Abbiamo tradotto l’intero dibattito provocato dall’articolo del 2 ottobre di Kenneth Rogoff (“Il Regno Unito non dovrebbe considerare garantito il suo status di creditore”). Ovvero, in sequenza: Simon Wren-Lewis il 3 ottobre ( “Ken Rogoff sull’austerità inglese”); Paul Krugman, ancora 3 ottobre (“Crisi fantasma”); la replica a entrambi di Kenneth Rogoff del 7 ottobre (“Tre sbagli non fanno una cosa giusta”); la controreplica di Krugman del 7 ottobre (“Credibilità fino in fondo”); l’intervento di Robert Skidelsky del 21 ottobre (“Un’opinione distorta dell’austerità inglese 21 ottobre”). A parte l’interesse in sé dell’argomento – se la politica economica di austerità di questi anni del Regno Unito fosse giustificata dal rischio di essere travolti da un collasso dell’euro – confesso che quella discussione mi aveva attirato per una diversa ragione: quale evoluzione ci sarebbe stata nel confronto tra Rogoff e Krugman, dopo le polemiche abbastanza aspre a seguito della scoperta di alcuni errori piuttosto clamorosi che Rogoff e la Reinhart avevano commesso nel sostenere la tesi della “soglia pericolosa” di un rapporto debito-PIL del 90 per cento? Quelle polemiche avevano provocato una eco abbastanza vasta; si erano registrate prese di posizione ostili alla “ruvidezza” di Krugman da parte di altri economisti (ad esempio, Raghuram Rajan, il 7 agosto); Krugman stesso, del resto, pur con la nettezza con la quale conduce le sue polemiche, non aveva mai taciuto il rispetto per le ricerche di Rogoff sulla storia del debiti pubblici nazionali. E, nel passato, nello schieramento di Krugman non erano certo mancati inviti – in una occasione proprio da parte di Wren-Lewis – a condurre il dibattito con maggiore accortezza; segni, diciamo così, di differenza di valutazioni ‘tattiche’ che mi avevano interessato. Insomma: il tema di come si evolve la ‘politica degli economisti’, soprattutto angloamericani.
Non ripercorro qua dettagliatamente i contributi – talora specialistici – di quest’ultima discussione. In estrema sintesi si potrebbero riassumere in questo modo: da Rogoff una giustificazione con qualche distinguo alle politiche di austerità dei conservatori inglesi, perché il rischio di essere coinvolti in una débâcle dell’euro non sarebbe stato, in questi anni, immaginario (nel testo si ironizza su un Signor Pangloss del debito pubblico, che avrei giurato essere il Premio Nobel americano …); Wren-Lewis pare soprattutto interessato a ricucire una discussione meno aspra, incassa i riconoscimenti di Rogoff alla possibilità di maggiori investimenti in questi anni e ricorda che la Banca di Inghilterra avrebbe potuto tranquillamente fronteggiare una poco verosimile ‘fuga’ degli investitori; Krugman, suppongo a fatica non raccogliendo la provocazione su Pangloss e dicendosi interessato ad un confronto serio, mette in evidenza i modelli che indicano come le paure di Rogoff siano infondate; Rogoff replica insistendo che se l’euro si avviasse ad un esito calamitoso le sue tesi sarebbero possibili anche con i modelli indicati da Krugman; Krugman controreplica osservando che nessun diverso modello è stato offerto e che il tema della credibilità sembra trattato da Rogoff in modo un po’ ossessivo; Skidelsky rigetta e ridimensiona tutto l’impianto storico degli argomenti di Rogoff – ovvero la pretesa consuetudine del Regno Unito con rischi di default – mostrando in modo convincente la sua esagerazione ed infondatezza. E ognuno ne tragga le conclusioni che più gli aggradano.
Ma ci sono due aspetti che non ho compreso.
Il primo: in Rogoff c’è un assunto implicito, che il Regno Unito sia un continente a sé, non un membro dell’Unione Europea dal 1973. Voglio dire, non si tratta solo del fatto che abbia mantenuto la sua moneta, ma che non abbia alcuna parte e alcun interesse a partecipare come partner alle sorti economiche dell’Europa; come se camminasse necessariamente adiacente al muro della costruzione europea, con l’unico pensiero che gli possa crollare addosso. In termini politici è un assunto piuttosto curioso; tanto varrebbe, allora, per essere credibili verso gli investitori, allontanarsi da tutta l’impresa, scansarsi in modo più vistoso. Invece si siede nel secondo scranno dell’ “Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza”, che è anche Vicepresidente della Commissione Europea. Ammetto che possa essere un pensiero ingenuo, ma perchè non essere nemmeno sfiorati dall’idea che un progetto sensato di Europa possa essere tra i temi di interesse anche economico del Regno Unito?
Il secondo, sicuramente meno ingenuo: quella politica di austerità ha migliorato le prestazioni finanziarie del Regno Unito? Ha reso più solida quella credibilità? Al proposito, il 10 marzo 2013 Krugman pubblicava sul suo blog un post (“Il FMI sulla trappola di liquidità”) con una interessante elaborazione, consistente nel simulare due possibili andamenti del debito in un paese scherzosamente definito “Osbornia”. Una delle due simulazioni (quella coerente con politiche di austerità) veniva fatta sulla base di una ipotesi di una perdita per effetto di tali politiche dell’1 per cento del PIL potenziale all’anno, con un effetto moltiplicatore dell’1,3; l’altra invece prevedeva che il deficit di bilancio venisse lasciato a se stesso. Nel secondo caso il debito (in rosso) sarebbe rimasto simile, nel primo (in blu) avrebbe avuto l’evoluzione seguente:
Il calcolo veniva fatto sulla base della intervenuta ammissione da parte del FMI di una clamorosa sottostima dell’effetto di moltiplicatore che era invalsa nel passato, e quindi adottando una stima finalmente realistica (appunto, 1,3). Come si vede, al sesto anno la situazione del debito risultava in peggioramento. E “Osbornia”, se non si fosse capito, sarebbe il Regno Unito del Cancelliere dello Scacchiere George Osborne. Ma allora di che si parla?
By mm
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