiare dia alle imprese un incentivo a spendere maggiormente. I tassi di interessi più bassi possono servire a tale scopo – ma non in una economia nella quale i tassi sono già a zero.

Il punto, in ogni caso, è che le identità contabili possono dirvi soltanto sino a un certo punto. Tutti quelli che pretendono che le identità contabili vi dicano tutto, senza un effettivo modello di come le cose funzionino, non fanno niente di più che una pessima economia. E mi dispiace, ma io non ho intenzione di essere rispettoso o di fingere di avere una discussione seria, quando gli economisti che dovrebbero saperne di più si imbattono in errori di tal fatta.



[1] Mi scuso se sto sbagliando, ma la formula dovrebbe significare che in un paese i risparmi meno gli investimenti debbono equivalere alle esportazioni meno le importazioni. In realtà, sempre se non sbaglio, di solito si usano S ed I come indicative dei risparmi e degli investimenti del settore privato (e nella formula di equivalenza si aggiunge T, per entrate fiscali pubbliche, e G, per spesa pubblica). Invece X ed M indicano le esportazioni e le importazioni (“eXports and iMports”).

Come sia possibile, non saprei spiegarlo; ma probabilmente in questo proprio consiste l’ “Immacolato trasferimento” del quale si parla nella frase successiva. O più precisamente, tra i due concetti non c’è alcun nesso visibile ed è fondamentalmente una questione di fede.

[2] Ovvero, nella espressione di Keynes, dalla condotta istintiva dei capitalisti.

[3] Vale a dire, solo riflettendo ‘praticamente’ dei modi nei quali gli attori economici si comportano, si può comprendere se è giusto considerare gli investimenti come una quantità ‘causata’ dai risparmi, e non il contrario.

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