November 17, 2013, 1:08 pm
Barry Ritholtz reminds us that we’ve just passed the third anniversary of the debasement-and-inflation letter — the one in which a who’s who of right-wing econopundits warned that quantitative easing would have dire consequences. As Ritholtz notes, they were utterly wrong. Also, rereading the letter now, you have to wonder what kind of economic model they had in mind. They asserted that
The planned asset purchases risk currency debasement and inflation, and we do not think they will achieve the Fed’s objective of promoting employment.
So they’d be inflationary without being expansionary? How was that supposed to work? There were a few actual economists in the group; do they subscribe to the doctrine of immaculate inflation?
Ritholtz takes the wrongness as a reason not to listen to these people, and it’s certainly a warning sign. My view, however, is that you don’t just want to look at whether people have been wrong; you want to ask how they respond when events don’t go the way they predicted.
After all, if you write about current affairs and you’re never wrong, you just aren’t sticking your neck out enough. Stuff happens, and sometimes it’s not the stuff you thought would happen.
So what do you do then? Do you claim that you never said what you said? Do you lash out at your critics and play victim? Or do you try to figure out what you got wrong and why, and revise your thinking accordingly?
I’ve been wrong many times over the years, usually on minor things but sometimes on big ones. Before 1998 I didn’t think the liquidity trap was a serious concern; the example of Japan suggested that I was wrong, and I eventually concluded that it was a big concern indeed. In 2003 I thought the US was potentially vulnerable to an Asian-crisis-style loss of confidence; when it didn’t happen I rethought my models, realized that foreign-currency debt was crucial, and changed my view.
The case of the euro is a bit different: I was very pessimistic about the strategy of austerity and internal devaluation, which I thought would have a terrible cost — and I was completely right about that. I also guessed that this cost would prove politically unsustainable, leading to a crisis for the euro itself; so far, at least, I have been wrong. My economic model worked fine, my implicit political model didn’t; OK, so it goes.
Now, learning from your mistakes can cause trouble, especially on TV, where people use “In 1996 you said A, and now in 2013 you say B. Gotcha!” as a substitute for substantive discussion. But it’s what you’re supposed to do.
So, have any of the signatories to that 2010 letter admitted being wrong and explained why they were wrong? I mean *any* of them. Not as far as I know.
And at that point this becomes more than an intellectual issue. It becomes a test of character.
Cosa fare quando si ha torto
Barry Ritholtz ci ricorda che è appena trascorso il terzo anniversario di una lettera sulla svalutazione e sulla inflazione – quella nella quale i massimi esperti della destra mettevano in guardia sul fatto che la ‘facilitazione quantitativa’ [1] avrebbe avuto conseguenze terribili. Come nota Ritholtz, avevano completamente torto. Inoltre, rileggendo quella lettera oggi, ci si deve chiedere quale genere di modello economico essi avessero in mente. Essi sostenevano che:
“I previsti acquisti di attivi rischiano di provocare una svalutazione della valuta e l’inflazione, e non pensiamo che raggiungeranno l’obbiettivo della FED di promuovere l’occupazione”.
Dunque, essi sarebbero stati inflazionistici senza avere effetti espansivi? Come si pensava che funzionasse? C’era un certo numero di veri e propri economisti nel gruppo; sottoscrivevano la dottrina della ‘immacolata inflazione’ [2]?
Ritholtz considera lo sbaglio come una ragione per non dare ascolto a queste persone, ed esso è certamente un segno di ammonimento. La mia opinione, tuttavia, e che non si debba prestare attenzione al fatto che alcune persone abbiano avuto torto; ci si deve chiedere come hanno risposto una volta che i fatti non sono andati nella direzione che avevano previsto.
Dopo tutto, se scrivete di cose contemporanee e non avete mai torto, vuol dire proprio che non state rischiando niente. Le cose succedono, e qualche volta non sono le cose che avevate pensato succedessero.
Cosa fate dunque a quel punto? Sostenete che non avevate mai detto quello che avete detto? Ve la prendete con i vostri critici ed assumete il ruolo delle vittime? Oppure provate a comprendere in cosa avete avuto torto e perché, e conseguentemente modificate il vostro modo di pensare?
Nel corso degli anni io ho avuto torto molte volte, di solito su cose minori ma talvolta su cose importanti. Prima del 1998 io non pensavo che la trappola di liquidità fosse una preoccupazione seria; l’esempio del Giappone mi mostrò che avevo torto, ed alla fine conclusi che in effetti era una grande preoccupazione. Nel 2003 pensavo che gli Stati Uniti fossero potenzialmente vulnerabili ad una crisi di fiducia del genere della crisi asiatica [3]; quando non accadde ripensai i miei modelli, compresi che l’indebitamento in valute straniere era stato cruciale e cambiai il mio punto di vista.
Il caso dell’euro è un po’ diverso: io ero molto pessimista sulla strategia dell’austerità e della svalutazione interna, che pensavo avrebbe avuto un costo terribile – a quel proposito avevo completamente ragione. Mi immaginavo anche che quel costo sarebbe stato politicamente insostenibile, portando ad una crisi dello stesso euro; almeno sinora ho avuto torto. Il mio modello economico ha funzionato egregiamente, non così il mio implicito modello politico; va bene, le cose vanno in tal modo.
Ora, imparare dai propri errori può provocare problemi, specialmente alla televisione, dove la gente utilizza ragionamenti come “Nel 1996 dicevi A, ora nel 2013 dici B. T’ho preso in castagna!”, al posto di discussioni di sostanza. Eppure è quello che si suppone che facciate.
Dunque, qualcuno dei firmatari della lettera del 2010 ha mai ammesso di aver sbagliato ed ha mai spiegato perché ha avuto torto? Voglio dire solo qualcuno di loro? No, per quanto ne so.
E a questo punto è più che una questione intellettuale. Diventa una prova del carattere.
[1] Ovvero, la politica monetaria della Fed consistente nell’acquisto di obbligazioni a breve ed a lungo termine, e dunque in una espansione della base monetaria. Vedi le note sulla traduzione.
[2] Espressione leggermente blasfema, per la quale immaginare una inflazione senza espansione è un po’ la stessa cosa che immaginare una concezione senza il consueto atto del concepire.
[3] La crisi di vari paesi asiatici sulla fine degli anni ’90 che in Tailandia ebbe gli effetti più gravi.
By mm
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