October 20, 2013, 2:56 pm
Here’s Erskine Bowles in March 2011:
[T]his is a problem we’re going to have to face up to. It may be two years, you know, maybe a little less, maybe a little more. But if our bankers over there in Asia begin to believe that we’re not going to be solid on our debt, that we’re not going to be able to meet our obligations, just stop and think for a minute what happens if they just stop buying our debt.
Strange to say, however, neither Bowles nor anyone else of similar views has, as far as I can tell, actually done what he urged: “stop and think for a minute what happens if they just stop buying our debt.” They just assume that it would be catastrophic, without laying out any kind of model of how that would work.
I, on the other hand, have worked out two models, one ad hoc and the other a more buttoned-down New Keynesian-type model — and they just don’t support Bowles’s worries.
Some commenters here have declared it obvious that a cutoff of Chinese funds would drive up interest rates, saying that it’s just supply and demand. That struck me, because it’s exactly what George Will said when I tried to argue, back in 2009, that budget deficits need not lead to high interest rates when the economy is depressed. And in fact the argument that foreigners will reduce their lending to us, sending rates higher, and shrinking the economy even though we have our own currency and monetary policy is, when you think about it, more or less isomorphic to the famously wrong argument that fiscal expansion is contractionary, because it will drive up interest rates.
I am, by the way, grateful to those commenters — thinking about the equivalence of the China-debt and deficit-interest fallacies nudged me into a better, simpler formulation of my NK model, which I’ll say more about in a few days. And my model-building has, in turn, given me a new way to talk about what’s going on.
So, here we go. Start from the observation that the balance of payments always balances:
Capital account + Current account = 0
where the capital account is our sales of assets to foreigners minus our purchases of assets from foreigners, and the current account is our sales of goods and services (including the services of factors of production) minus our purchases of goods and services. So in the hypothetical case in which foreigners lose confidence and stop buying our assets, they’re pushing our capital account down; as a matter of accounting, then, our current account balance must rise.
But what’s the mechanism? (Remember the fallacy of immaculate causation.) The answer is, it depends on the currency regime.
If you’re Greece, the way it works is indeed that interest rates soar, depressing demand and compressing imports until the current account has risen enough; unfortunately, demand for domestic goods falls too, so you have a nasty slump.
But if you’re America or Britain, the central bank sets interest rates, and under current conditions that means holding them at zero. So what happens instead is that your currency depreciates, making exporters and import-competing industries more competitive. The effect on the economy as a whole is therefore expansionary, not contractionary.
Things might be different if the private sector had large debts in foreign currency, as was true in Asia in the 90s. But it doesn’t.
So the conventional wisdom about how we have to fear a Chinese bond-buying strike just doesn’t make sense — and in fact it falls down in exactly the same way as fallacious arguments about the harm done by fiscal deficits in a depressed economy; basically, Erskine Bowles is making the same error as whatshisname.
You may find it hard to believe that so many important and influential people could be dead wrong about the basic economics of our situation. But as far as I can tell, this is simply something “everyone knows”, and none of them have ever thought it through.
Preferenza per la liquidità, fondi mutuabili ed Erskine Bowles
Citazione da Erskine Bowles [1] del marzo del 2011:
“Questo è un problema con il quale siamo destinati a fare i conti. Sarà tra un anno o due, sapete, forse un po’ di più, forse un po’ di meno. Ma se i nostri banchieri laggiù in Asia cominciano a credere che non saremo affidabili sul nostro debito, che non saremo capaci di far fronte alle nostre obbligazioni, fermatevi e pensate un istante a quello che accadrebbe se decidessero proprio di smettere di acquistare il nostro debito.”
Strano a dirsi, tuttavia, né Bowles né chiunque altro con simili punti di vista, per quanto ne so, ha effettivamente fatto quello che sollecitavano a fare: fermarsi e riflettere per un istante a quello che sarebbe accaduto se i cinesi avessero smesso di acquistare il nostro debito. Hanno solo assunto che sarebbe stato catastrofico, senza tirar giù un modello qualsiasi su come avrebbe funzionato.
Io, per mio conto, ho lavorato su due modelli, uno ad hoc e l’altro un più tradizionalista modello di tipo neo keynesiano – ed essi proprio non confermano le preoccupazioni di Bowles.
Alcuni commentatori hanno dichiarato che in questo caso è evidente che un taglio dei finanziamenti cinesi avrebbe spinto in alto i tassi di interesse, dicendo che sarebbe stato niente altro che il meccanismo dell’offerta e della domanda. Questo mi ha colpito, perché è esattamente quello che disse George Will quando, nel passato 2009, cercai di argomentare che i deficit di bilancio non portano necessariamente ad alti tassi di interesse, quando l’economia è depressa. E di fatto l’argomento che gli stranieri ridurranno i loro prestiti verso di noi, spedendo i tassi più in alto, e restringendo l’economia anche se abbiamo la nostra valuta e la nostra politica monetaria è, se ci pensate, più o meno perfettamente sovrapponibile al notoriamente sbagliato argomento secondo il quale l’espansione della finanza pubblica è restrittiva, perché spinge in alto i tassi di interesse.
Per inciso, sono grato a quei commentatori – riflettere sulla equivalenza dell’errore sul debito cinese e di quello sul nesso tra deficit e interesse mi ha spinto ad una migliore e più semplice formulazione del mio modello neokeynesiano, della qualcosa dirò di più nei prossimi giorni. E il mio lavoro sui modelli, a sua volta, mi ha fornito un nuovo modo per descrivere cosa sta succedendo.
Dunque, procediamo. Partiamo dall’osservazione secondo la quale la bilancia dei pagamenti è sempre in equilibrio:
Conto capitale + Conto corrente = 0
dove il conto capitale sono le nostre vendite di assets agli stranieri meno i nostri acquisti di assets dagli stranieri, e il conto corrente sono le nostre vendite di beni e servizi (includendo i servizi dei fattori della produzione) meno i nostri acquisti di beni e servizi. Dunque, nel caso ipotetico che gli stranieri perdessero fiducia e smettessero di acquistare i nostri assets, essi spingerebbero verso il basso il nostro conto capitale; in termini di contabilità, dunque, il nostro conto corrente dovrebbe salire.
Ma in cosa consiste il meccanismo? (Si ricordi l’errore della ‘immacolata causalità’[2]) La risposta è: dipende dal regime valutario.
Se siete la Grecia, il modo in cui esso in effetti opera è che i tassi di interesse schizzano alle stelle, deprimendo la domanda e comprimendo le importazioni sinché il conto corrente non sia salito a sufficienza; sfortunatamente, cade anche la domanda di beni domestici, cosicché avete uno sgradevolissimo crollo.
Ma se siete l’America o il Regno Unito, la banca centrale fissa i tassi di interesse, e nelle attuali condizioni questo significa che li mantiene a zero. Quello che dunque accade è che piuttosto la vostra moneta si svaluta, rendendo gli esportatori e le industrie in competizione con l’import più competitive. L’effetto sull’economia è nel suo complesso, di conseguenza, espansivo e non restrittivo.
Le cose possono essere diverse se il settore privato ha larghi debiti in valuta straniera, come avvenne in Asia negli anni ’90. Ma non è questo il caso.
Dunque, il senso comune secondo il quale dobbiamo aver paura di uno sciopero dei cinesi nell’acquisto di obbligazioni non ha proprio senso – e di fatto viene meno esattamente nello stesso modo in cui vengono meno gli argomenti erronei sul danno che verrebbe dai deficit della finanza pubblica in una economia depressa; fondamentalmente, Erskine Bowles sta facendo lo stesso errore di “come-si-chiama” [3].
Potete trovare difficile credere che molte persone importanti ed influenti sbaglino in modo così plateale sugli aspetti economici di fondo della nostra situazione. Ma, per quanto posso dire, si tratta di cose che passano per essere ovvie, e nessuno di loro si è mai dato la pena di rifletterci.
[1] Democratico americano, già collaboratore di Clinton, Copresidente della Commissione sulla Responsabilità e la Riforma della Finanza Pubblica.
[2] Vedi post precedente del 16 ottobre.
[3] “Whatshisname” (come “whatshisface”) è una espressione che si usa quando non si ricorda il nome di qualcuno. Non è chiaro a chi si riferisca, perché colui che aveva sostenuto lo stesso argomento dell’aumento dei tassi di interesse era George Will, noto giornalista conservatore (negli anni ’80 definiti come il più importante negli Stati Uniti dal Wall Street Journal), ma lo ha appena citato sopra. A meno che … non si voglia riferire al nome stesso di Bowles – Erskine – che secondo UrbanDictionary è un “Tizio che sa come far ridere tutti in una festa, l’anima della festa”.
By mm
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