Oct. 21, 2013
LONDON – Was the British government’s decision to embrace austerity in the wake of the global financial crisis the right policy, after all? Yes, claims the economist Kenneth Rogoff in a much-discussed recent commentary. Rogoff argues that while, in hindsight, the government should have borrowed more, at the time there was a real danger that Britain would go the way of Greece. So Chancellor of the Exchequer George Osborne turns out, on this view, to be a hero of global finance.
To show that there was a real threat of capital flight, Rogoff uses historical cases to demonstrate that the United Kingdom’s credit performance has been far from credible. He mentions the 1932 default on its World War I debt owed to the United States, the debts accumulated after World War II, and the UK’s “serial dependence on International Monetary Fund bailouts from the mid-1950’s until the mid-1970’s.”
What Rogoff’s analysis lacks is the context in which these supposed offenses were committed. The 1932 default on Britain’s WWI loans from America remains the largest blemish on the UK’s debt history, but the background is crucial. The world emerged from the Great War in the shadow of a mountain of debt that the victorious Allies owed to one another (the US being the only net creditor), and by the losers to the victors. John Maynard Keynes predicted accurately that all of these debts would end up in default.
The UK was the only country that made an effort to pay. Having failed to collect what other countries owed it, Britain continued to pay the US for ten years, suspending debt service only in the depth of the Great Depression.
Rogoff’s discussion about the debts accumulated after WWII is beside the point. It is neither here nor there to claim that “had the UK not used a labyrinth of rules and regulations to hold nominal interest rates on debt below inflation, its debt-to-GDP ratio might have risen over the period 1945-1955 instead of falling dramatically.” The fact is that the UK did manage to reduce its debt using a series of policies, including encouragement of economic growth.
As for the UK’s “serial dependence” on the IMF from the mid-1950’s to the mid-1970’s, there were actually only two episodes: the 1956 bailout during the Suez crisis and the 1976 bailout that preceded the winter of discontent when strikes in many essential industries – even the dead went unburied – practically brought the country to its knees. (It hardly needs stating that borrowing money from the IMF is not a default.)
In 1956, the UK was facing a speculative attack in the midst of the Suez crisis. The country was running a current-account surplus, but the pound was slipping against the dollar, causing the Bank of England to sell its dollar reserves to defend the fixed exchange rate. As its reserves drained away, Prime Minister Anthony Eden was forced to appeal for help, first to the US and then to the IMF.
The IMF’s involvement was necessitated only by America’s unwillingness to provide support. Furthermore, US President Dwight Eisenhower went so far as to use America’s clout within the IMF to force Eden to withdraw British troops from Egypt in exchange for the loan.
The reality of the 1976 bailout is even more complicated. In the aftermath of the crisis, Chancellor of the Exchequer Denis Healey revealed that the Public Sector Borrowing Requirement had been grossly overestimated in the 1970’s, and that, had he had the right figures, the UK would never have needed a loan. According to him, the Treasury even failed to recognize that the UK would have a tax surplus.
Of course, all of this had drastic implications for the economy. Tony Benn, a Labour cabinet minister in the 1970’s, later revealed that the “winter of discontent,” which ushered in a Tory government at the end of the decade, had been caused by the severe cuts in public expenditure demanded by the IMF: “Why did we have the winter of discontent? Because in 1976, the IMF said to the cabinet, ‘You cut four billion pounds off your public expenditure or we will destroy the value of the pound sterling.’”
There is little evidence for Rogoff’s implicit assumption that investors’ decisions today are driven by the government’s handling of its debt in the past. The number of defaults is largely irrelevant when it comes to a country like the UK, which is politically stable, carries significant economic weight, and has an independent central bank.
Consider Germany, the “biggest debt transgressor of the twentieth century,” according to the economic historian Albrecht Ritschl. In the table on page 99 of their book This Time is Different, Rogoff and his co-author, Carmen Reinhart, show that Germany experienced eight debt defaults and/or restructurings from 1800 to 2008. There were also the two defaults through inflation in 1920 and 1923. And yet today Germany is Europe’s economic hegemon, laying down the law to miscreants like Greece.
The truth is that a country’s past failures do not influence investors if its current institutions and economic policies are sound. That was clearly the case when Osborne and his colleagues opted for austerity.
Un’opinione distorta dell’austerità inglese
di Robert Skidelsky
LONDRA – E’ stata, in fin dei conti, una politica giusta la decisione del Governo inglese di abbracciare l’austerità all’indomani della crisi finanziaria globale? Sì, sostiene Kenneth Rogoff in un molto dibattuto recente commento. Rogoff sostiene che se, col senno di poi, il Governo avrebbe dovuto indebitarsi maggiormente, in quel momento ci fu però un pericolo reale per il Regno Unito di prendere la strada della Grecia. Dunque, si scopre che il Cancelliere dello Scacchiere, da questo punto di vista, è stato un eroe della finanza globale.
Per mostrare che c’era una reale minaccia di fuga dei capitali, Rogoff utilizza esempi storici che proverebbero che le prestazioni creditizie del Regno Unito sono state assai poco credibili. Egli menziona il default del 1932 sul debito maturato con la Prima Guerra Mondiale verso gli Stati Uniti, i debiti accumulati dopo la Seconda Guerra Mondiale, e la “dipendenza seriale dai salvataggi dalla metà degli anni ’50 alla metà degli anni ‘70” del Regno Unito.
Quello in cui difetta l’analisi di Rogoff sono i contesti nei quali queste supposte trasgressioni furono compiute. Il default del 1932 sui prestiti inglesi della Prima Guerra Mondiale resta la macchia più grande nella storia del debito del Regno Unito, ma i precedenti sono fondamentali. Il mondo veniva dalla Grande Guerra nello spettro di una montagna di debiti che gli Alleati vittoriosi dovevano l’uno verso l’altro (essendo gli Stati Uniti l’unico creditore netto) e che erano dovuti dai perdenti ai vincitori. John Maynard Keynes aveva previsto con esattezza che tutti questi debiti si sarebbero conclusi in un default.
Il Regno Unito fu l’unico paese che fece uno sforzo per pagare. Non essendo riuscito a mettere insieme quello che gli altri gli dovevano, il Regno Unito continuò a pagare gli Stati Uniti per dieci anni, sospendendo il servizio del debito solo al punto più basso della Grande Depressione.
L’argomentazione di Rogoff sui debiti accumulati dopo la Seconda Guerra Mondiale è fuori tema. Non ha alcun senso sostenere che “se il Regno Unito non avesse utilizzato un labirinto di regole e di regolamenti per mantenere i tassi di interesse nominali al di sotto dell’inflazione, il suo rapporto debito/PIL nel periodo 1945-1955 sarebbe cresciuto, anziché calare in modo spettacolare”. Il fatto è che il Regno Unito riuscì a ridurre il suo debito utilizzando una serie di politiche, incluso il sostegno alla crescita economica.
Così per la “dipendenza seriale” dal FMI dalla metà degli anni ’50 alla metà degli anni ’70, ci furono effettivamente solo due episodi: il salvataggio del 1956 durante la crisi di Suez e quello del 1976 che precedette l’ “Inverno del Malcontento” [1], quando scioperi in molti settori fondamentali – persino i morti non venivano seppelliti – misero in pratica il paese in ginocchio (né ci dovrebbe essere bisogno di chiarire che prendere capitali in prestito dal FMI non corrisponde ad un default).
Nel 1956 il Regno Unito dovette far fronte ad un attacco speculativo nel mezzo della crisi di Suez. Il paese stava realizzando un avanzo di conto-corrente, ma la sterlina perdeva posizioni nel confronto con il dollaro, il che spinse la Banca di Inghilterra a vendere le proprie riserve in dollari per difendere il tasso di cambio stabilito. Come le riserve si esaurirono, il Primo Ministro Anthony Eden fu costretto a chiedere aiuto, prima agli Stati Uniti e poi al FMI.
L’impegno del FMI fu reso necessario solo per l’indisponibilità dell’America a dare il proprio sostegno. Inoltre, il Presidente statunitense Dwight Eisenhower si spinse talmente avanti da utilizzare l’influenza dell’America all’interno del Fondo per costringere Eden a ritirare le truppe inglesi dall’Egitto in cambio del prestito.
I fatti del salvataggio del 1976 furono ancor più complessi. A seguito della crisi, il Cancelliere dello Scacchiere Denis Healey rivelò che la necessità di debito del settore pubblico era stata enormemente sovrastimata nel corso degli anni ’70, e che, se avesse avuto a disposizione i dati corretti, il Regno Unito non avrebbe mai avuto bisogno di un prestito. Secondo la sua opinione, il Tesoro non era neppure stato capace di riconoscere che il Regno Unito avrebbe avuto un avanzo fiscale.
Naturalmente, tutto questo ebbe drastiche implicazioni sull’economia. Tony Benn, Ministro di governi laburisti negli anni ’70, rivelò che “l’Inverno del Malcontento”, che preannunciò il governo conservatore alla fine del decennio, era stato provocato da severi tagli della spesa pubblica richiesti dal FMI: “Perché avemmo “l’Inverno del Malcontento”? Perché nel 1976 il FMI disse al Gabinetto, ‘O voi fate tagli per miliardi di sterline alla vostra spesa pubblica o noi distruggeremo il valore della vostra valuta’”.
Ci sono davvero poche prove per l’implicito assunto di Rogoff secondo il quale le decisioni degli investitori di oggi sono determinate dalla gestione del debito da parte dei governi nel passato. Il numero dei defaults è largamente irrilevante quando si tratta di paesi come il Regno Unito, che è politicamente stabile, sostiene un peso economico rilevante ed ha una banca centrale indipendente.
Si consideri la Germania, “il paese, in materia di debito, più trasgressivo del ventesimo secolo”, secondo lo storico dell’economia Albrecht Ritschl. Nella tabella a pagina 99 del loro libro “Questa volta è diverso”, Rogoff e la coautrice Carmen Reinhart mostrano che la Germania ha conosciuto otto defaults e o ristrutturazioni del debito a partire dal 1800 sino al 2008. Ci sono stati anche due defaults per effetto di inflazione nel 1920 e nel 1923. E tuttavia la Germania di oggi è la potenza economica egemone dell’Europa, quella che stabilisce le regole per i cattivi soggetti come la Grecia.
La verità è che i fallimenti passati di un paese non influenzano gli investitori se le sue attuali istituzioni e politiche economiche sono sane. La situazione era chiaramente questa, quando Osborne ed i suoi colleghi optarono per l’austerità.
[1] E’ il termine con il quale viene definita la stagione sociale dell’inverno 1978/79 nel Regno Unito, quando si assistette ad un forte scontro in materia di aumenti salariali e di controllo dell’inflazione tra le Trade Unions ed il Governo laburista del Primo Ministro James Callaghan. Il Governo laburista aveva stabilito che gli aumenti salariali nel settore pubblico non avrebbero dovuto superare il 5 %, ed avrebbero dovuto essere imitati dal settore privato (l’inflazione aveva toccato un picco del 26,9% nei dodici mesi precedenti all’agosto del 1975. Per giunta si trattò effettivamente di una stagione (i primi mesi del 1979) tra le più fredde, il che aggravò la crisi economica. L’espressione “Winter of Discontent” aveva un’origine letteraria; erano le prime parole del “Riccardo III” di William Shakespeare.
In pratica quel periodo di lotte sociali e di difficoltà economiche preparò il successo di Margareth Thatcher nel 1979. E questo è James Callaghan.
By mm
E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"