Blog di Krugman

Implicazioni della stagnazione secolare sulla politica monetaria e della finanza pubblica (19 novembre 2013)

 

November 19, 2013, 4:07 pm

Monetary and Fiscal Implications of Secular Stagnation

Since I gave Larry Summers’s endorsement of secular stagnation theory a plug, I’ve been getting a lot of commentary in various forms. Some of it is the usual Keynes-hatred and/or incomprehension, and not worth going into. But there are also some questions/complaints that call for some serious further exegesis.

First, about monetary policy. Ryan Avent says that the evident implication of the whole analysis is that we need persistent inflation of something like 4 percent, which he calls “The solution that cannot be named”. Actually, I’ve named it repeatedly; so have many others. But it’s true that it’s still outside what central bankers are allowed to say.

The question here for economists is tactical: how hard do you bang on the inflation target right now? My belief — which could be wrong — is that a higher inflation target will not get into the Overton Window until the general idea of secular stagnation gets widely accepted. As long as current conditions are perceived as temporary and abnormal, the urge to normalize around traditional inflation rates will be hard to beat. Remember, I started calling for 4 percent in Japan in 1998; and even now, with Abenomics, they’re only going for 2.

Second, about fiscal policy: I’ve had several people apparently believing that what I’ve said about stagnation is somehow an about-face from previous writings: “You said that we’re suffering from a financial crisis, and that austerity was killing us — but now you say that it’s some long-term problem and we’re doomed to permanent depression!”

As Charlie Brown would say, Aaugh!

The reason austerity is so destructive is that we’re up against the zero lower bound, so that reductions in demand can’t be offset with interest rate cuts. And why are we up against the zero lower bound? The proximate cause is the financial crisis and the overhang of debt left behind by the bubble, but the reason we’re so vulnerable to getting into this position — the reason we tend to be in a liquidity trap whenever we don’t have a bubble inflating — is, or at least that’s what we’re arguing, the generally low natural real interest rate, aka secular stagnation.

The point is that the case against austerity is as strong as it ever was.

And maybe even stronger, once you think about debt dynamics.

Right now the real interest rate on US government borrowing is about 0.5 percent on 10-year securities, negative 0.4 percent on 5-year. Meanwhile, even pessimistic estimates of US potential growth put it in the 1.5-2 percent range. So r is less than g — the real interest rate on debt is less than the normal growth rate.

This in turn means that the usual worry about a rising debt level — that it will require that we eventually run big non-interest surpluses to pay down the debt — is all wrong. As long as we run a primary (non-interest) balance, or in fact not too large a deficit, the debt/GDP ratio will tend to erode over time. What’s more, an increase in the primary deficit won’t cause a runaway debt spiral, it will lead to a gradual rise in debt to a higher level, but it will stabilize there.

Suppose, for example, that r is 0.5 and g is 1.5 — not too unrealistic. Suppose that you start with debt at 50 percent of GDP, and then begin running primary deficits of 1 percent of GDP. What will happen? Debt will rise to 100 percent of GDP, and stay there, even if nothing is done to address the deficit.

I don’t want to push this too hard, but I just want to make it clear that if we really believe in low or even negative normal real interest rates, conventional views of fiscal prudence make even less sense than people like me have been saying.

So fear not: I’m still bitterly against austerity, and even less impressed by the fiscal scolds than before. Secular stagnation just adds to the reasons to believe that we’re doing things very, very wrong.

 

Implicazioni della stagnazione secolare sulla politica monetaria e della finanza pubblica

 

Dal momento che ho dato un contributo di pubblicità alla adesione di Larry Summers alla teoria della stagnazione secolare, sto ricevendo in varie forme una quantità di commenti.  Alcune del solito genere dell’odio e/o della incomprensione su Keynes, e non merita approfondirli. Ma ci sono altre domande o lamentele che impongono una qualche ulteriore esegesi.

In primo luogo, a proposito della politica monetaria. Ryan Avent dice che la evidente implicazione di tutta quella analisi è che abbiamo bisogno di una inflazione costante attorno al 4 per cento, che egli chiama “La soluzione che non si può nominare”. Per la verità, io l’ho chiamata per nome molte volte, e così molti altri. Ma è vero che è qualcosa su cui non è consentito ai banchieri centrali di parlare.

In questo caso la domanda per gli economisti riguarda la tattica: in questo momento con quanta energia si batte sul tema dell’obbiettivo di inflazione? Il mio convincimento – che potrebbe essere sbagliato – è che un più alto obbiettivo di inflazione non finirà dentro la “finestra di Overton” [1] finché l’idea generale della stagnazione secolare non viene generalmente accolta. Finché le attuali condizioni sono percepite come provvisorie ed anormali, sarà difficile insistere sulla spinta a collocarsi su tassi di inflazione tradizionali. Si ricordi: io cominciai a chiedere un 4 per cento nel Giappone del 1998, e persino adesso, con la politica economica di Abe, stanno provandoci con un 2 per cento.

In secondo luogo: ci sono varie persone che apparentemente credono che quello che ho detto sulla stagnazione  sia in qualche modo un dietrofront rispetto a miei scritti precedenti: “Hai detto che stavamo soffrendo di una crisi finanziaria e che l’austerità ci stava ammazzando – ma ora dici che si tratta in qualche modo di un problema di lungo periodo e che siamo condannati ad una depressione permanente!”

Come direbbe Charlie Brown, “Aaugh” [2]!

La ragione per la quale l’austerità è così distruttiva è che siamo a fronte del limite inferiore di zero (nei tassi di interesse), e che le riduzioni nella domanda non possono essere bilanciate con tagli ai tassi di interesse. E perché siamo a fronte del limite inferiore di zero? La causa più vicina è la crisi finanziaria e l’eccesso di debito che sono state lasciate dalla bolla, ma la ragione per la quale siamo suscettibili di finire in quella situazione – la ragione per la quale tendiamo a finire in una trappola di liquidità  ogni qualvolta non abbiamo una bolla che monta – è, o almeno questo è quanto sosteniamo, il tasso di interesse reale naturale generalmente basso, ovvero la stagnazione secolare.

Il punto è che l’argomento contro l’austerità è più forte che mai.

E forse persino più forte, una volta che voi pensate alle dinamiche del debito.

In questo momento il tasso di interesse reale sul debito del governo degli Stati Uniti è circa lo 0,5 per cento sui titoli decennali, dello 0,4 per cento negativo su quelli quinquennali. Nel frattempo, anche le stime pessimistiche della crescita potenziale degli Stati Uniti la collocano in un range del 1,5 – 2 per cento. Dunque r è minore di g – il tasso di interesse reale è minore del normale tasso di crescita.

Questo a sua volta significa che la normale preoccupazione sul livello crescente del debito – per la quale si richiederà che alla fine si realizzino grandi avanzi al netto degli interessi per abbattere il debito – è tutta sbagliata. Finché avremo un equilibrio finanziario primario (al netto degli interessi), o di fatto un deficit non troppo ampio, il rapporto debito/PIL tenderà nel tempo ad erodersi. C’è di più, un incremento nel deficit primario non provocherà una spirale del debito senza controllo, porterà ad una graduale crescita del debito ad un livello più alto, ma si stabilizzerà a quel punto.

Si supponga, ad esempio, che r (il tasso di interesse) sia a 0,5 e g (il tasso di crescita) sia ad 1,5 – il che non è affatto irrealistico. Si supponga che partiate da un debito al 50 per cento del PIL, e che in seguito cominciate a realizzare deficit primari dell’1 per cento del PIL. Che cosa accadrà? Il debito crescerà sino al 100 per cento del PIL e poi si fermerà, anche se non si è fatto niente per aggredire il deficit.

Non intendo affermare questo concetto con troppa forza, ma solo chiarire che se effettivamente si crede in tassi di interesse reali bassi o persino negativi, i punti di vista convenzionali sulla prudenza nella finanza pubblica hanno persino meno senso di quello che persone come me sono venute dicendo.

Dunque, non abbiate timore: io sono ancora con più asprezza contro l’austerità, ed anche meno impressionato di prima dalle Cassandre del deficit. La stagnazione secolare  semplicemente aggiunge ragioni per credere che stiamo facendo proprio le cose sbagliate.


 

 


[1] Joseph P. Overton è stato un politologo americano (1960-2003). La sua tesi era che esistono un complesso di idee che hanno una probabilità di essere accolte dalla opinione pubblica, ed esse stanno in un range non grande, appunto una “finestra stretta”. In ogni momento esiste un range di opinioni accettabili, non troppo estreme, da parte della opinione pubblica e l’uomo politico dovrebbe muoversi entro lo spazio di quella “finestra”.

[2] Espressione che Charlie Brown adopera in occasioni di questo tipo:

wwww 41

 

 

 

 

 

 

 

 

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