November 22, 2013, 2:57 pm
What we have here is a problem of communication.
Actually, mostly that’s not true. Most of the arguments we have over economic policy involve real disputes about how the world works. Sometimes these are smart disputes, like the argument over the effectiveness of quantitative easing, sometimes they’re stupid disputes, like the one over whether the Fed is debasing the currency, but anyway they are about something real.
But to such real arguments one must add an extra layer of confusion arising from the way economists use words. Fairly often, we have a term of art that is pretty deeply embedded in the professional discourse, but which either sounds strange to outsiders or can be misinterpreted.
An example of the first is the term “secular stagnation”. I know many of my readers dislike it. It relies on definition 3(c) of “secular” in Merriam-Webster: “of or relating to a long term of indefinite duration” — not exactly what comes to most people’s minds. Unfortunately, that is the term economists have used for the concept since Alvin Hansen popularized it in the 30s and 40s, and it’s very hard to change.
I suppose I could try to get a catchy alternative into circulation. I did, after all, get the confidence fairy out there. Maybe Sustained NEgative Equilibirum Rates of interest, or SNEER? I don’t know — it’s really hard to change something like this once established.*
Another example, which the same discussion has brought home, is the use of the term “structural”, as in “structural unemployment.”
Now, one aspect of this meaning is “hard to change”. But I’ve been getting a fair number of people thinking they have a gotcha: I’ve been denying that we have a big problem with structural unemployment, and now I’m saying that we may have a sustained problem of economic stagnation. Contradiction!
Well, no.
Structural unemployment has a much more specific meaning than that. It means unemployment that can’t be eliminated just by increasing aggregate demand. It’s closely tied to the notion of a Phillips curve, a tradeoff between unemployment and inflation, which in the long run looks something like this:
It’s almost but not quite the NAIRU, the non-accelerating-inflation rate of unemployment — not quite because I am now convinced that the long-run Phillips curve flattens out at low inflation. So it’s more like the minimum unemployment rate consistent with (fairly) low and stable inflation.
The crucial point, however, is that’s a supply-side concept. It’s about the limits of what you can achieve by increasing aggregate demand. It has nothing at all to do with secular stagnation, which is about reasons you might have trouble increasing aggregate demand in the first place.
One moral of the story is to beware: economese may sound like English, but it sometimes has crucial differences. The bigger moral of the story, however, is that it’s ultimately not about the words — it’s about the model.
*Brief anecdote: For historical reasons, economists doing international macro usually measure the exchange rate as the price of foreign currency, e.g., for Mexico it’s pesos per dollar. As a result, on your diagrams, when your currency goes down, the exchange rate goes up. Everyone else, including other economists, hates this convention. Yet it’s nearly impossible to change it in the textbooks without upsetting thousands of course instructors.
Problemi strutturali con il linguaggio economico
Quello che abbiamo in questo momento è un problema di comunicazione.
Per la verità, questo per la maggior parte dei casi non è vero. Gran parte delle discussioni che abbiamo sulla politica economica riguardano i temi veri di come funziona il mondo. Talvolta sono dispute intelligenti, come nel caso della efficacia delle “facilitazioni quantitative” [1], talvolta sono dispute sciocche, come quella se la Fed stia svalutando la moneta, ma in ogni caso hanno a che fare con la realtà.
Ma a tali argomenti reali si deve aggiungere uno strato aggiuntivo di confusione che deriva dal modo in cui gli economisti usano le parole. Abbastanza spesso si incontra una espressione tecnica che è del tutto incorporata nel linguaggio della disciplina, ma che o suona strana per gli estranei o può essere fraintesa.
Un esempio del primo caso è il termine “stagnazione secolare”. So che a molti miei lettori non piace. Si basa sulla definizione n. 3 © del dizionario Merriam-Webster: “di o relativa a lungo periodo o durata indefinita” – non esattamente quello che viene alla mente della maggior parte delle persone. Sfortunatamente, quello è il termine che gli economisti hanno utilizzato per tale concetto sin dal momento in cui Alvin Hansen [2] lo rese popolare negli anni ’30 e ’40, ed è molto difficile modificarlo.
Suppongo che si potrebbe provare a mettere in circolazione una alternativa più orecchiabile. Dopo tutto, in un altro contesto, mi procurai la ‘fata della fiducia’. Forse Tassi di Interesse di un Prolungato Equilibrio Negativo, o TIPEN [3]? Non lo so – è davvero difficile cambiare qualcosa una volta che questa è stata stabilita. (vedi nota finale)
Un altro esempio, che lo stesso dibattito ha reso attuale, è l’uso del termine “strutturale”, come in “disoccupazione strutturale”.
Ora, un aspetto del suo significato è “difficile da cambiare”. Ma sto incontrando un discreto numero di persone che pensano di avermi preso in castagna: sono venuto negando che abbiamo un grande problema con la disoccupazione strutturale, ed ora sto dicendo che abbiamo un prolungato problema di stagnazione economica. Contraddizione!
Ebbene, non è così.
Disoccupazione strutturale ha un significato molto più specifico di quello. Significa una disoccupazione che non può essere eliminata solo incrementando la domanda aggregata. E’ strettamente connessa con il concetto della curva di Phillips [4], uno scambio tra disoccupazione ed inflazione, che nel lungo periodo appare in questo modo:
E’ quasi ma non esattamente il NAIRU, il tasso di disoccupazione che (ancora) non provoca una accelerazione dell’inflazione – non esattamente perché ora mi sono persuaso che la curva di Phillips nel lungo periodo si appiattisce in una bassa inflazione. Dunque, è più come il tasso di disoccupazione minimo coerente con una inflazione stabile ed abbastanza bassa.
Il punto cruciale, tuttavia, è che è un concetto dal lato dell’offerta. Riguarda i limiti di quello che si può ottenere aumentando la domanda aggregata. Non ha niente a che fare con la stagnazione secolare, che riguarda prima di tutto le ragioni per le quali potreste avere un guaio incrementando la domanda aggregata.
Una morale della storia alla quale fare attenzione: il linguaggio economico può sembrare simile all’inglese, ma talvolta ha differenze cruciali. La morale più grande, tuttavia, in ultima analisi non riguarda le parole – riguarda il modello.
(Nota finale) Un breve aneddoto: per ragioni storiche, gli economisti che lavorano sulla macro internazionale normalmente misurano il tasso di cambio come il prezzo di una valuta straniera, ad esempio, nel caso del Messico il peso contro il dollaro. Di conseguenza, nei vostri diagrammi, quando la vostra valuta scende, il tasso di cambio sale. Ogni altra persona, compresi gli economisti degli altri settori, odiano questa convenzione. Tuttavia è quasi impossibile cambiarla nei libri di testo senza far infuriare migliaia di istruttori di corso.
[1] Vedi note sulla traduzione a “quantitative easing”.
[2] Alvin Harvey Hansen (nato a Viborg – Sud Dakota – da genitori danesi il 23 agosto 1887 e morto ad Alexandria, il 6 giugno 1975) è stato un economista statunitense, uno dei principali studiosi, nel suo paese, della teoria economica di John Maynard Keynes. Hansen, inizialmente (per la precisione, quando iniziò ad insegnare a Harvard, nel 1937) era un sostenitore della teoria ortodossa pre-keynesiana e criticava duramente la teoria dell’economista britannico. In realtà, aveva già cambiato opinione nel 1938, in occasione del suo discorso come Presidente della Associazione degli Economisti americani. Il famoso modello IS-LM, generalmente attribuito ad Hicks, fu elaborato da Hicks ed Hansen. Tra gli economisti che si formarono alle sue lezioni universitarie, ci furono anche Samuelson e Tobin. Nei tardi anni ’30 formulò il concetto della “stagnazione secolare”, sostenendo che l’America non sarebbe tornata a crescere rapidamente come in precedenza, anche per l’esaurimento di alcuni ingredienti di quella crescita, inclusa la innovazione tecnologica e la crescita della popolazione. Nel 1953 scrisse un libro (“Guida a Keynes”) che ebbe un grande successo, come il contemporaneo libro di testo di Samuelson, nel diffondere la conoscenza delle teorie keynesiane.
[3] Lo traduco in un acronimo letterale italiano, ma si perde l’ironia, perché SNEER significa “sogghigno”!
[4] Vedi le note sulla traduzione.
By mm
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