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La dipendenza dall’Apocalisse (New York Times 24 ottobre 2013)

 

Addicted to the Apocalypse

By PAUL KRUGMAN
Published: October 24, 2013

Once upon a time, walking around shouting “The end is nigh” got you labeled a kook, someone not to be taken seriously. These days, however, all the best people go around warning of looming disaster. In fact, you more or less have to subscribe to fantasies of fiscal apocalypse to be considered respectable.

And I do mean fantasies. Washington has spent the past three-plus years in terror of a debt crisis that keeps not happening, and, in fact, can’t happen to a country like the United States, which has its own currency and borrows in that currency. Yet the scaremongers can’t bring themselves to let go.

Consider, for example, Stanley Druckenmiller, the billionaire investor, who has lately made a splash with warnings about the burden of our entitlement programs. (Gee, why hasn’t anyone else thought of making that point?) He could talk about the problems we may face a decade or two down the road. But, no. He seems to feel that he must warn about the looming threat of a financial crisis worse than 2008.

Or consider the deficit-scold organization Fix the Debt, led by the omnipresent Alan Simpson and Erskine Bowles. It was, I suppose, predictable that Fix the Debt would respond to the latest budget deal with a press release trying to shift the focus to its favorite subject. But the organization wasn’t content with declaring that America’s long-run budget issues remain unresolved, which is true. It had to warn that “continuing to delay confronting our debt is letting a fire burn that could get out of control at any moment.”

 

As I’ve already suggested, there are two remarkable things about this kind of doomsaying. One is that the doomsayers haven’t rethought their premises despite being wrong again and again — perhaps because the news media continue to treat them with immense respect. The other is that as far as I can tell nobody, and I mean nobody, in the looming-apocalypse camp has tried to explain exactly how the predicted disaster would actually work.

On the Chicken Little aspect: It’s actually awesome, in a way, to realize how long cries of looming disaster have filled our airwaves and op-ed pages. For example, I just reread an op-ed article by Alan Greenspan in The Wall Street Journal, warning that our budget deficit will lead to soaring inflation and interest rates. What about the reality of low inflation and low rates? That, he declares in the article, is “regrettable, because it is fostering a sense of complacency.”

 

It’s curious how readily people who normally revere the wisdom of markets declare the markets all wrong when they fail to panic the way they’re supposed to. But the really striking thing at this point is the date: Mr. Greenspan’s article was published in June 2010, almost three and a half years ago — and both inflation and interest rates remain low.

 

So has the ex-Maestro reconsidered his views after having been so wrong for so long? Not a bit. His new (and pretty bad) book declares that “the bias toward unconstrained deficit spending is our top domestic economic problem.”

Meanwhile, about that oft-prophesied, never-arriving debt crisis: In Senate testimony more than two and half years ago, Mr. Bowles warned that we were likely to face a fiscal crisis within around two years, and he urged his listeners to “just stop for a minute and think about what happens” if “our bankers in Asia” stop buying our debt. But has he, or anyone in his camp, actually tried to think through what would happen? No, not really. They just assume that it would cause soaring interest rates and economic collapse, when both theory and evidence suggest otherwise.

 

Don’t believe me? Look at Japan, a country that, like America, has its own currency and borrows in that currency, and has much higher debt relative to G.D.P. than we do. Since taking office, Prime Minister Shinzo Abe has, in effect, engineered exactly the kind of loss of confidence the debt worriers fear — that is, he has persuaded investors that deflation is over and inflation lies ahead, which reduces the attractiveness of Japanese bonds. And the effects on the Japanese economy have been entirely positive! Interest rates are still low, because people expect the Bank of Japan (the equivalent of our Federal Reserve) to keep them low; the yen has fallen, which is a good thing, because it make Japanese exports more competitive. And Japanese economic growth has actually accelerated.

 

Why, then, should we fear a debt apocalypse here? Surely, you may think, someone in the debt-apocalypse community has offered a clear explanation. But nobody has.

 

So the next time you see some serious-looking man in a suit declaring that we’re teetering on the precipice of fiscal doom, don’t be afraid. He and his friends have been wrong about everything so far, and they literally have no idea what they’re talking about.

 

La dipendenza dall’Apocalisse, di Paul Krugman

New York Times 24 ottobre 2013

 

C’era un tempo in cui andare in giro urlando “la fine è vicina” dava un’etichetta di stravaganza, nessuno veniva preso sul serio. In questi giorni, invece, tutta la gente più importante va in giro ammonendo su un incombente disastro. Di fatto, per essere considerati rispettabili dovete più o meno aderire alle fantasie di una apocalisse della finanza pubblica.

E intendo proprio fantasie. Washington ha trascorsi i tre anni e più passati nel terrore di una crisi del debito che continua a non materializzarsi e, in sostanza, che non può aver luogo in un paese come gli Stati Uniti, che hanno la propria valuta e si indebitano con quella. Tuttavia i seminatori di paure non possono convincersi a smettere.

Si consideri, ad esempio, Stanley Druckenmiller, l’investitore miliardario che di recente ha fatto chiasso mettendo in guardia sul fardello dei nostri programmi sociali (diamine, perché nessun altro ci aveva pensato?) Egli potrebbe parlare dei problemi che potremmo affrontare più innanzi, tra un decennio o due, invece no. Sembra che non possa trattenersi dal mettere in guardia sulla incombente minaccia di una crisi della finanza pubblica peggiore di quella del 2008.

Oppure si consideri l’organizzazione dei castigatori del debito denominata Fix the Debt, guidata dagli onnipresenti Alan Simpson e Erskine Bowles. Immagino che fosse prevedibile che Fix the Debt  avrebbe reagito all’ultimo accordo sul bilancio cercando di spostare l’attenzione sul suo tema preferito. Ma l’organizzazione non si accontentava di dichiarare che i problemi di lungo periodo del bilancio americano restavano irrisolti, il che è vero. Aveva bisogno di ammonire che “continuare a rinviare il confronto sul nostro debito è come permettere di bruciare ad un fuoco che potrebbe in qualsiasi momento diventare incontrollabile”.

Come ho notato in precedenza, ci sono due aspetti rilevanti di questa sorta di catastrofismo. Uno è che i profeti di sventura non hanno ripensato alle loro premesse nonostante che abbiano avuto torto più e più volte – forse perché gli organi di informazione continuano a trattarli col massimo rispetto. L’altro è che, per quanto posso dire, nessuno, proprio nessuno, nel campo dell’apocalisse imminente ha provato a spiegare esattamente come potrebbe aver luogo l’annunciato disastro.

Per quanto riguarda l’aspetto che fa venire alla mente il personaggio di Chicken Little [1]: è davvero fantastico, in un certo senso, rendersi conto per quanto tempo strepiti di disastri incombenti abbiano riempito i programmi radiotelevisivi e le pagine dei commenti sui giornali.  Ad esempio, ho appena riletto un intervento di Alan Greenspan sul Wall Street Journal, che ammoniva che il nostro deficit di bilancio avrebbe portato l’inflazione e i tassi di interesse alle stelle. Che dire allora della realtà della bassa inflazione e dei bassi tassi? Che è, dichiara in quell’articolo, “disdicevole, perché incoraggia un senso di autocompiacimento”.

E’ curioso come persone che normalmente esaltano la saggezza dei mercati, si precipitino a dichiarare che quegli stessi mercati  stanno sbagliando tutto dal momento che non entrano nel panico come si supporrebbe facessero. Ma la cosa davvero sorprendente è la data: l’articolo del signor Greenspan venne pubblicato nel giugno del 2010, quasi tre anni e mezzo fa – e sia l’inflazione che i tassi di interesse sono rimasti bassi.

Ha dunque riconsiderato i suoi punti di vista l’ex-Maestro [2], dopo aver sbagliato per così tanto tempo? Neanche un po’. Nel suo nuovo (ed abbastanza scialbo) libro egli dichiara che “il pregiudizio verso un deficit della spesa pubblica senza limiti è il nostro primo problema interno”.

Nel frattempo, a proposito di quella crisi da debito così frequentemente profetizzata e mai arrivata: più di due anni e mezzo fa, in una audizione al Senato, il signor Bowles metteva in guardia sul fatto che fosse probabile che in circa due anni ci saremmo ritrovati a fare i conti con una crisi della finanza pubblica e invitava i suoi ascoltatori a “fermarsi un minuto ed a pensare che cosa sarebbe accaduto” se “i nostri banchieri in Asia” avessero cessato di acquistare le nostre obbligazioni sul debito. Ma ha provato lui, o un altro della sua idea, a riflettere su cosa sarebbe successo? No, non nella realtà. Hanno solo presunto che avrebbe provocato  un brusco rialzo dei tassi di interesse ed un collasso economico, quando sia la teoria che i fatti suggeriscono l’opposto.

Non mi credete? Guardate al Giappone, un paese che, come l’America, ha la sua propria valuta e si indebita in quella, ed ha un debito in rapporto al PIL molto più elevato del nostro. Da quando è entrato in carica, il Primo Ministro Shinzo Abe ha progettato esattamente quel tipo di perdita di fiducia di cui gli ansiosi del debito hanno paura – vale a dire, ha persuaso gli investitori che la deflazione sia passata e che sia l’inflazione ora a delinearsi, la qualcosa diminuisce le attrattive dei bonds giapponesi. E gli effetti sull’economia giapponese sono stati interamente positivi! I tassi di interesse sono ancora bassi, perché le persone si aspettano che la Banca del Giappone (l‘equivalente della nostra Federal Reserve) li tenga bassi; lo yen è caduto, il che è positivo perché rende le esportazioni giapponesi più competitive. E la crescita economica del Giappone si è in effetti accelerata.

Perché, dunque, dovremmo aver paura di una apocalisse del debito qua da noi? Penserete che qualcuno, in quella congrega apocalittica, abbia sicuramente fornito una spiegazione chiara. Ma non l’ha fatto nessuno.

Cosicché, la prossima volta che vi trovate dinanzi ad un individuo in ghingheri e dai modi rispettabili che vi racconta che stiamo vacillando sul precipizio di un disastro finanziario, non vi preoccupate. Sinora lui ed i suoi amici hanno avuto torto praticamente su tutto, e non hanno letteralmente alcuna idea di cosa stiano dicendo.



[1] Chicken Little è il nome di un personaggio disneyiano.

Come molti dei personaggi ideati o prodotti da Disney, anche Chicken Little è ispirato al protagonista di una fiaba molto nota nel mondo anglosassone (Chicken Little, conosciuta anche come Chicken Licken, Henny Penny o Il cielo sta crollando). Il protagonista della fiaba, un ingenuo pulcino, credendo che il cielo stia cadendo sulla terra, allerta gli altri animali del pericolo incombente, creando però un falso allarmismo, allo stesso modo di quanto accade nella fiaba Al lupo! Al lupo!. Di questa situazione approfitta la volpe Foxy Loxy, che riesce a divorare Chicken Little e i suoi amici. (Wikipedia)

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[2] “Maestro” era l’appellativo con il quale l’ex Presidente della Fed veniva chiamato, come omaggio alla sua presunta infallibilità.

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