Altri Economisti » Project Syndicate

L’industrializzazione cinese ed i suoi inconvenienti, di Barry Eichengreen (Project Syndicate, 8 novembre 2013)

 

NOV 8, 2013 1

wwww 34

 

 

 

 

 

 

Chinese Industrialization and its Discontents

By Barry Eichengreen

TOKYO – As the Third Plenum of the 18th Central Committee of the Chinese Communist Party convenes in Beijing, China stands at a crossroads. Its recent growth record is stupendous; no country in history can match it. But China’s economic imbalances are also stupendous. The country has sustained its output growth by investing fully one-half of GDP, though no country can productively invest more than a third of national income for an extended period. Household consumption accounts for only one-third of GDP, compared to two-thirds in a normal economy.

Associated with this low level of consumption is widening inequality – between the countryside and the cities, and between the political elites and the masses. University graduates with rising aspirations cannot find the office jobs that they seek and will not accept the factory jobs that they are offered. Social unrest, whether expressed in blogs or spontaneous demonstrations, is mounting.

China’s leaders understand all of this. They acknowledge the need to rebalance the economy from investment to consumption, and they recognize that this means developing the service sector, where good white-collar jobs will be found. They also appreciate the need to build a social safety net and strengthen rural property rights.

But Chinese officials worry that the shift from investment to consumption, and from manufacturing to services, will mean slower growth. Less investment will mean less capital deepening. Expanding the service sector, where productivity is low, will hold back aggregate output. And if growth decelerates further – the annual rate has already dropped from 10% to 7.5% – social unrest may increase.

Knowing this, Chinese leaders may hesitate to move ahead with needed reforms, causing imbalances to continue to rise. But this cannot go on indefinitely. At some point, the ticking time bomb will explode, and the growth rate will crash.

So where should Chinese leaders look for help in meeting these challenges?

It may seem improbable, but they can find guidance from the United Kingdom. Just as Chinese industrialization is unprecedented – no developing country has grown by more than 10% per year without interruption for two full decades – Britain’s industrialization 200 years ago was similarly unparalleled.

Britain was, of course, the homeland of the Industrial Revolution. Its economic growth was faster than that of any economy in human history up to that time.

But Britain’s rapid growth created severe problems. There was growing inequality, or so it appears from recent scholarly contributions to the so-called “standard-of-living debate.” There was the alienation of smallholders’ property, in what was known as the “enclosure movement.” And there were complaints about urban pollution and inhumane factory conditions in what William Blake called Britain’s “dark Satanic mills.”

Inevitably, there were eruptions of social unrest. Recall the Luddites, who responded to the early nineteenth-century mechanization of the textile industry by smashing the new technology, and the Swing Riots, in which workers destroyed threshing machines.

British politicians responded by reforming the social safety net. In 1834, the New Poor Law established national standards for social benefits. In the face of considerable controversy, assistance continued to be provided without requiring the poor to enter oppressive workhouses. Outdoor relief, as the alternative was known, was expanded as the most cost-effective way to address the poverty problem.

Second, political reform gave voice to the rising middle classes. The 1832 Reform Act gave the vote to individuals with at least £10 of property – not an inconsequential sum, to be sure, but low enough to enfranchise the middle class. The act also created a system of special courts to to adjudicate disputes over voter registration.

 

Moreover, along with political reform came policy changes aimed at rebalancing the economy. Abolition in 1846 of the Corn Laws, which had propped up the declining agricultural sector, facilitated structural shifts, first toward manufacturing and then toward services, notably financial services.

Finally, British politicians did not seek to maintain at any cost their country’s position as the world’s fastest-growing economy. Admittedly, they faced criticism when the United States, Germany, and other countries overtook Britain in the late nineteenth century. But, by not standing in the way of the economy’s natural evolution from agriculture to industry and then to services, they enabled the United Kingdom to enjoy a full century of sustained economic growth.

China may regard the nineteenth-century experience of a windswept island off the northwest coast of Europe as an odd source of inspiration. But if Chinese leaders meeting at their party plenum accomplish half as much as their nineteenth-century English predecessors, they will have done very well indeed.

 

 

 

 

 

 

 

 

L’industrializzazione cinese ed i suoi inconvenienti

di Barry Eichengreen

 

TOKYO – Nel momento in cui il Terzo Plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese si riunisce in Pechino, la Cina è ad un crocevia. Il suo recente record di crescita è eccezionale; nessun paese nella storia lo eguaglia. Ma anche gli squilibri economici cinesi sono straordinari. Il paese ha sorretto la sua crescita produttiva investendo l’intera metà del PIL, sebbene nessun paese possa investire produttivamente più di un terzo del suo reddito nazionale per un periodo prolungato. I consumi delle famiglie pesano soltanto un terzo del PIL, a confronto di due terzi in una economia normale.

Una ineguaglianza crescente è andata di pari passo con il suo basso livello di consumi – tra la campagna e le città e tra i gruppi dirigenti politici e le masse. I laureati dalle università con aspirazioni crescenti non possono trovare i posti di lavoro che cercano nel settore impiegatizio e non intendono accettare i posti di lavoro industriali che sono loro offerti. L’irrequietezza sociale, espressa sia nei blogs che in dimostrazioni spontanee, sta montando.

I dirigenti cinesi capiscono la situazione. Riconoscono il bisogno di riequilibrare l’economia dagli investimenti ai consumi, e riconoscono che questo significa sviluppare il settore dei servizi, dove si potranno trovare buoni posti di lavoro per colletti-banchi. Si rendono anche conto del bisogno di costruire una rete della sicurezza sociale e di rafforzare i diritti della proprietà contadina.

Ma i dirigenti cinesi temono che lo spostamento dagli investimenti ai consumi, e dal settore manifatturiero ai servizi, significherà una crescita più lenta. Minori investimenti significheranno minore intensificazione del capitale [1]. Espandere il settore dei servizi, dove la produttività è bassa, frenerà la produzione complessiva. E se la crescita decelera ulteriormente – il tasso annuale è già sceso dal 10 al 7,5 per cento – la protesta sociale può crescere.

Consapevoli di questo, i leaders cinesi possono esitare a procedere con le riforme necessarie, provocando la prosecuzione delle crescita degli squilibri. Ma questo non può andare avanti indefinitamente. In qualche momento, la bomba ad orologeria esploderà, ed il tasso di crescita crollerà.

Dunque, dove dovrebbero guardare i cinesi per essere aiutati ad affrontare queste sfide?

Può sembrare improbabile, ma essi possono trovare ispirazione nel Regno Unito. Così come la industrializzazione cinese è senza precedenti – nessun paese in via di sviluppo è cresciuto di più del 10 per cento all’anno senza interruzione per due interi decenni – l’industrializzazione inglese 200 anni orsono fu similmente senza eguali.

L’Inghilterra fu, come è noto,  la patria della Rivoluzione Industriale. La sua crescita economica fu più veloce di quella di qualsiasi altra economia nella storia umana sino a quel tempo.

Ma la rapida crescita dell’Inghilterra creò gravi problemi. Ci furono ineguaglianze crescenti, o almeno così sembra da recenti dotti contributi nel cosiddetto “dibattito sugli standards di vita”. Ci fu la perdita di proprietà da parte dei piccoli proprietari terrieri, in quello che venne definito il “movimento delle enclosures”. E ci furono gravi disagi per l’inquinamento urbano e le disumane condizioni negli stabilimenti industriali che William Blake chiamava i “cupi opifici satanici”.

Inevitabilmente, ci furono esplosioni del malessere sociale. Si ricordino i Luddisti, che reagirono alla meccanizzazione dell’industria tessile agli inizi del diciannovesimo secolo con la distruzione della nuova tecnologia, ed i Swing Riots, ribellioni con le quali i lavoratori agricoli distrussero le macchine trebbiatrici.

I politici britannici reagirono riformando i sistemi della sicurezza sociale. Nel 1834 la Nuova Legge sui Poveri stabilì standards nazionali per i sussidi sociali. A fronte della importante controversia, la assistenza continuò ad essere fornita senza imporre ai poveri di entrare nelle oppressive ‘case di lavoro’. Il ‘sostegno all’aperto’, come fu definita la alternativa, fu accresciuto come il modo più efficace per affrontare il problema della povertà.

In secondo luogo, una riforma politica diede voce alle crescenti classi medie. La Reform Act concesse il voto alle persone con almeno 10 sterline di proprietà – non una somma irrilevante, per la verità, ma abbastanza bassa da consentire il diritto di voto alla classe media. La legge creò anche un sistema speciale di corti per giudicare sui contrasti sulla registrazione degli elettori.

Inoltre, assieme alla riforma politica vennero mutamenti politici rivolti ad un riequilibrio dell’economia. L’abolizione nel 1846 delle Corn Laws, che aveva puntellato il declinante settore dell’agricoltura, facilitò spostamenti strutturali, dapprima verso il manifatturiero e poi verso i servizi, in particolare i servizi finanziari.

Infine, gli uomini politici britannici non cercarono ad ogni costo di mantenere il primato del proprio paese come l’economia a crescita più veloce. Si deve ammettere che dovettero fronteggiare critiche allorquando gli Stati Uniti, la Germania ed altri paesi sorpassarono l’Inghilterra alla fine del diciannovesimo secolo. Ma, non ostacolando la naturale evoluzione dalla agricoltura all’industria e poi ai servizi, consentirono al Regno Unito di godere di un intero secolo di crescita economica sostenuta.

La Cina può considerare il diciannovesimo secolo di un’isola spazzata dal vento oltre la costa nordoccidentale dell’Europa come una strana fonte di ispirazione. Ma se l’incontro dei dirigenti cinesi al plenum del loro partito realizzerà la metà di quello che fecero i loro predecessori del diciannovesimo secolo, in effetti avranno fatto un buon lavoro.


 

 


[1] Per intensificazione del capitale[1] (in inglese capital deepening) si intende quella relazione che intercorre tra lavoratore e capitale impiegato in impresa: quindi, si intende il capitale disponibile per ogni lavoratore, cioè il numero di macchinari a disposizione per ogni lavoratore (coefficiente capitale/ora di lavoro).

Quello della cd. base produttiva è un argomento introdotto solo recentemente per dimostrare che non è importante solo l’incremento di capitale o di lavoro in un’economia, ma ci deve essere un giusto aumento di macchinari e lavoro.
L’aumento simmetrico capitale-lavoro porta a diseconomie (ampliamento del capitale), così come la rigidità nell’uso della forza lavoro incoraggia investimenti ad alta intensità di capitale. (Wikipedia)

By


Commenti dei Lettori (0)


E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"