October 12, 2013, 4:22 pm
Simon Wren-Lewis, following up on Bryan Caplan, makes the case that downward nominal rigidity of wages is simply a fact, attested to by overwhelming evidence. Furthermore, it’s a fact that we understand fairly well in terms of behavioral economics. So he suggests that the unwillingness of many macroeconomists to incorporate this fact in their models — because it doesn’t have “microfoundations” — says something disturbing about the state of the field.
He’s right, but I have the sense that many of his readers — and just about all of Caplan’s commenters — don’t understand the significance of this observation for the history of macroeconomics over the past 40 years.
You see, the question of wage (and price) stickiness, and hence of real effects of changes in nominal demand, was what the great rejection of Keynesianism was all about. And I mean all about. Back in the 70s, there was hardly any discussion of the determinants of nominal demand; what Lucas and his followers were arguing was that Keynesianism must be rejected because it was unable to derive wage stickiness from maximizing behavior.
Lucas initially argued that unexpected nominal shocks still mattered, because people couldn’t initially distinguish them from real shocks, but that this offered no room for useful policy. Later, freshwater economics rejected even that proposition; the business cycle was all about real shocks, with demand playing no role at all.
At no point was this rejection of Keynesianism driven by superior empirical performance; it was all about the principle, about refusing to incorporate anything that wasn’t derived from maximization all the way.
So you can’t say, “Well, OK, maybe people aren’t hyperrational, and wages really are sticky” and then go back to hating on Keynesians. Grant that one point — as you should, because the evidence is overwhelming — and you’ve conceded, whether you know it or not, that much of macroeconomics spent three-plus decades following a blind alley.
I see that some of Caplan’s commenters are willing to accept that nominal demand matters, but draw the line at “nonsense” like the liquidity trap. Well, the zero lower bound is also a fact, and once you start admitting that demand matters, you’ll find yourself inexorably arriving at liquidity-trap analysis. But leave that for another day. The key point here is that to concede the obvious about nominal wages is, like it or not, to concede that Lucas, Prescott, and so on were just a great detour away from useful macroeconomics.
Salari rigidi e guerre economiche
Simon Wren-Lewis, sulle orme di Bryan Caplan, avanza la tesi che la rigidità dei salari nominali verso il basso sia semplicemente un fatto, attestato da prove schiaccianti. Inoltre, si tratta di un fatto che comprendiamo abbastanza bene in termini di comportamenti economici. Egli suggerisce, dunque, che l’indisponibilità di molti economisti ad incorporare i fatti entro i loro modelli – in quanto non hanno “fondamenti microeconomici” – ci dice qualcosa di preoccupante sulle condizioni della disciplina economica.
Egli ha ragione, ma ho la sensazione che molti dei suoi lettori – e proprio tutti i commentatori di Caplan – non comprendano il significato di questa osservazione in riferimento alla storia della teoria economica degli ultimi 40 anni.
Vedete, la questione della rigidità del salari (e dei prezzi), e di conseguenza degli effetti reali dei cambiamenti della domanda nominale, è ciò su cui verteva per intero il grande rigetto del Keynesismo. E intendo dire proprio per intero. Nei passati anni ’70 si faceva fatica a discutere gli aspetti determinanti della domanda nominale; quello che Lucas e i suoi seguaci sostenevano era che il Keynesismo doveva essere rigettato perché era stato incapace di derivare la rigidità dei salari dalla massimizzazione dei comportamenti [1].
Lucas all’inizio sostenne che inattesi shocks nominali [2] erano ancora importanti, perché all’inizio la gente poteva non distinguerli dagli shocks reali, ma questo non offriva alcuno spazio per una politica utile. Più tardi, l’economia dell’ “acqua dolce” [3] respinse anche quel concetto; il ciclo economico riguardava per intero gli shocks reali, e la domanda non aveva alcun ruolo.
Questo rigetto del keynesismo non era in nessun senso guidato da una migliore prestazione empirica; esso riguardava esclusivamente il principio del rifiutare di incorporare alcunché non fosse derivato sino in fondo da una massimizzazione [4].
Cosicché non si può dire: “Va bene, siamo d’accordo, le persone non sono iperrazionali, e i salari sono realmente rigidi” e poi tornare e detestare i keynesiani. Se siete d’accordo su quell’unico punto [5] – e dovreste, perché le prove sono schiaccianti – e lo avete ammesso, che ve ne rendiate conto o meno, gran parte della teoria economica si è spesa per tre decenni e più nel seguire una strada senza sbocco.
Vedo che alcuni commentatori di Caplan sono disposti ad accettare che la domanda nominale sia importante, ma tracciano una discriminante al “nonsenso” della trappola di liquidità. Ebbene, il limite inferiore di zero è anch’esso un fatto, ed una volta che cominciate ad ammettere che la domanda conta, finite inesorabilmente per giungere ad una analisi da trappola di liquidità. Ma rinviamo questo ad un altro giorno. Il punto chiave qua è che riconoscere ciò che è ovvio sui salari nominali è, piaccia o no, ammettere che Lucas, Prescott e così via sono stati soltanto un grande depistaggio da una teoria economica utile.
[1] Credo che si comprenda meglio il termine “massimizzazione”, in questo caso, se si considera che esso dovrebbe significare letteralmente una “estensione”, o un “ampliamento”, di fenomeni economici “micro” alle dimensioni generali della macroeconomia. Se la macroeconomia non si fondava completamente su questa leggibilità della microeconomia che la origina, se non aveva in tal senso “fondamenti microeconomici”, essa era sbagliata.
Dunque, Lucas e gli altri, rigettavano il keynesismo perché la sua pretesa sulla rigidità dei salari verso il basso non era spiegata in termini coerenti con le osservazioni micro. Ma, se tale rigidità è reale (vale a dire, se nelle recessioni i salari nominali non si abbassano affatto facilmente, o non si abbassano per niente), come spiegavano tale fenomeno quegli economisti anti keynesiani? Lo spiegavano al massimo come una illusione, in sostanza come non esistente in quanto non razionale. La sequenza regolare doveva essere: recessione (intesa come terapia salutare a distorsioni “reali” dell’economia) – disoccupazione – salari più bassi – maggiore competitività – ripresa.
Il tema della rigidità dei salari nominali verso il basso fu uno dei ‘punti di partenza’ del ragionamento di Keynes nella sua “Teoria Generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”.
[2] Ovvero relativi ai valori monetari correnti, al netto della inflazione.
[3] Per “freshwater economics” (e “saltwater economics”) vedi le note sulla traduzione.
[4] Vedi la nota inziale.
[5] Ovvero, se siete d’accordo che i salari sono rigidi.
By mm
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