Blog di Krugman

Ancora sul paleo-keynesismo (leggermente per esperti) (16 dicembre 2013)

 

December 16, 2013, 10:55 am

More Paleo-Keynesianism (Slightly Wonkish)

More followup on the state of Keynesian economics. In the Brad DeLong post I cited, he mentions as one of the key planks of New Keynesian (as opposed to old Keynesian) macroeconomics the rejection of the old-fashioned notion of a stable relationship between unemployment and inflation.

Now, you can argue that the notion of a long-term usable unemployment-inflation tradeoff was never really part of Keynesian economics, that it’s a caricature of what 60s Keynesians actually believed. Nonetheless, the stagflation of the 70s was a decisive moment in economic ideology. Stagflation seemed to confirm the Friedman-Phelps notion — based loosely on “microfoundations”, i.e., notions of rational behavior — that sustained inflation would get built into wage and price setting, so that historical correlations between unemployment and inflation would disappear. And this in turn gave a huge push to the anti-Keynesian revolution.

Put it this way: when I was in grad school, I remember lunchtime conversations that went something like this; “I just don’t buy the Lucas stuff — it’s not remotely realistic.” “But these people have been right so far, how can you be sure they aren’t right now?”

But that was then. And here’s a question: How many economists realize that the data since around 1985 — that is, since the Reagan-Volcker disinflation — actually look a lot like an old-fashioned Phillips curve?

Start with the raw data. Here’s unemployment and increases in nonsupervisory wages since 1985:

wwww 93

 

 

 

 

 

 

 

 

What you see is that wage growth was low when unemployment was high, and vice versa. Now take annual averages (to avoid overlapping data) and plot the unemployment rate against the wage change over the next year:

wwww 94

 

 

 

 

 

 

 

 

There are a couple of possible explanations for the return of the good old-fashioned Phillips curve: anchored inflation expectations, downward sticky nominal wages. I’ll have more thoughts on that later (actually, downward rigidity and anchored expectations I think reinforce each other). But the point is that notions of how inflation works that were formed in the era of stagflation are very much at odds with the way the world has looked, not just since the Great Recession began, but since the mid-1980s. Yet stagflation still shapes both public perceptions and policy.

 

This matters, a lot. The belief that the economy fluctuates around potential output, that it can’t be persistently below potential, is based ultimately on the natural rate hypothesis, which in turn took over economic thinking during the era of stagflation. This belief, in turn, underlies official estimates of potential output, which as Simon Wren-Lewis notes, causes any sustained slump to get built into official estimates of potential. Hence the official EU view that Spain is near full employment, the notion that Britain in 2007 was a hugely overheated economy with a huge structural budget deficit, and so on. If stagflation-era macro is wrong, so are all of these conclusions.

 

It is, in short, time to go back to the future.

 

Ancora sul paleo-keynesismo (leggermente per esperti)

 

Un qualche seguito sullo stato dell’economia keynesiana. Nel post di Brad DeLong che ho citato, egli ricorda come uno dei punti programmatici principali dell’economia  neokeynesiana (all’opposto di quella  keynesiana antica) il rigetto del concetto, una volta di moda, di una relazione stabile tra disoccupazione ed inflazione.

Ora, si può sostenere che il concetto di uno scambio durevole nel lungo periodo tra disoccupazione ed inflazione non sia stato mai parte della teoria economica keynesiana, che esso sia una caricatura di quello in cui i keynesiani degli anni ’60 effettivamente credevano. Nondimeno, la stagflazione degli anni ’70 fu un momento decisivo nell’ideologia economica. La stagflazione sembrava confermare l’idea di Friedman-Phelps – genericamente basata su fondamenti microeconomici, ovvero su concetti del cosiddetto comportamento razionale – secondo la quale una prolungata inflazione si sarebbe strutturata in un contesto di salari e di prezzi, in modo tale che la correlazione storica tra disoccupazione ed inflazione sarebbe scomparsa. E questo a sua volta diede un’ampia spinta alla rivoluzione antikeynesiana.

Mettiamola così: quando ero all’università, mi ricordo conversazioni all’ora di pranzo che procedevano all’incirca in questo modo: “Io non abbocco alle idee di Lucas – non sono neanche lontanamente realistiche”. “Ma questa gente sinora ha avuto ragione, come puoi esser certo che non l’abbiano anche adesso?”.

Ma quello accadeva allora. E qua c’è una domanda: come hanno potuto comprendere molti economisti che i dati a partire da circa il 1985 – vale a dire dalla disinflazione di Reagan e Volcker – assomigliavano per davvero alla curva di Phillips un tempo di moda?

Cominciamo con i dati grossolani. Ecco la disoccupazione e gli incrementi dei salari dei lavoratori con funzioni non direttive a partire dal 1985:

wwww 93

 

 

 

 

 

 

 

 

Quello che potete vedere è che la crescita dei salari era bassa quando la disoccupazione era elevata, e viceversa. Ora consideriamo le medie annuali (per evitare la sovrapposizione di dati) e rappresentiamo il tasso di disoccupazione a fronte dei mutamenti salariali nel corso dell’anno successivo [1]:

wwww 94

 

 

 

 

 

 

 

 

Ci sono un paio di possibili spiegazioni per questo ritorno della curva di Phillips di vecchia concezione: le aspettative di inflazione bloccate ed i salari nominali rigidi verso il basso. Svilupperò a tale proposito ulteriori pensieri successivamente (io penso che in verità la rigidità verso il basso e le aspettative bloccate di inflazione si rafforzino reciprocamente). Ma il punto è che le idee su come si forma l’inflazione che si erano stabilite nell’epoca della stagflazione sono molto diverse dal modo in cui il mondo è apparso, non solo dopo che ebbe inizio la Grande recessione, ma sin dalla metà degli anni ’80. Tuttavia la stagflazione ancora informa sia le percezioni dell’opinione pubblica che la politica.

Questo ha molta importanza. La convinzione che l’economia fluttui attorno alla produzione potenziale, che essa non possa collocarsi in modo persistente al di sotto del potenziale, è basata in ultima analisi sulla ipotesi del tasso naturale [2], che a sua volta prese piede nel pensiero economico durante l’epoca della stagflazione. Questo convincimento, a sua volta, si basa sulle stime ufficiali della produzione potenziale, il che, come nota Simon Wren-Lewis, induce ogni recessione prolungata a venir costruita dentro le stime ufficiali del potenziale. Da qui il punto di vista ufficiale dell’Unione Europea secondo la quale la Spagna sarebbe vicina alla piena occupazione, l’idea che l’Inghilterra nel 2007 sarebbe stata un’economia ampiamente surriscaldata con un largo deficit strutturale di bilancio, e così via. Se la macro della stagflazione era sbagliata, lo sono altrettanto tutte queste conclusioni.

In breve, è il momento di tornare al futuro.



[1] Come si vede, quando la disoccupazione è elevata (asse orizzontale, con i dati più elevati a destra) i mutamenti del salari sono più contenuti (asse verticale, con i dati più elevati in basso); e viceversa.

[2] Di interesse.

By


Commenti dei Lettori (0)


E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"