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L’economia mutilata (New York Times 7 novembre 2013)

 

The Mutilated Economy

By PAUL KRUGMAN
Published: November 7, 2013

Five years and eleven months have now passed since the U.S. economy entered recession. Officially, that recession ended in the middle of 2009, but nobody would argue that we’ve had anything like a full recovery. Official unemployment remains high, and it would be much higher if so many people hadn’t dropped out of the labor force. Long-term unemployment — the number of people who have been out of work for six months or more — is four times what it was before the recession.

These dry numbers translate into millions of human tragedies — homes lost, careers destroyed, young people who can’t get their lives started. And many people have pleaded all along for policies that put job creation front and center. Their pleas have, however, been drowned out by the voices of conventional prudence. We can’t spend more money on jobs, say these voices, because that would mean more debt. We can’t even hire unemployed workers and put idle savings to work building roads, tunnels, schools. Never mind the short run, we have to think about the future!

The bitter irony, then, is that it turns out that by failing to address unemployment, we have, in fact, been sacrificing the future, too. What passes these days for sound policy is in fact a form of economic self-mutilation, which will cripple America for many years to come. Or so say researchers from the Federal Reserve, and I’m sorry to say that I believe them.

I’m actually writing this from the big research conference held each year by the International Monetary Fund. The theme of this year’s shindig is the causes and consequences of economic crises, and the presentations range in subject from the good (Latin America’s surprising stability in recent years) to the bad (the ongoing crisis in Europe). It’s pretty clear, however, that the blockbuster paper of the conference will be one that focuses on the truly ugly: the evidence that by tolerating high unemployment we have inflicted huge damage on our long-run prospects.

How so? According to the paper (with the unassuming title “Aggregate Supply in the United States: Recent Developments and Implications for the Conduct of Monetary Policy”), our seemingly endless slump has done long-term damage through multiple channels. The long-term unemployed eventually come to be seen as unemployable; business investment lags thanks to weak sales; new businesses don’t get started; and existing businesses skimp on research and development.

What’s more, the authors — one of whom is the Federal Reserve Board’s director of research and statistics, so we’re not talking about obscure academics — put a number to these effects, and it’s terrifying. They suggest that economic weakness has already reduced America’s economic potential by around 7 percent, which means that it makes us poorer to the tune of more than $1 trillion a year. And we’re not talking about just one year’s losses, we’re talking about long-term damage: $1 trillion a year for multiple years.

That estimate is the end product of some complex data-crunching, and you can quibble with the details. Hey, maybe we’re only losing $800 billion a year. But the evidence is overwhelming that by failing to respond effectively to mass unemployment — by not even making unemployment a major policy priority — we’ve done ourselves immense long-term damage.

And it is, as I said, a bitter irony, because one main reason we’ve done so little about unemployment is the preaching of deficit scolds, who have wrapped themselves in the mantle of long-run responsibility — which they have managed to get identified in the public mind almost entirely with holding down government debt.

This never made sense even in its own terms. As some of us have tried to explain, debt, while it can pose problems, doesn’t make the nation poorer, because it’s money we owe to ourselves. Anyone who talks about how we’re borrowing from our children just hasn’t done the math.

 

True, debt can indirectly make us poorer if deficits drive up interest rates and thereby discourage productive investment. But that hasn’t been happening. Instead, investment is low because of the economy’s weakness. And one of the main things keeping the economy weak is the depressing effect of cutbacks in public spending — especially, by the way, cuts in public investment — all justified in the name of protecting the future from the wildly exaggerated threat of excessive debt.

 

Is there any chance of reversing this damage? The Fed researchers are pessimistic, and, once again, I fear that they’re probably right. America will probably spend decades paying for the mistaken priorities of the past few years.

It’s really a terrible story: a tale of self-inflicted harm, made all the worse because it was done in the name of responsibility. And the damage continues as we speak.

 

L’economia mutilata, di Paul Krugman

New York Times 7 novembre 2013

 

A questo punto sono passati cinque anni ed undici mesi da quando l’economia entrò nella recessione.  Ufficialmente la recessione finì alla metà del 2009, ma nessuno sosterrebbe che abbiamo avuto qualcosa di simile ad una ripresa. La disoccupazione ufficiale resta elevata e sarebbe molto più alta se tanta gente non fosse stata espulsa dalle forze di lavoro. La disoccupazione di lungo periodo – il numero di persone che sono state fuori dal lavoro per sei mesi o più – è quattro volte quella che era prima della recessione.

Questi aridi numeri si traducono in milioni di tragedie umane – abitazioni perdute, carriere distrutte, giovani che non possono far partire le loro vite. Molta gente implora da tempo politiche che mettano al centro il proposito di creare lavoro. I loro appelli, tuttavia, sono stati sovrastati dalle voci della più tradizionale prudenza. Non possiamo mettere più soldi sui posti di lavoro, dicono queste voci, perché comporterebbe più debito. Non possiamo neppure assumere lavoratori disoccupati ed impiegare risparmi inutilizzati per lavorare a costruire strade, gallerie, scuole. Non ha importanza il presente, dobbiamo pensare al futuro!

L’amara ironia è che si scopre che non impegnandoci sulla disoccupazione, di fatto abbiamo sacrificato anche il futuro. Quello che di questi tempi passa per una politica rigorosa, nei fatti è una auto mutilazione, renderà storpia l’America per molti anni a venire. O almeno così dicono i ricercatori della Federal Reserve, e mi dispiace dire che meritano di essere creduti.

In effetti, sto scrivendo su questo tema per il grande convegno di ricerca che si tiene ogni anno a cura del Fondo Monetario Internazionale. Il tema dell’evento clou di quest’anno sono le cause e le conseguenze della crisi economica, e le rappresentazioni  spaziano su di esso dagli aspetti positivi (la sorprendente stabilità negli anni recenti dell’America Latina) a quelli negativi (la perdurante crisi in Europa). E’ abbastanza chiaro, tuttavia, che il saggio destinato a far scalpore della conferenza sarà quello che si concentra sull’aspetto massimamente sgradevole: le prove che tollerando una disoccupazione elevata abbiamo provocato un grande danno alle nostre prospettive a lungo termine.

In che modo? Secondo il saggio (dal titolo anodino: “Offerta aggregata negli Stati Uniti: sviluppi recenti ed implicazioni per la condotta della politica monetaria”), la nostra crisi apparentemente senza fine ha provocato un danno duraturo in tre modi. I disoccupati di lungo periodo finiscono con l’essere considerati non più occupabili; gli investimenti delle imprese restano indietro grazie alle vendite deboli; le nuove imprese non partono e quelle esistenti risparmiano in ricerca e sviluppo.

C’è di più. Gli autori – uno dei quali è il direttore del settore ricerche e statistiche del Consiglio della Federal Reserve, ovvero non stiamo parlando di un oscuro accademico – avanzano un dato relativo a quegli effetti, ed è un dato terribile. Suggeriscono che la debolezza abbia già ridotto il potenziale economico dell’America di circa il 7 per cento, il che significa che essa ci rende più poveri di qualcosa pari a più di mille miliardi di dollari all’anno. E non stiamo parlando solo delle perdite di un anno, ma di un danno a lungo termine: mille miliardi di dollari all’anno per svariati anni.

Quella stima è il risultato finale di varie complicate elaborazioni di dati, e nei dettagli si può cavillare. Guardate, magari si stanno perdendo soltanto 800 miliardi di dollari all’anno. Ma la prova schiacciante è che non dando risposta alla disoccupazione di massa – anche non facendo diventare la disoccupazione una priorità politica importante – abbiamo provocato a noi stessi un immenso danno a lungo termine.

Ed è, come ho detto, una amara ironia, perché la principale ragione per la quale abbiamo fatto così poco sulla disoccupazione sono state le prediche delle Cassandre del deficit, che si sono rivestite del mantello della responsabilità verso il futuro – responsabilità che hanno fatto in modo di far identificare nella mente dell’opinione pubblica quasi per intero con l’abbattimento del debito dello Stato.

Questo era insensato persino nei suoi stessi termini. Come alcuni di noi avevano cercato di spiegare, il debito, che pure pone dei problemi, non rende la nazione più povera, giacché sono soldi che prestiamo a noi stessi. Chiunque dica che stiamo prendendo soldi a prestito dai nostri figli semplicemente non sa cosa sia la matematica.

E’ vero, il debito può indirettamente renderci più poveri se i deficit spingono in alto i tassi di interesse e di conseguenza scoraggiano l’investimento produttivo. Ma non è quello che sta accadendo. Piuttosto, gli investimenti sono bassi a seguito della debolezza dell’economia. Ed una delle cose principali che mantengono l’economia debole sono gli effetti depressivi dei tagli alla spesa pubblica – specialmente, per inciso, dei tagli agli investimenti pubblici – che vengono interamente giustificati al fine di proteggere il futuro da un minaccia di debito eccessivo enormemente esagerata.

C’è qualche possibilità di recuperare questo danno? I ricercatori della Fed sono pessimisti e, ancora una volta, temo sia probabile che abbiano ragione. Probabilmente all’America occorreranno decenni per pagare il conto delle priorità sbagliate dei recenti anni passati.

Da tutti i punti di vista è una storia tremenda: il racconto di un danno auto provocato, che ha reso tutto peggiore in quanto è stato fatto nel nome della responsabilità. E mentre parliamo, il danno prosegue.

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