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Una guerra sui poveri (New York Times 31 ottobre 2013)

 

A War on the Poor

By PAUL KRUGMAN
Published: October 31, 2013

John Kasich, the Republican governor of Ohio, has done some surprising things lately. First, he did an end run around his state’s Legislature — controlled by his own party — to proceed with the federally funded expansion of Medicaid that is an important piece of Obamacare. Then, defending his action, he let loose on his political allies, declaring, “I’m concerned about the fact there seems to be a war on the poor. That, if you’re poor, somehow you’re shiftless and lazy.”

Obviously Mr. Kasich isn’t the first to make this observation. But the fact that it’s coming from a Republican in good standing (although maybe not anymore), indeed someone who used to be known as a conservative firebrand, is telling. Republican hostility toward the poor and unfortunate has now reached such a fever pitch that the party doesn’t really stand for anything else — and only willfully blind observers can fail to see that reality.

 

The big question is why. But, first, let’s talk a bit more about what’s eating the right.

I still sometimes see pundits claiming that the Tea Party movement is basically driven by concerns about budget deficits. That’s delusional. Read the founding rant by Rick Santelli of CNBC: There’s nary a mention of deficits. Instead, it’s a tirade against the possibility that the government might help “losers” avoid foreclosure. Or read transcripts from Rush Limbaugh or other right-wing talk radio hosts. There’s not much about fiscal responsibility, but there’s a lot about how the government is rewarding the lazy and undeserving.

 

Republicans in leadership positions try to modulate their language a bit, but it’s a matter more of tone than substance. They’re still clearly passionate about making sure that the poor and unlucky get as little help as possible, that — as Representative Paul Ryan, the chairman of the House Budget Committee, put it — the safety net is becoming “a hammock that lulls able-bodied people to lives of dependency and complacency.” And Mr. Ryan’s budget proposals involve savage cuts in safety-net programs such as food stamps and Medicaid.

 

All of this hostility to the poor has culminated in the truly astonishing refusal of many states to participate in the Medicaid expansion. Bear in mind that the federal government would pay for this expansion, and that the money thus spent would benefit hospitals and the local economy as well as the direct recipients. But a majority of Republican-controlled state governments are, it turns out, willing to pay a large economic and fiscal price in order to ensure that aid doesn’t reach the poor.

The thing is, it wasn’t always this way. Go back for a moment to 1936, when Alf Landon received the Republican nomination for president. In many ways, Landon’s acceptance speech previewed themes taken up by modern conservatives. He lamented the incompleteness of economic recovery and the persistence of high unemployment, and he attributed the economy’s lingering weakness to excessive government intervention and the uncertainty he claimed it created.

 

But he also said this: “Out of this Depression has come, not only the problem of recovery but also the equally grave problem of caring for the unemployed until recovery is attained. Their relief at all times is a matter of plain duty. We of our Party pledge that this obligation will never be neglected.”

Can you imagine a modern Republican nominee saying such a thing? Not in a party committed to the view that unemployed workers have it too easy, that they’re so coddled by unemployment insurance and food stamps that they have no incentive to go out there and get a job.

So what’s this all about? One reason, the sociologist Daniel Little suggested in a recent essay, is market ideology: If the market is always right, then people who end up poor must deserve to be poor. I’d add that some leading Republicans are, in their minds, acting out adolescent libertarian fantasies. “It’s as if we’re living in an Ayn Rand novel right now,” declared Paul Ryan in 2009.

But there’s also, as Mr. Little says, the stain that won’t go away: race.

In a much-cited recent memo, Democracy Corps, a Democratic-leaning public opinion research organization, reported on the results of focus groups held with members of various Republican factions. They found the Republican base “very conscious of being white in a country that is increasingly minority” — and seeing the social safety net both as something that helps Those People, not people like themselves, and binds the rising nonwhite population to the Democratic Party. And, yes, the Medicaid expansion many states are rejecting would disproportionately have helped poor blacks.

So there is indeed a war on the poor, coinciding with and deepening the pain from a troubled economy. And that war is now the central, defining issue of American politics.

 

Una guerra sui poveri, di Paul Krugman

New York Times 31 ottobre 2013

 

John Kasich, il Governatore repubblicano dell’Ohio, ha fatto cose sorprendenti di recente. Anzitutto, ha scavalcato l’assemblea legislativa del suo Stato – controllato dal suo stesso Partito – decidendo di mettere in atto l’ampliamento di Medicaid con i finanziamenti federali, che è una parte importante della riforma sanitaria di Obama. Poi, difendendo la sua decisione, ha fatto scatenare i suoi alleati politici con la seguente dichiarazione; “Sono preoccupato del fatto che sembra esserci una guerra sui poveri. Che, se si è poveri, si sia per definizione inetti e sfaticati.”

Ovviamente, il signor Kasich non è il primo a fare una osservazione del genere. Ma il fatto che essa venga da un repubblicano di buona reputazione (sebbene, forse non più per molto), uno che a dir la verità si era soliti considerare come una testa calda di conservatore, è istruttivo. L’ostilità repubblicana verso i poveri e gli sventurati ha di questi tempi raggiunto una tale eccitazione che il partito davvero non si occupa d’altro – e solo osservatori ostinatamente ciechi possono non accorgersene.

Il grande interrogativo è come mai. Ma prima di tutto fatemi parlare un po’ di più di cosa sta consumando la destra.

Vedo che ci sono ancora commentatori che sostengono che il movimento del Tea Party sia fondamentalmente mosso da preoccupazioni sui deficit di bilancio. E’ una illusione. Si legga l’articolo sulla originaria invettiva di Rick Santelli alla CNBC [1]: neanche un accenno al deficit. Invece, tutta una tirata contro l’eventualità che il Governo possa aiutare i “perdenti” ad evitare i pignoramenti. Oppure si leggano le trascrizioni di conduttori radiofonici come Rush Limbaugh o altri della destra. Non c’è molto sulla responsabilità della finanza pubblica, invece un mucchio di riferimenti a come il Governo sta premiando gli scansafatiche e gli immeritevoli.

I repubblicani in posizioni di comando cercano di moderare il loro linguaggio, ma è più una faccenda di tono che di sostanza. Nonostante tutto, sono evidentemente interessati a mettere in chiaro che i poveri e gli sfortunati abbiano l’aiuto minore possibile, giacché, come dichiarò il parlamentare Paul Ryan, Presidente della Commissione Bilancio della Camera, la rete della sicurezza sociale sta diventando “una amaca che trastulla gente fisicamente prestante a vivere di dipendenza e di autocommiserazione”. E le proposte di bilancio del signor Ryan includono tagli selvaggi ai programmi sociali come gli aiuti alimentari e Medicaid.

Tutta questa ostilità verso i poveri è culminata nel rifiuto realmente stupefacente di molti Stati a partecipare all’ampliamento di Medicaid. Si tenga a mente che sarebbe il governo federale a pagare questa espansione, e che dei soldi spesi in tal modo beneficerebbero gli ospedali e le economie locali allo stesso modo dei destinatari. Ma una maggioranza dei governi statali sotto il controllo dei repubblicani sono, a quanto pare, desiderosi di pagare un largo prezzo in termini economici e di finanza pubblica purché quell’aiuto non arrivi alla povera gente.

Il punto è che le cose non sono sempre andate in questo modo. Si torni per un attimo al 1936, allorquando Alf Landon ottenne la candidatura a Presidente da parte dei repubblicani.   In molti sensi il discorso di accettazione di Landon anticipava temi che assorbono i conservatori odierni. Si lamentava della incompletezza della ripresa economica e della persistenza di una elevata disoccupazione ed attribuiva la perdurante debolezza dell’economia all’intervento del Governo e all’incertezza che a suo avviso esso aveva creato.

Ma disse anche: “Da questa Depressione deriva non solo il problema della ripresa, ma anche quello egualmente grave della assistenza ai disoccupati finché la ripresa non sarà conseguita. Sostenerli in ogni momento è semplicemente un dovere. Noi repubblicani ci impegnamo affinché questo obbligo non sia mai trascurato.”

Potete immaginarvi un candidato repubblicano odierno che dica una cosa del genere? Non in un partito che si spende nella tesi secondo la quale i lavoratori disoccupati ottengono tutto troppo facilmente, che sono talmente viziati dalla indennità di disoccupazione e dai buoni alimentari da non avere alcun incentivo ad andare in giro a cercarsi lavoro.

Da che dipende tutto questo, dunque? Una spiegazione, il sociologo Daniel Little l’ha suggerito in uno studio recente, è l’ideologia di mercato: se il mercato ha sempre ragione, allora la gente che finisce in povertà se l’è meritato. Aggiungerei che alcuni dirigenti repubblicani, nelle loro menti, stanno mettendo in scena fantasie adolescenziali “libertariane”. “Come se stessimo vivendo proprio in questo momento in un racconto di Ayn Rand [2]” dichiarò nel 2009 Paul Ryan.

Ma c’è anche, come dice Little, la macchia che non se ne vuole andare: il razzismo.

In una recente relazione molto citata, Democracy Corps, una organizzazione di ricerca di orientamento democratico, ha resi noti i risultati di ‘gruppi di discussione’ [3] che sono stati tenuti con componenti di varie fazioni repubblicane. Si scopre una base repubblicana “del tutto cosciente di essere bianca in un paese nel quale i bianchi sono sempre più in minoranza” – e che vede i sistemi della sicurezza sociale al tempo stesso come qualcosa a favore di “quella gente”, non di persone come te, e come qualcosa che lega la crescente popolazione non bianca al Partito democratico. Ed è così, l’ampliamento di Medicaid che molti Stati stanno rifiutando aiuterebbe in modo più che proporzionale povera gente di colore.

C’è dunque davvero una guerra sui poveri, che coincide ed approfondisce le sofferenze di una economia in difficoltà.  A questo punto quella guerra è il tema centrale e distintivo della politica americana.



[1] Traduco così perché dal link si comprende che Santelli ha dato una intervista alla televisione, che si può leggere trascritta in un articolo di Lauren Sher sul blog ABC News.

[2] Come ormai è noto, Ayn Rand è una sorta di icona dei conservatori americani. Filosofa-scrittrice americana di origini russe (nacque nel 1905 a San Pietroburgo e morì a New York nel 1982), ispiratrice del pensiero “libertarian” – che non potremmo tradurre né con “libertario” né con “liberista”, perché probabilmente non può venirci in mente niente di paragonabile in Italia o in Europa – scrisse un libro di recente tornato molto in auge, “Atlas Shrugged”, nel quale si dipana una singolare storia di un imprenditore che entra in lotta contro un immaginario Stato totalitario burocratico, quasi come un eroe partigiano di una guerra di liberazione capitalistica.

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[3] Un focus group (o gruppo di discussione), che nasce negli Stati Uniti ad opera di due sociologi degli anni ‘40 del Novecento, K. Levin e R. Merton, è una tecnica qualitativa utilizzata nelle ricerche delle scienze umane e sociali, in cui un gruppo di persone è invitato a parlare, discutere e confrontarsi riguardo all’atteggiamento personale nei confronti di un tema, di un prodotto, di un progetto, di un concetto, di una pubblicità, di un’idea o di un personaggio. Le domande sono fatte in modo interattivo, infatti, i partecipanti al gruppo sono liberi di comunicare con gli altri membri, seguiti dalla supervisione di un conduttore (in genere il ricercatore o un suo assistente). (Wikipedia)

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