Blog di Krugman

Godwin e il dollaro USA (22 ottobre 2013)

 

October 22, 2013, 10:58 am

Godwin and the Greenback

Oh, dear. I’m starting to notice a shift in the scare talk. Cries that we’re about to turn into Greece, Greece I tell you are getting a bit fainter, maybe because of what I’ve been writing. But taking their place are dire warnings that we’re endangering the dollar’s role as a reserve currency.

Urk. People who talk like this generally have no idea what they mean — that is, they have no idea what the dollar’s role really is, what might endanger that role, and why it matters (to the extent it does). In fact, I’d suggest that there’s almost a Godwin-like principle here, which is that any extended economic discussion ends up with people invoking the need to defend the dollar’s international role — which is in effect a concession that they’ve lost the rest of the argument.

So, what is the dollar’s international role? It is, in a sense, to other currencies the way money is to other assets, filling to some extent the classic three functions of medium of exchange, unit of account, and store of value. In talking about these roles you also want to distinguish between the role in private decisions and the role in official actions. So you get a matrix that looks like this:

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Roles of the dollar

The dollar is, first of all, a vehicle currency (mainly in the interbank market) thanks to thick markets: if a bank wants to convert bolivars into zlotys, it will generally trade the bolivars for dollars, then the dollars for zlotys, rather than try to find someone wanting to make the reverse trade. It is the currency many though by no means all international transactions are invoiced in. And to some extent people hold dollars or dollar-denominated assets because the dollar is more liquid than other currencies.

Meanwhile, governments trying to prop their currencies up or hold them down often do so with trades against the dollar, even if they’re trying to affect some other exchange rate, again because of those thick markets. Some countries peg to the dollar, although not too many these days. And governments hold dollar-denominated reserves.

To some extent the dollar’s role here reflects self-sustaining increasing returns: people use dollars because the markets are thicker and more liquid, and the markets are thicker and more liquid because people use dollars. This circular nature of the position also arguably means that historical accident matters: the pound remained the world’s leading currency long after Britain had ceased to be the world’s leading economy (although Britain did do a lot of trade, so the case isn’t actually all that clear.) The same factor suggests that a temporary period of inflation or instability could dethrone the dollar more or less permanently.

But is this something we should worry about? First of all, it’s hard to see who really poses a threat to the dollar. You need free movement of capital, which rules out China for now, and deep financial markets; the euro used to look like a viable alternative, but its bond markets are now fragmented along national lines, which makes it much less plausible.

And even if the dollar loses some of its dominance, why should we get bent out of shape? There is no evidence that America is able to borrow dramatically more cheaply because of the dollar’s role (and anyway more foreign borrowing is not necessarily a good thing.) You often hear claims that we’ve only been able to run persistent trade deficits because of the special role of the dollar; this is just false, since other countries like Britain and Australia have been able to do the same thing.

What is true is that the large holdings of US currency outside the United States — largely in the form of $100 bills, held for obvious reasons — represent, in effect, a roughly $500 billion zero-interest loan to America. That’s nice, but even in normal times it’s only worth around $20 billion a year, or roughly 0.15 percent of GDP. And anyway, the euro has done well on that front too. If you like, South American drug lords hold dollars, Russian beeznessmen hold euros, and in both cases it’s a trivial subsidy to rich, huge economies.

The bottom line is that while saying “the international role of the dollar” sounds very sophisticated and important, the more you know about all this the less you care. This is simply not a big deal.

 

Godwin e il dollaro USA

 

Oddio! Sto cominciando a notare uno spostamento nei dibattiti che fanno paura. Gli strepiti sul fatto che siamo destinati a finire come la Grecia, nientedimeno,  si attenuano un po’, forse per effetto di quello che scrivo. Ma ammonimenti terribili sul fatto che staremmo mettendo in pericolo il ruolo del dollaro come valuta di riserva stanno prendendo il loro posto.

Per la miseria! Le persone che dicono una cosa del genere in genere non hanno alcuna idea di cosa intendono – cioè, non hanno alcuna idea di cosa sia il dollaro realmente, di cosa possa mettere in pericolo il suo ruolo e del perché ciò sia importante (ammesso che lo sia). In pratica, io suggerirei che il questo caso ci sia quasi un principio simile a quello di Godwin [1], secondo il quale ogni prolungato dibattito economico finisce con persone che invocano il bisogno di difendere il ruolo internazionale del dollaro – che in effetti è come la ammissione di aver perso ogni residuo argomento.

Dunque, cosa è il ruolo internazionale del dollaro? In un certo senso, verso le altre valute, è quello che il denaro è nei confronti degli altri assets, ricoprendo in qualche misura le tre funzioni classiche di mezzo di scambio, di unità di conto e di riserva di valore. Nel parlare di questi ruoli, potete anche distinguere tra il ruolo nelle decisioni private e quello nelle azioni pubbliche. Avrete così una matrice che appare nel modo seguente:

 

Mezzo di scambio Unità di conto Riserva di valore
privato veicolo fattura investimento
pubblico intervento ancoraggio riserva

Funzioni  del dollaro

 

Il dollaro, prima di tutto, è una valuta veicolo (principalmente nel mercato interbancario) grazie ai mercati ‘densi’ [2]; se una banca vuole convertire bolivars in zloti , generalmente scambierà i bolivars con  dollari, poi i dollari in zloti, piuttosto che cercare qualcuno che voglia fare lo scambio inverso. E’ la moneta nella quale vengono fatturate molte anche se non tutte le transazioni internazionali. E in qualche misura le persone detengono dollari o assets espressi in dollari perché il dollaro è più liquido delle altre valute.

Contemporaneamente, i Governi nel cercare di sostenere le loro valute o di tenerle a freno lo fanno attraverso scambi con il dollaro, persino se stanno cercando di coinvolgere qualche altro tasso di cambio, ancora per le stesse ragioni di quei mercati densi. Alcuni paesi sono ancorati al dollaro, sebbene di questi tempi non così tanti. Ed i Governi detengono riserve espresse in dollari.

In questi casi in qualche misura il ruolo del dollaro riflette rendimenti crescenti che si auto sostengono: le persone usano i dollari perché i mercati sono più ‘densi’ e più liquidi perché le persone usano i dollari. Questa natura circolare della posizione significa anche probabilmente che i casi della storia sono importanti; la sterlina rimase la valuta guida del mondo molto tempo dopo che la Gran Bretagna aveva cessato di essere l’economia guida del mondo (sebbene la Gran Bretagna non avesse una corrispondente quantità di commerci, cosicché l’esempio effettivamente non è così chiaro). Lo stesso fattore suggerisce che un periodo provvisorio di inflazione o di instabilità potrebbe detronizzare il dollaro più o meno permanentemente.

Ma dovremmo preoccuparci per questo? Prima di tutto, è difficile vedere che cosa costituisca per davvero una minaccia per il dollaro. C’è bisogno di un movimento libero dei capitali, la qualcosa per il momento esclude la Cina ed i mercati finanziari ‘profondi’ [3]; si era soliti considerare l’euro come una alternativa praticabile, ma i suoi mercati obbligazionari sono ora segmentati per linee nazionali, il che lo rende molto meno plausibile.

E persino se il dollaro perdesse un po’ del suo dominio, perché dovremmo inquietarci? Non c’è alcuna prova che l’America sia capace di indebitarsi in modo spettacolarmente più conveniente  per il ruolo del dollaro (e in ogni caso indebitarsi in una valuta straniera non è necessariamente una cosa positiva). Si sente spesso sostenere che saremmo stati nelle condizioni di gestire durevoli deficit commerciali in conseguenza del ruolo   speciale del dollaro; questo è proprio falso, dal momento che altri paesi come il Regno Unito e l’Australia sono stati capaci di fare altrettanto.

Quello che è vero è che le grandi proprietà di valuta statunitense fuori dagli Stati Uniti – in gran parte nella forma di banconote da 100 dollari, detenuti per ragioni evidenti – rappresenti, in sostanza, approssimativamente 500 miliardi di dollari di prestito ad interesse zero per l’America. Si tratta di una circostanza piacevole, ma anche in tempi normali ha un valore soltanto di circa 20 miliardi all’anno, ovvero grosso modo dello 0,15 per cento del PIL. E in ogni caso anche l’euro ha avuto su quel fronte un beneficio analogo. Per dirla altrimenti, i signori della droga sudamericani detengono dollari, gli affaristi russi detengono gli euro, ed in entrambi i casi si tratta di un sussidio insignificante per le grandi economie ricche.

Morale della favola: se dire “il ruolo internazionale del dollaro” sembra una cosa davvero sofisticata ed importante, più che ne sapete di questa faccenda e meno che vi interessa. Semplicemente non è una questione rilevante.



[1] Michael Wayne “Mike” Godwin (nato il 1956), avvocato e scrittore americano, nel 1990 stabilì una regola, secondo la quale “nei dibattiti on-line, come diventano un po’ più lunghi, la probabilità che comincino ad apparire espressioni relative al nazismo o ad Hitler si avvicina alla unità”. Questo è diventato una specie di adagio di Internet, al punto che un accenno a cose del genere viene talora considerato come una fine della discussione, come arenatasi in una stupidità.

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[2] Si definisce la crescita della densità di un mercato ogni incremento del numero effettivo di  imprese in un dato mercato,  nel senso che c’è un aumento della probabilità che ogni attore potrà, in un periodo di tempo dato, trovare un attore corrispondente con il quale realizzare guadagni dal commercio. E’ invece “sottile” (“thin”) un mercato con un basso numero di compratori e venditori; in un mercato “sottile” i prezzi sono spesso più volatili e gli assets meno liquidi.

[3] Si definisce ‘profondo’ un mercato – ad esempio un mercato azionario – nel quale la vendita e l’acquisto di un gran numero di quote non influenza drasticamente il prezzo.

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