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La trappola del denaro (New York Times 14 novembre 2013)

 

The Money Trap

By PAUL KRUGMAN
Published: November 14, 2013

When Greece hit the skids almost four years ago, some analysts (myself included) thought that we might be seeing the beginning of the end for the euro, Europe’s common currency. Others were more optimistic, believing that tough love — temporary aid tied to reform — would soon produce recovery. Both camps were wrong. What we actually got was a rolling crisis that never seems to reach any kind of resolution. Every time Europe seems ready to go over the edge, policy makers find a way to avoid complete disaster. But every time there are hints of true recovery, something else goes wrong.

 

And here we go again. Not long ago, European officials were declaring that the Continent had turned the corner, that market confidence was returning and growth was resuming. But now there’s a new source of concern, as the specter of deflation looms over much of Europe. And the debate over how to respond is turning seriously ugly.

Some background: The European Central Bank or E.C.B., Europe’s equivalent of the Federal Reserve, is supposed to keep inflation close to 2 percent. Why not zero? Several reasons, but the most important point right now is that an overall European inflation rate too close to zero would translate into actual deflation in the troubled economies of southern Europe. And deflation has nasty economic side effects, especially in countries already burdened by high debt.

 

So it’s a source of great concern that European inflation has started dropping far below target; over the past year, consumer prices rose only 0.7 percent, while “core” prices that exclude volatile food and energy costs rose only 0.8 percent.

 

Something had to be done, and last week the E.C.B. cut interest rates. As policy decisions go, this had the distinction of being both obviously appropriate and obviously inadequate: Europe’s economy clearly needs a boost, but the E.C.B.’s action will surely make, at best, a marginal difference. Still, it was a move in the right direction.

Yet the move was hugely controversial, both inside and outside the E.C.B. And the controversy took an ominous form, at least for anyone who remembers Europe’s terrible history. For arguments over European monetary policy aren’t just a battle of ideas; increasingly, they sound like a battle of nations, too.

For example, who voted against the rate cut? Both German members of the E.C.B. board, joined by the leaders of the Dutch and Austrian central banks. Who, outside the E.C.B., was harshest in criticizing the action? German economists, who made a point not just of attacking the substance of the bank’s action but of emphasizing the nationality of Mario Draghi, the bank’s president, who is Italian. The influential German economist Hans-Werner Sinn declared that Mr. Draghi was just trying to give Italy access to low-interest loans. The chief economist of the newsweekly WirtschaftsWoche called the rate cut a “diktat from a new Banca d’Italia, based in Frankfurt.”

 

Such insinuations are grossly unfair to Mr. Draghi, whose efforts to contain the euro crisis have been little short of heroic. I’d go so far as to say that the euro probably would have collapsed in 2011 or 2012 without his leadership. But never mind the personalities. What’s scary here is the way this is turning into the Teutons versus the Latins, with the euro — which was supposed to bring Europe together — pulling it apart instead.

What’s going on? Some of it is national stereotyping: the German public is eternally vigilant against the prospect that those lazy southern Europeans are going to make off with its hard-earned money. But there’s also a real issue here. Germans just hate inflation, but if the E.C.B. succeeds in getting average European inflation back up to around 2 percent, it will push inflation in Germany — which is booming even as other European nations suffer Depression-like levels of unemployment — substantially higher than that, maybe to 3 percent or more.

 

 

This may sound bad, but it’s how the euro is supposed to work. In fact, it’s the way it has to work. If you’re going to share a currency with other countries, sometimes you’re going to have above-average inflation. In the years before the global financial crisis, Germany had low inflation while countries like Spain had relatively high inflation. Now the rules of the game require that the roles be reversed, and the question is whether Germany is prepared to accept those rules. And the answer to that question isn’t clear.

 

The truly sad thing is that, as I said, the euro was supposed to bring Europe together, in ways both substantive and symbolic. It was supposed to encourage closer economic ties, even as it fostered a sense of shared identity. What we’re getting instead, however, is a climate of anger and disdain on the part of both creditors and debtors. And the end is still nowhere in sight.

 

La trappola del denaro, di Paul Krugman

New York Times 14 novembre 2013

 

Quando la Grecia andò a rotoli quasi quattro anni orsono, alcuni economisti (incluso il sottoscritto) pensarono che poteva trattarsi dell’inizio della fine per l’euro, la valuta comune europea. Altri furono più ottimisti, credendo che un po’ di fermezza a fin di bene –   aiuti temporanei in cambio di riforme – avrebbero presto prodotto una ripresa. Avevano torto entrambi gli schieramenti. Quello che in verità abbiamo avuto è stata una crisi che ha rotolato su se stessa senza sembrare mai vicina ad una qualche soluzione. Ogni volta che l’Europa sembra in procinto di superare il punto limite, gli operatori politici trovano il modo di evitare il completo disastro. Ma ogni volta che ci sono segni di effettiva ripresa, qualcos’altro va storto.

Ed eccoci ancora a quel punto. Non molto tempo fa i dirigenti europei dichiaravano che il continente aveva svoltato l’angolo, che la fiducia dei mercati stava tornando e stava ricominciando la crescita. Ma c’è ora una nuova ragione di preoccupazione, con lo spettro della deflazione che incombe su gran parte dell’Europa. E la discussione su come rispondere sta prendendo una piega decisamente sgradevole.

Alcuni antefatti: la Banca Centrale Europea o BCE, l’equivalente in Europa della Federal Reserve, pensava di tenere l’inflazione vicina al 2 per cento. Perché non a zero? Ci sono varie ragioni, ma il punto più importante in questo momento è che una inflazione complessiva europea troppo vicina allo zero si sarebbe trasformata in vera e propria deflazione nelle economie in difficoltà dell’Europa del Sud. E la deflazione ha pessimi effetti economici collaterali, specialmente nei paesi già appesantiti da debiti elevati.

Dunque, è un motivo di grande preoccupazione il fatto che l’inflazione europea abbia cominciato a scendere al di sotto dell’obbiettivo; nel corso dell’anno passato i prezzi al consumo sono saliti soltanto dello 0,7 per cento, mentre l’inflazione “sostanziale” che esclude i costi volatili degli alimentari e dell’energia sono saliti soltanto dello 0,8 per cento.

Si doveva pur fare qualcosa e la scorsa settimana la BCE ha tagliato i tassi di interesse. Come accade alle decisioni politiche, anche questa ha avuto la caratteristica di essere allo stesso tempo ovviamente corretta e ovviamente inadeguata: l’economia europea ha chiaramente bisogno di una spinta, ma l’iniziativa della BCE, nel migliore dei casi, provocherà una differenza marginale. Eppure, è una mossa nella direzione giusta.

Tuttavia la mossa è stata grandemente controversa, sia dentro che fuori la BCE. E la controversia ha preso una forma minacciosa, almeno per chiunque abbia memoria  della storia terribile dell’Europa. Perché gli argomenti sulla politica monetaria europea non sono solo una battaglia delle idee; sempre di più assomigliano anche ad uno scontro tra nazioni.

Per esempio, chi ha votato contro il taglio sui tassi?  Entrambi i membri tedeschi del Consiglio della BCE, appoggiati dai dirigenti delle banche centrali olandese ed austrica. Chi, fuori dalla BCE, è stato più aspro nel criticare l’iniziativa? Gli economisti tedeschi, che non si sono limitati a criticare la sostanza della iniziativa della banca, ma hanno messo l’accento sulla nazionalità del Presidente, Mario Draghi, che è italiano. L’influente economista tedesco Hans-Werner Sinn ha dichiarato che Mario Draghi stava solo cercando di dare all’Italia l’accesso a prestiti con bassi interessi. L’economista principale della rivista settimanale WirtschaftsWoche ha definito il taglio dei tassi “un diktat da parte di una nuova Banca d’Italia, con sede a Francoforte”.

Tali insinuazioni sono grossolanamente ingiuste nei confronti di Draghi, i cui sforzi per contenere la crisi dell’euro sono stati poco meno che eroici. Non esagererei se dicessi che probabilmente l’euro sarebbe giunto al collasso nel 2011 o 2012, senza la sua guida. Ma non contano le personalità. Quello che qua è allarmante è il modo in cui tutto questo si trasforma nel contrasto tra Teutonici e Latini, con l’euro, che si supponeva mettesse assieme l’Europa, che invece mette gli uni contro gli altri.

Cosa sta succedendo? In parte sono gli stereotipi nazionali: l’opinione pubblica tedesca eternamente in guardia contro la prospettiva di quegli scioperati degli europei del Sud che si preparano a portar via il suo denaro messo assieme con fatica. Ma in questo caso c’è anche un aspetto reale. I tedeschi odiano davvero l’inflazione, ma se la BCE ha successo nel riportare l’inflazione media europea a circa un 2 per cento, ciò spingerà l’inflazione sostanzialmente più in alto, forse ad un 3 per cento o più, nella Germania. Che, per suo conto, sta sperimentando una forte espansione, anche se le altre nazioni europee patiscono livelli di disoccupazione da depressione.  

Questo sembra negativo, ma è il modo nel quale si suppone che l’euro funzioni. Di fatto, è il modo nel quale ha l’obbligo di funzionare. Se il vostro destino è condividere una valuta con altri paesi, qualche volta finite per avere una inflazione al di sopra della media. Negli anni precedenti alla crisi finanziaria globale, la Germania aveva una bassa inflazione mentre paesi come la Spagna avevano una inflazione relativamente elevata. Oggi le regole del gioco richiedono che i ruoli siano invertiti, e la domanda è se la Germania è pronta ad accettare quelle regole. La risposta a tale domanda non è chiara.

La cosa veramente triste è che, come ho detto, si pensava che l’euro mettesse assieme l’Europa, sia in termini sostanziali che simbolici.  Si pensava incoraggiasse legami economici più stretti, persino che promuovesse un senso condiviso di identità. Quello che si sta raccogliendo, invece, è un clima di   rabbia sdegnata, da parte dei creditori come dei debitori. E non se ne vede ancora la fine.

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