October 14, 2013, 11:29 am
One of the odd things about the debates we’ve been having over economic policy since the financial crisis is how many people on one side of these debates — the side I’m not on, as it happens — believe that they can win arguments by pulling rank. Critics are dismissed as just bloggers, which supposedly disqualifies them from pointing out errors and untrue statements; ideas are dismissed (wrongly, as it happens) as not part of what anyone has taught graduate students , as if this removes any possibility that the ideas might nonetheless be right.
Do I pull rank the same way? I’m sure that if you go over my writings with a fine-toothed comb, you’ll find some examples. But I try not to; I try to make arguments on the merits, and if I dismiss someone’s contribution, I try to do it based on what he says, not who he is.
What a lot of people — academics, I’m sorry to say, in particular — don’t seem to understand are the limits to what credentials get you, in principle and in practice.
Basically, having a fancy named chair and maybe some prizes entitles you to a hearing — no more. It’s a great buzzing hive of commentary out there, so nobody can read everything that someone says; but if a famous intellectual makes a pronouncement, he both should and does get a listen much more easily than someone without the preexisting reputation.
But academic credentials are neither a necessary nor a sufficient condition for having your ideas taken seriously. If a famous professor repeatedly says stupid things, then tries to claim he never said them, there’s no rule against calling him a mendacious idiot — and no special qualifications required to make that pronouncement other than doing your own homework.
Conversely, if someone without formal credentials consistently makes trenchant, insightful observations, he or she has earned the right to be taken seriously, regardless of background.
One of the great things about the blogosphere is that it has made it possible for a number of people meeting that second condition to gain an audience. I don’t care whether they’re PhDs, professors, or just some guy with a blog — it’s the work that matters.
Meanwhile, we didn’t need blogs to know that many great and famous intellectuals are, in fact, fools. Some of them may always have been fools; some of them are hedgehogs, who know a lot about a narrow area but are ignorant elsewhere (and are, in many cases, so ignorant that they don’t know they’re ignorant — a variant on Dunning-Kruger.) And some of them have, for whatever reason, lost it — I can think offhand of several economists, not all of them all that old, of whom it is common to say, “I can’t believe that guy wrote those papers.”
And let me add that believing that you can pull rank in this wide-open modern age is itself a demonstration of incompetence. Who, exactly, do you think cares? Not the readers, that’s for sure.
True, it’s now a rough world for people who do sloppy work, and are counting on their credentials to shield them from criticism. Somehow, though, I can’t seem to muster any sympathy.
Sa chi sono io?
Una delle cose strane a proposito delle discussioni che abbiamo sulla politica economica sin dalla crisi finanziaria è che molte persone di uno schieramento di quei dibattiti – per combinazione, lo schieramento del quale non faccio parte – credono di poter averla vinta facendosi forti della propria autorità. I critici vengono liquidati come semplici bloggers, il che si suppone li renda inidonei ad indicare errori ed affermazioni non vere; le idee non vengono prese in considerazione (sbagliando, sempre per caso) in quanto non fanno parte di quello che tutti insegnano agli studenti universitari, come se questo escludesse ogni possibilità che quelle idee siano ciononostante giuste.
Mi faccio anch’io forte della mia autorità? Sono certo che se esaminate al microscopio i miei scritti [1], troverete qualche esempio. Ma non è quello che cerco di fare; io cerco di avanzare argomenti sul merito, e se respingo il contributo di qualcuno, cerco di farlo basandomi su quello che dice, non su quello che è.
Quello che molte persone – mi dispiace dirlo, in particolare docenti – sembrano non capire è che vi sono limiti a quello che viene dalle credenziali, sia in via di principio che in pratica.
Fondamentalmente, avere una cattedra titolata e magari qualche premio vi autorizza a far sentire la vostra voce – non altro. C’è in giro un frastuono di commenti come fosse un alveare, cosicché nessuno può leggere ogni cosa che dicono gli altri; ma come un famoso intellettuale si pronuncia, egli dovrebbe ottenere e di fatto ottiene, ascolto molto più facilmente di qualcuno privo di una reputazione precedente.
Ma le credenziali accademiche non sono una condizione né necessaria né sufficiente perché le vostre idee siano prese sul serio. Se un professore famoso dice ripetutamente cose stupide e poi cerca di sostenere di non averle dette, non c’è alcuna regola che faccia divieto di definirlo sciocco e menzognero – e non ci sono qualifiche speciali necessarie per sostenere quel parere, altro che aver fatto il vostro lavoro con scrupolo.
Di contro, se qualcuno senza credenziali formali regolarmente avanza osservazioni acute e profonde, lui o lei si sono guadagnati il diritto a essere presi sul serio, a prescindere dal loro retroterra.
Una delle grandi cose della blogosfera è che essa ha reso possibile per un certo numero di persone di soddisfare la seconda condizione per avere un ascolto. Non mi interessa se sono laureti, docenti o semplici individui con un blog – è il lavoro che conta.
Nel frattempo, non avevamo bisogno dei blog per sapere che molti intellettuali grandi e famosi siano, di fatto, degli sciocchi. Alcuni di loro sono sempre stati sciocchi; alcuni di loro sono come porcospini, che sanno molto nella loro ristretta area ma sono ignari di ogni altra cosa (e sono, in molti casi, talmente ignari da non sapere di essere ignoranti – un variante della sindrome di Dunning – Krueger [2]). Ed alcuni di loro, per una qualsiasivoglia ragione, ne hanno perso coscienza – così su due piedi posso pensarlo di vari economisti, non tutti così anziani, dei quali si usa dire: “Non posso credere che quel personaggio scrivesse cose del genere”.
E fatemi aggiungere che credere di potersi far forti della propria autorità in questa epoca moderna aperta in tutti i sensi, è di per sé una dimostrazione di incompetenza. Chi precisamente pensate se ne curi? Non i lettori, questo è certo.
E’ vero, questo di oggi è un mondo ruvido per coloro che lavorano in modo superficiale, e fanno conto delle loro credenziali per proteggersi dalle obiezioni. Ciononostante, in un certo senso non mi riesce di fingere alcuna simpatia.
[1] Veramente, sarebbe “con un pettine dai denti sottili”.
[2] Due psicologi che dimostrarono sulla base di vari test come una caratteristica frequente di persone ignoranti sia il supporre di essere particolarmente valenti.
By mm
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