November 18, 2013, 9:49 am
It’s been a bit funny on the academic front being a Keynesian during a Keynesian crisis. Much of the academic profession decided more than 30 years ago that the whole thing was nonsense and what we needed was an equilibrium model of the business cycle. By the time the utter failure of the equilibrium project became apparent, you had a whole generation of economists who knew that Keynesianism of any form was nonsense based on what they had heard somewhere, so they didn’t read any of the stuff, old or new — and were flabbergasted to learn that there was in fact an extensive New Keynesian literature that provided a justification for fiscal policy at the zero lower bound.
So some props to John Cochrane for at least trying to catch up. Unfortunately, he’s still working from the baseline assumption that people like me (and Mike Woodford, whom he really should be reading) must be kind of stupid, and so he can’t be bothered to actually figure out how the models work. At least I think that’s what’s happening.
As Robert Waldmann says, Cochrane’s latest seems to be driven by a confusion between the effect of fiscal expansion on GDP — which is positive in just about any NK model — and the effect on consumption, which isn’t at all the same thing. I won’t try to figure out the roots of this failure of reading comprehension; let me instead try to explain what’s really going on.
In the simplest NK models of fiscal policy, we think of an economy that faces an adverse shock in the current period, but will return to a steady state thereafter. (Maybe not in reality, but that’s another topic.) Given this setup, consumption in the current period is tied down by an Euler condition:
Marginal utility of consumption in period 1 / Marginal utility in period 2 = (1+r)/(1+d)
where r is the real interest rate and d the rate of time preference. If we’re up against the zero lower bound and prices are sticky, this means that r doesn’t change, so we can take first-period consumption as fixed.
But now suppose that the government expands its purchases of goods and services. Consumption is fixed, so there is no crowding out; the increase in G leads to a one-for-one expansion in real GDP. The multiplier is 1.
That looks a lot like old Keynesianism to me — an increase in government spending leads to a rise in output. Inflation has nothing to do with it.
Now, is there a way to get a rise in consumption, and a multiplier bigger than 1? Yes. That Euler condition is based on the assumption that people have perfect access to capital markets, so that they can borrow and lend at the same rate. If some of them are instead liquidity-constrained, the increase in income from the rise in G will lead to some increase in C as well, and we have a story that is even closer to the old Keynesian version.
This isn’t hard — at least it shouldn’t be for anyone with a graduate training in economics. Just try actually reading what New Keynesians write.
La tesi neokeynesiana per la politica della finanza pubblica (per esperti)
E’ stato un po’ buffo essere keynesiani durante la crisi keynesiana, nell’ambiente accademico. Più di trenta anni orsono, gran parte della disciplina negli ambienti universitari aveva deciso che l’intera faccenda fosse priva di senso e che quello di cui avevamo bisogno fosse un modello dell’equilibrio del ciclo economico. A quel tempo il completo fallimento di un progetto di equilibrio sembrava chiaro, avevamo avuto una intera generazione di economisti che sapevano che il keynesismo in qualsiasi forma era privo di senso, basandosi su ciò che avevano sentito dire da qualche parte, cosicché di quella roba non leggevano niente, che fosse vecchio o nuovo – e si restava stupefatti ad apprendere che c’era una vasta letteratura neokeynesiana che forniva una giustificazione per la politica della finanza pubblica nelle condizioni del limite inferiore dello zero.
Dunque va dato qualche riconoscimento a John Cochrane almeno per aver tentato di aggiornarsi. Sfortunatamente, egli sta ancora lavorando sulla base dell’assunto che persone come me (e come Mike Woodford, che egli dovrebbe proprio star leggendo) devono essere un po’ stupide, e dunque non può davvero preoccuparsi di immaginare come i modelli funzionino. Almeno penso che sia quello che sta accadendo.
Come dice Robert Waldmann, la posizione più recente di Cochrane sembra provocata da una confusione tra l’effetto di una espansione della finanza pubblica sul PIL – che è positivo proprio per tutti i modelli neokeynesiani – e l’effetto sui consumi, che non è affatto la stessa cosa. Non mi sforzerò di comprendere le radici di questa incapacità di comprensione di ciò che si legge; consentitemi piuttosto di spiegare come le cose in realtà procedono.
Nei più semplici modelli neokeynesiani di politica della finanza pubblica, si pensa ad una economia che fa fronte ad uno shock negativo nel momento attuale, ma che tornerà successivamente in una condizione regolare (in realtà, può darsi che non avvenga [1], ma questa è un’altra faccenda). Data questa configurazione, il consumo nel periodo corrente è tenuto assieme da una condizione di Eulero:
Utilità marginale del consumo nel periodo 1/ utilità marginale nel periodo 2 = (1+r)/1+d)
Dove r è il tasso di interesse reale e d il tasso di preferenza nel tempo [2]. Se si è a fronte del limite inferiore dello zero e i prezzi sono rigidi, questo significa che r non cambia, cosicché possiamo assumere il consumo del primo periodo come fisso.
Ma ora supponiamo che il governo espanda i suoi acquisti di beni e servizi. Il consumo è fisso, dunque non c’è alcun fenomeno di ‘spiazzamento’ [3]; l’incremento di G [4]porta ad una espansione del PIL di uno ad uno. Ovvero, il moltiplicatore è 1.
Questo secondo me assomiglia molto al vecchio keynesismo – un aumento nella spesa pubblica provoca una crescita nel prodotto. L’inflazione non ha alcun ruolo.
Ora, esiste un modo per ottenere una crescita nel consumo, ed un moltiplicatore più grande di 1? Si. La condizione di Eulero è basata sull’assunto che le persone hanno un accesso perfetto ai mercati di capitali, cosicché essi possono prendere debito e concedere crediti allo stesso tasso. Se alcuni di loro sono invece limitati dalla liquidità, l’incremento del reddito derivante dalla crescita di G porterà anche ad un qualche incremento di C [5], ed abbiamo così una storia che è anche più vicina alla vecchia versione keynesiana.
Questo non è difficile – almeno non dovrebbe esserlo per chiunque abbia una qualche esercitazione in economia di livello universitario. Basta solo provare a leggere quello che i neokeynesiani scrivono.
[1] La connessione è con il recente post di Krugman stesso relativo all’intervento di Summers al FMI.
[2] In economia il tasso di preferenza nel tempo (anche “discounting”) è la valutazione di un bene in una data iniziale comparata con la stessa valutazione in una data successiva.
[3] Ovvero, non c’è alcun effetto per il quale la crescita della spesa pubblica vada a detrimento del consumo e dell’investimento privato.
[4] “G” significa “spesa pubblica” (“government spending”).
[5] “C” sta per “consumo” (“consumption”).
By mm
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