Blog di Krugman

L’economia keynesiana e le riviste di economia (13 novembre 2013)

 

November 13, 2013, 5:07 pm

Keynesian Economics and the Journals

Brad DeLong takes on John Cochrane again; I don’t have the heart or the time to do a full takedown myself. But I do want to make five points.

The first is the remarkable extent to which the anti-Keynesians remain addicted to arguments from authority, as opposed to arguments from evidence. We now have more than five years of experience with fiscal and monetary policy under zero-lower-bound conditions, and a large empirical literature studying that experience. Surely at this point you shouldn’t be responding to claims about policy by asserting “nobody has believed that since the 1970s” — what do smart people doing research on this massive natural experiment say now? (Hint: Keynes is looking pretty good.)

Second, it’s curious how the ground has shifted. Back in 2009 it was “nobody believes that fiscal policy can be expansionary”. Then people like Cochrane learned that there was a large New Keynesian literature, of which they had clearly been unaware; so it shifted to “nobody believes in the multiplier story in which spending raises incomes, which leads to further spending etc”. But even if it were true that nobody believed in that story, the New Keynesian model — in which government spending in a depressed economy puts idle resources to work — would still be enough to make the case for stimulus and against austerity.

Third, as Brad says, the reason the classic Keynesian multiplier isn’t in NK models is not because it has been disproved, but because such models deliberately give hostages — they show that Keynesian outcomes can emerge even if you assume rational expectations and intertemporal blah blah. Many people who do such models consider this a useful strategy, but remain open to the possibility that given real-world imperfections the classic story also has explanatory power — especially since empirical multipliers do seem to be more than 1.

In fact — well, let me quote from a paper that both offers an example of how this can work and refutes the claim that nothing like this is publishable in an economics journal:

Finally, we turn to the role of monetary and fiscal policy, where we find, as already indicated, that more debt can be the solution to a debt-induced slump. We also point out a possibly surprising implication of any story that attributes the slump to excess debt: precisely because some agents are debt-constrained, Ricardian equivalence breaks down, and old-fashioned Keynesian-type multipliers in which current consumption depends on current income reemerge.

Ahem.

Finally, it is true that there has been a divergence between what gets published in the journals and what people in policy-related positions believe. Keynesian models — even New Keynesian models — remain hard to get past referees. Meanwhile, places like the Federal Reserve and the International Monetary Fund continue to do economic analysis with a strong Keynesian flavor. (There was plenty of Keynesian storytelling at last week’s big IMF event, and I did not exactly get laughed out of the room …)

But look at who we’re talking about here. We’re not talking about dumb politicians who still do sort of Keynesian stuff. We’re talking about people like Olivier Blanchard and Janet Yellen — smart economists with plenty of technical knowledge and credentials, who continue to find Keynesian concepts useful even as such concepts are rarely published in academic journals. And it’s not just the people at the top: there’s a lot of Keynesian stuff going on in the research departments of these institutions.

So consider two hypotheses. One — which Cochrane appears to believe — is that being inside the Beltway has rotted Janet’s and Olivier’s brains, not to mention that of all their researchers, causing them to revert to primitive concepts that “everyone” knows are false. The other — which is what I hear from young economists — is that there is an equilibrium business cycle claque in academic macroeconomics that has in effect blockaded the journals to anyone trying to publish models and evidence that stress the demand side.

Obviously you know which story I believe. The main point, though, is that trying to argue from authority is even sillier here than in most situations. There’s a huge difference between “nobody believes that” and “none of my friends will let that get published in the journals they control”.

 

L’economia keynesiana e le riviste di economia

 

Brad DeLong sfida ancora una volta John Cochrane: non ho né l’animo né il tempo di procedere per mio conto ad una completa demolizione. Ma voglio proprio mettere in chiaro cinque punti.

Il primo è il fatto che gli antikeynesiani restano in gran misura dipendenti dagli argomenti che derivano dall’autorità, piuttosto che da quelli che derivano dai fatti. Sono passati più di cinque anni di esperienza di una politica monetaria e della finanza pubblica nelle condizioni del limite inferiore di zero [1] e di una ampia letteratura empirica che studia tale esperienza. Sicuramente  a questo punto non dovreste sentirvi rispondere ad argomenti su tale politica con l’asserzione secondo la quale “è dagli anni ‘70 che nessuno ci ha più creduto” – quali ricerche stanno facendo su quello che ci dice questo massiccio esperimento naturale in questo momento, quelle persone argute (un suggerimento: Keynes pare se la cavi piuttosto bene)?

Il secondo: è curioso come si sia spostato il terreno. Nel passato 2009 esso era “nessuno crede che la politica della finanza pubblica possa essere espansiva”. Poi individui come Cochrane hanno appreso che c’era un vasta letteratura neokeynesiana, della quale erano stati chiaramente inconsapevoli; cosicché si sono spostati a “nessuno crede alla storia del moltiplicatore [2] per la quale la spesa pubblica aumenta i redditi, che portano ad ulteriore spesa etc.”. Ma persino se fosse vero che nessuno crede in quella storia, il modello neokeynesiano – secondo il quale la spesa pubblica in una economia depressa mette risorse inutilizzate all’opera – sarebbe ancora sufficiente a sostenere la tesi favorevole al sostegno pubblico e contraria alla austerità.

Terzo, come dice Brad, la ragione per la quale il classico moltiplicatore keynesiano non è nel modello neokeynesiano non deriva dal fatto che esso sia stato confutato, ma dal fatto che tali modelli li hanno deliberatamente abbandonati – essi mostrano che i risultati keynesiani possono venir fuori anche se si assumono i concetti delle aspettative razionali e della inter temporalità etc. etc. Molte persone che operano con tali modelli considerano questa una strategia utile, ma restano aperti alla possibilità che date le imperfezioni del mondo reale il racconto classico mantenga un potere esplicativo –  specialmente considerato che i moltiplicatori sembrano avere un valore maggiore di 1 [3].

Di fatto … ebbene, consentitemi di trarre una citazione da uno studio che offre un esempio su come questo può funzionare e che smentisce la tesi secondo la quale niente di questo genere è pubblicabile sulle riviste economiche:

“Infine, volgiamoci al ruolo della politica monetaria e della finanza pubblica, dove scopriamo, come già indicato, che un debito maggiore può essere la soluzione per una crisi indotta dal debito. Facciamo anche notare una possibile sorprendente implicazione di ogni racconto che attribuisca la recessione all’eccesso di debito:  proprio perché alcuni attori sono limitati dal debito, cade l’equivalenza ricardiana [4] e riemergono i moltiplicatori di tipo keynesiano una volta di moda, secondi i quali il consumo attuale dipende dal reddito attuale.”

Ma guarda!

Infine, è vero che c’è stato un divario tra quello che viene pubblicato sulle riviste e quello che credono le persone impegnate in ruoli politici. E’ ancora difficile che modelli keynesiani – ed anche quelli neokeynesiani – si avvalgano degli arbitri che avevano nel passato. Nel frattempo, luoghi come la Federal Reserve ed il Fondo Monetario Internazionale continuano a fare analisi economica a forte impronta keynesiana (c’era una gran quantità di argomenti della narrativa keynesiana al grande evento del FMI della settimana scorsa, e non mi sono preso precisamente risate fragorose fuori dalla stanza della conferenza ….)

Ma vediamo meglio di chi in questo caso stiamo parlando. Non stiamo parlando di ottusi politicanti che ancora maneggiano ricette keynesiane. Stiamo parlando di persone come Olivier Blanchard e Janet Yellen – acuti economisti con una quantità di competenze tecniche e di credenziali, che continuano a trovare i concetti keynesiani utili anche se tali concetti sono raramente pubblicati nelle riviste accademiche. E non si tratta solo di persone che stanno ai vertici: c’è una quantità di materiale keynesiano che va avanti nei dipartimenti di ricerca d queste istituzioni.

Si considerino due ipotesi. La prima – che sembra fatta propria da Cochrane – è che lo stare dentro l’ambiente della Capitale abbia guastato i cervelli di Janet e di Olivier, per non dire quelli di tutti i loro ricercatori, provocando loro una regressione ai concetti primitivi che “tutti” sanno essere falsi. L’altra – che è quello che sento dire da giovani economisti – è che c’è una claque della teoria del ciclo economico in equilibrio nella disciplina macroeconomica che sostanzialmente impedisce l’accesso alle riviste a tutti quelli che cercano di pubblicare modelli e testimonianze che mettono in difficoltà le teorie dal lato della domanda.

Ovviamente sapete a quale storia io creda. Il punto principale, tuttavia, è che cercare di argomentare sulla base della autorevolezza accademica è oggi più stupido che mai. C’è una grande differenza tra il dire “nessuno ci crede” ed il dire “nessuno dei miei amici consentirà che una tal cosa sia pubblicata nelle riviste che essi controllano”.



[1] Per “zero lower bound” vedi le note sulla traduzione.

[2] Per “multiplier” vedi le note sulla traduzione.

[3] Ci si riferisce al recente dibattito sul valore del moltiplicatore nelle attuali politiche di austerità (in questo caso negativo, o per meglio dire consistente nel fatto che una riduzione di 1 nella spesa pubblica comporta un negativo effetto superiore ad 1 nei redditi, nella domanda e nella occupazione). Questa “scoperta” è stata ammessa dal FMI di recente, con implicazioni sconcertanti, ad esempio, nel caso della vicenda economica della austerità in Grecia.

[4] Vedi a “ricardian equivalence” nella note sulla traduzione. Semplicisticamente, credo che si potrebbe dire così: secondo l’equivalenza ricardiana una maggiore spesa pubblica nel presente non produrrebbe effetti rilevanti nei consumatori, giacché essi si aspetterebbero che le convenienze attuali a spendere fossero successivamente contraddette dalla tassazione più elevata alla quale uno Stato dovrebbe ricorrere per coprire gli attuali eccessi di spesa in debito. Ma, osserva l’anonimo giornalista citato, proprio il fatto che vari soggetti siano al presente gravati da debiti eccessivi potrebbe indurli a sfruttare l’occasione. C’è anche da dire che lo stesso Ricardo era molto dubbioso sulla giustezza pratica della sua legge; successivamente avanzò l’opinione che se le persone avessero aspettative razionali sarebbero indifferenti di fronte ai due sistemi (avvantaggiarsi oggi per pagare tasse maggiori domani), siccome però non le hanno, sono vittime di un’illusione finanziaria che condiziona le loro decisioni.

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