Blog di Krugman

La politica economica di Bowles a confronto con quella di Abe (21 ottobre 2013)

 

October 21, 2013, 1:33 pm

Bowlesonomics Versus Abenomics

As some readers may have guessed, a number of my recent blog posts have in effect been notes on the way toward my paper and presentation here. I have gotten somewhat obsessed with the question of whether a Greek-style crisis is possible for a country like the United States, and with the amazing way that the conviction that it is has taken root among policy elites without, as far as I can tell, any attempt to explain the actual mechanism.

And by the way: yes, a decade ago I expressed similar worries. But when I learn new things, I change my views. What do you do?

So let me add another piece, partly as a way to make sure that I don’t forget about it in my own writing, and let’s talk about contemporary Japan.

First of all, compare and contrast. Here, again, is Erskine Bowles warning, in March 2011, that terrible things will happen if China stops buying our bonds:

[T]his is a problem we’re going to have to face up to. It may be two years, you know, maybe a little less, maybe a little more. But if our bankers over there in Asia begin to believe that we’re not going to be solid on our debt, that we’re not going to be able to meet our obligations, just stop and think for a minute what happens if they just stop buying our debt.

But just a few months earlier Japan was also worried about Chinese purchases of their debt — worried not that China would stop buying, but about the effects of China starting to buy:

Japan’s government said it will seek discussions with China over the nation’s record purchases of Japanese bonds as an appreciating yen threatens to undermine an economic recovery.

Japan is closely watching the transactions and will seek to maintain close contact with Chinese authorities on the issue, Vice Finance Minister Naoki Minezaki told lawmakers in Tokyo. Finance Minister Yoshihiko Noda suggested at the same hearing that it’s inappropriate for China to buy Japan’s bonds without a reciprocal ability for Japanese to invest in China’s market.

Funny: Japan didn’t seem to think that China was doing it a favor by buying its debt, even though Japan has a much higher debt ratio than we do. And for these purposes, Japan looks a lot like us: it’s an advanced nation that borrows in its own currency and finds monetary policy constrained by the zero lower bound.

It’s instructive here to look at Japan’s real effective exchange rate since the beginning of the economic crisis:

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Bank for International Settlements

You can see why Japan was complaining about the high value of the yen. What was causing that? Not so much Chinese purchases, I’d argue, as ingrained deflation. Once the whole advanced world found itself with zero nominal interest rates, Japan — where people had come to expect deflation at around 1 percent a year, compared with expectations of around 2 percent inflation in the US and elsewhere — was offering higher real interest rates than its counterparts. The result was a strong yen, which was exactly what a liquidity-trap economy didn’t need.

As you can see, however, more recently the yen has declined steeply. What’s that about? The answer is, Abenomics, which has successfully, at least for now, convinced investors that the Bank of Japan has changed its spots and will keep the pedal to the metal for a long time even after moderate inflation sets in.

And think about it: what Abenomics is trying to do, although it’s not stated that way, is reduce investor confidence in Japanese bonds — it’s trying to convince buyers of JGBs that the value of those bonds will in fact be eroded by inflation, not swelled by deflation. So far, it has succeeded.

So has this loss of confidence led to rising Japanese interest rates and a recession? Well, no:

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So Japan has, in effect, engineered the very kind of loss in confidence that politicians in the US and the UK warn, in dire terms, will be our doom unless we cut social programs. And it has been an unambiguous good thing for the Japanese economy.

Now, I’m sure many people will argue that a Chinese loss of confidence in America would play out very differently. But why, exactly? Show me the model — and don’t tell me that it must be true because those great experts in open-economy macroeconomics Erskine Bowles or Admiral Mullen say so.

 

La politica economica di Bowles a confronto con quella di Abe

 

Come molti lettori hanno intuito un certo numero di miei recenti posts sono stati in effetti appunti nella prospettiva di un mio saggio e della sua presentazione in questa sede [1]. Mi sono un po’ fissato sul tema se una crisi di tipo greco sia possibile per un paese come gli Stati Uniti, e sul modo stupefacente nel quale tale convincimento ha preso piede nei gruppi dirigenti della politica senza che, per quanto ne so, ci sia stato nessun tentativo di spiegarne il meccanismo effettivo.

E, per inciso, è vero che un decennio orsono io espressi preoccupazioni simili. Ma quando imparo cose nuove, io cambio le mie opinioni. Voi che fate?

Consentitemi di aggiungere, dunque, un altro pezzo, in parte come modo per assicurami di non dimenticarlo nel mio scritto, e consentitemi di parlare del Giappone dei nostri giorni.

Prima di tutto, un confronto ed una opposizione. Ecco, nuovamente, l’ammonimento di Erskine Bowles nel marzo del 2011, secondo il quale cose terribili sarebbero accadute se la Cina avesse smesso di acquistare le nostre obbligazioni sul debito:

“Questo è un problema con il quale siamo destinati a fare i conti. Sarà tra un anno o due, sapete, forse un po’ di più, forse un po’ di meno. Ma se i nostri banchieri laggiù in Asia cominciano a credere che non saremo affidabili sul nostro debito, che non saremo capaci di far fronte alle nostre obbligazioni, fermatevi e pensate un istante a quello che accadrebbe se decidessero proprio di smettere di acquistare il nostro debito.”

Ma solo pochi mesi prima anche il Giappone di allora era preoccupato dell’acquisto delle proprie obbligazioni da parte dei cinesi – preoccupato non che la Cina smettesse di comperare, ma sugli effetti se avesse cominciato ad acquistarle:

“Il Governo del Giappone ha riferito che cercherà di confrontarsi con la Cina a proposito del livello record di quella nazione nell’acquisto di bonds giapponesi, in quanto minaccia di una rivalutazione dello yen che metterebbe a repentaglio una ripresa dell’economia.

Il Viceministro delle Finanze Naoki Minezaki ha riferito ai parlamentari a Tokio che i l Giappone sta seguendo da vicino le transazioni e cercherà di mantenere stretti contatti con le autorità cinesi su quel tema. Il ministro delle Finanze Yoshihiko Noda, nell’ambito della stessa audizione, ha indicato che sarebbe incongruo acquistare bonds giapponesi da parte della Cina senza una reciproca possibilità per i giapponesi di investire sul mercato cinese.”

Strano: il Giappone non sembra pensare che la Cina stia facendo un favore acquistando le sue obbligazioni sul debito, anche se il Giappone ha una percentuale di debito molto più elevata della nostra. E sotto questi aspetti, il Giappone ci assomiglia molto: è una nazione avanzata che si indebita nella sua propria valuta e si ritrova con una politica monetaria condizionata dal limite inferiore dello zero [2].

A questo proposito, è istruttivo osservare l’effettivo tasso di cambio reale del Giappone dal momento in cui la crisi economica è cominciata:

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Banca dei Regolamenti Internazionali

Vi potete render conto del motivo per il quale il Giappone si stava lamentando per l’alto valore dello yen. Cosa stava provocando tutto ciò? Non erano tanto gli acquisti da parte dei cinesi, voglio supporre, data la deflazione cronica. Una volta che il mondo intero si era ritrovato con tassi di interesse nominali pari a zero, il Giappone – dove le persone sono arrivate ad aspettarsi una deflazione di circa l’1 per cento all’anno, a confronto di aspettative di circa il 2 per cento di inflazione negli Stati Uniti ed altrove – stava offrendo tassi di interesse reali più elevati delle sue controparti. Il risultato era uno yen più forte, ovvero esattamente quello di cui un’economia in trappola di liquidità non ha bisogno.

Come vi siete accorti, tuttavia, di recente lo yen è bruscamente calato di valore. Da cosa è dipeso? La risposta è: la politica economica di Abe [3],che ha convinto con successo gli investitori, almeno per ora, che la Banca del Giappone ha cambiato le sue abitudini e che spingerà sull’acceleratore per un tempo prolungato, anche dopo che una moderata inflazione avrà preso piede.

E pensate a questo: quello che  sta cercando di fare la politica economica di Abe, per quanto essa non sia stata resa esplicita in quel modo, è ridurre la fiducia degli investitori nei bonds giapponesi – essa sta cercando di convincere gli acquirenti dei bonds del Governo del Giappone [4] che il valore di quei bonds sarà di fatto eroso dall’inflazione, non gonfiato dalla deflazione. Sinora essa ha avuto successo.

Così, questa perdita di fiducia ha portato ad una crescita dei tassi di interesse del Giappone ed a una recessione? Ebbene, no:

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Dunque, il Giappone ha effettivamente congegnato quella vera e propria perdita di fiducia contro la quale gli uomini politici negli Stati Uniti e nel Regno Unito mettono in guardia, affermando, con espressioni tremende, che sarà la nostra rovina se non tagliamo i programmi della sicurezza sociale. E si è trattato senza tema di smentite di una ottima cosa per l’economia giapponese.

Ora, io sono certo che molte persone sosterranno che una perdita della fiducia dei cinesi sull’America funzionerebbe in modo molto diverso. Ma per quale ragione, esattamente? Mostratemi il modello – e non raccontatemi che deve essere vero perché lo dicono quei grandi esperti di teoria economica delle economie aperte che sono Erskine Bowles o l’Ammiraglio Mullen [5].


 

 

 


[1] Il link mostra il programma di una prossima iniziativa del Fondo Monetario Internazionale a Washington (14° Conferenza Annuale di Ricerca intitolata a Jacques Polak – un economista olandese deceduto nel 2010, che tra l’altro fu membro della delegazione olandese a Bretton Woods nel 1944, quando si decise la creazione del Fondo Monetario Internazionale). Il pomeriggio del 7 novembre in quella sede avrà luogo una conferenza di Paul Krugman, introdotta da Olivier Blanchard, Direttore del FMI. Oggetto: “Regimi valutari, flussi di capitali e crisi”.

[2] Per “zero lower bound” vedi le note sulla traduzione.

[3] Abenomics è il termine con il quale gli americani definiscono la politica economica di Shinzo Abe, il Primo Ministro del Giappone.

[4] JGB sta per “Japanese Government Bond”.

[5] Non so spiegare a che titolo l’Ammiraglio Mullen entri come esperto, sia pure discutibile, di cose economiche. E’ un ufficiale della Marina americana in pensione, che ha avuto notorietà sia mentre era in servizio che successivamente, per alcune opinioni espresse su tematiche della “sicurezza”. Però negli ultimi anni è entrato a far parte del Consiglio di Amministrazione della General Motors …

 

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