Blog di Krugman

Tendenze nel commercio interregionale ed internazionale (7 ottobre 2013)

 

October 7, 2013, 3:57 pm

Trends in Interregional and International Trade

Well, I’ve just paid my first personal price for the shutdown; I’m trying to finish a paper for the Walter Isard memorial volume, and discovered that the International Trade Commission’s invaluable Dataweb is shut down. I know, people are missing essential medical care and more, and I’m complaining about a slight academic inconvenience. But it’s a symptom.

For some reason, however, the Department of Transportation’s Freight Analysis Framework is still up and running (I was led there by a new project on metropolitan trade at Brookings, of which I’ll have much more to say in the months ahead.) So I was able to do at least one calculation on my theme, the changing fortunes of international and interregional trade.

You see, FAF lets us calculate total export and domestic shipments from, and import shipments to, each state for selected years; the values are given in 2007 dollars. In particular, we can measure the growth of each flow from 1997 to 2011, which covers much though not all of the era of “hyperglobalization.” And here’s what I get for percentage changes from 1997-2011:

Exports: 46.5
Imports: 108.7
Total trade (exports plus imports): 81.2
Domestic shipments: 25.6
Real GDP: 36.6

I think this makes sense: the forces behind hyperglobalization — reduced transportation and communication costs leading to vertical disintegration of production — are encouraging mainly long-range trade to save a few percent on labor costs, not shipping stuff between U.S. cities. Interregional trade seems even to be lagging GDP, possibly because our cities are becoming less specialized than they used to be.(What does Atlanta do for a living, exactly?)

Anyway, I’m finding this interesting. It says that what’s going on is a lot more differentiated than the simple notion that distance is being abolished.

 

Tendenze nel commercio interregionale ed internazionale

 

Bene, ho appena pagato il mio primo prezzo personale allo “shutdown”:  sto cercando di finire un saggio sul volume per il memorial di Walter Isard [1] ed ho scoperto che l’inestimabile Dataweb della Commissione del Commercio Internazionale è bloccato.  So che la gente sta perdendo essenziale assistenza medica ed altro ancora, e che io mi sto lamentando per un leggero inconveniente accademico. Ma è un sintomo.

Per qualche ragione, tuttavia, la Struttura di analisi del trasporto merci (FAF) del Dipartimento dei Trasporti è ancora in funzione e sta operando (ci sono arrivato a seguito di un nuovo progetto sul commercio metropolitano presso la Fondazione Brookings, sul quale avrò molto di più da dire nei prossimi mesi). Dunque sono stato capace di fare almeno un calcolo sul mio tema, le fortune mutevoli del commercio internazionale e interregionale.

Considerate che la FAF ci consente di calcolare le esportazioni totali, le spedizioni nazionali da e le spedizioni di importazione per ciascuno stato  per anni prescelti; i valori sono espressi in dollari. In particolare possiamo misurare la crescita di ciascun flusso dal 1997 al 2011, che copre gran parte se non tutta l’epoca della “iperglobalizzazione”. Ed ecco cosa ho attenuto per i cambiamenti percentuali dal 1997 al 2011:

Esportazioni: 46,5

Importazioni: 108,7

Commercio totale (esportazioni più importazioni: 81,2

Spedizioni interne: 25,6

PIL reale: 36,6

Penso che questo sia comprensibile: le forze che stanno dietro la “iperglobalizzazione” – riduzione dei costi di trasporto e di comunicazione che portano ad una disintegrazione verticale della produzione – stanno incoraggiando principalmente i commerci di lunga gittata per risparmiare una piccola percentuale dei costi di lavoro, non le spedizioni di cose tra le città degli Stati Uniti. Il commercio interregionale sembra essere in ritardo anche rispetto al PIL, probabilmente perché le nostre città stanno diventando meno specializzate di quello che erano (cosa fa esattamente Atlanta per vivere?)

In ogni caso, tutto questo mi pare interessante. Ci dice che quello che sta accadendo è un bel po’ diverso dal semplice concetto secondo il quale le distanze sarebbero abolite.


 

 


[1] Walter Isard (19 aprile 1919, Philadelphia –  6 novembre 2010, Drexel Hill, Pennsylvania), è stato un importante economista americano, il principale fondatore della “Scienza Regionale”, così come uno dei principali fondatori della “Scienza della Pace”. La sua biografia è molto interessante: studiò e collaborò con economisti come Oskar Lange, Frank Knight e Jacob Viner; successivamente collaborò con Wassily Leontief ad Harvard. Fondò e fu primo Presidente della Associazione della Scienza Regionale. Durante il Secondo conflitto mondiale ottenne il riconoscimento di obiettore di coscienza e lavorò all’interno di un ospedale psichiatrico, a Quaker. Fu durante questo periodo che tradusse vari studi di autori tedeschi sulla ‘teoria della localizzazione’. Negli anni ’50 pubblicò tre importanti libri: Location and Space Economy (1956); Industrial Complex Analysis and Regional Development (1959); and Methods of Regional Analysis (1960). Nel 1963 mise assieme un gruppo di allievi a Malmö, in Svezia, con il proposito di fondare la Società di ricerca sulla Pace. Come per le scienze ‘regionali’ concepì la scienza della pace come una attività di ricerca di livello internazionale e di natura interdisciplinare, allo scopo di sviluppare una serie di concetti, tecniche e apparati statistici.

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