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Il capro espiatorio tedesco, di Daniel Gros (Project Syndicate, 5 dicembre 2013)

 

Daniel Gros

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Daniel Gros is Director of the Brussels-based Center for European Policy Studies.

DEC 5, 2013 2

The German Scapegoat

BRUSSELS – Could Germany, which accounts for 1% of the world’s population and less than 5% of its GDP, actually be responsible for the sorry state of the global economy? The US Treasury Department started the chorus with a report on currency manipulators that criticized Germany’s current-account surplus. The European Commission added its voice last month, when it published its scorecard on macroeconomic imbalances and called for an in-depth analysis of the German surplus.

The emphasis on Germany seems much more justified within the context of Europe. But, even there, Germany represents less than 30% of eurozone GDP (and less than one-quarter of output in the EU as a whole). Germany is important but not dominant.

This focus on Germany also overlooks the fact that the country represents just the tip of a Teutonic iceberg: All northern European countries with a Germanic language are running a current-account surplus. Indeed, the Netherlands, Switzerland, Sweden, and Norway are all running surpluses that are larger as a proportion of GDP than Germany’s.

These small countries’ combined annual external surplus is more than $250 billion, slightly more than that of Germany alone. Moreover, their surpluses have been more persistent than those of Germany: ten years ago, Germany had a current-account deficit, while its linguistic kin were already running surpluses of a similar size as today. Over the last decade, this group of small countries has recorded a cumulative surplus larger than even that of China.

Are all of these countries guilty of mercantilist policies? Have all of them engaged in competitive wage restraint?

Much of the facile policy advice provided to correct the German surplus seems misguided when one examines the persistent surpluses of this diverse group of countries. Some, like Germany, are in the eurozone (the Netherlands); others have pegged their currency to the euro unilaterally (Switzerland), while still others maintain a floating exchange rate (Sweden).

Within the eurozone, the counterpart to the German surpluses used to be the deficits of the peripheral countries (mostly Spain, but also Portugal and Greece). This is no longer the case.

 

Today, the counterpart to Teutonic excess saving is “Anglo-Saxon” dissaving: most English-language countries are running current-account deficits (and have been doing so for some time). Together, the sum of the current-account deficits of the United States, the United Kingdom, and major Commonwealth countries amounts to more than $800 billion, or roughly 60% of the global total of all external deficits.

It is not surprising that national policymakers (and media) in major Anglophone countries are complaining about the German surplus. But action by Germany alone will have little impact on these countries’ fortunes, because their deficits are much larger.

The key question is who would benefit if Germany started to import more. The peripheral eurozone countries account for only about 10% of German imports, compared to almost 40% for the other surplus countries in northern Europe. Stronger domestic demand in Germany would thus benefit these other surplus countries (with low unemployment) four times more than the peripheral countries (with much higher unemployment). Other countries with a structural surplus, including Russia, China, and Japan, would also benefit more from stronger German demand than Spain or Greece would.

 

The discussion of the German surplus thus confuses the issues in two ways. First, though the German economy and its surplus loom large in the context of Europe, an adjustment by Germany alone would benefit the eurozone periphery rather little. Second, in the global context, adjustment by Germany alone would benefit many countries only a little, while other surplus countries would benefit disproportionally. Adjustment by all northern European countries would have double the impact of any expansion of demand by Germany alone, owing to the high degree of integration among the “Teutonic” countries.

 

 

This applies to both the European and global contexts. Coordination within the eurozone (for example, through the excessive-imbalance procedure, which might now be applied to Germany) seems largely insufficient if the aim is to help the peripheral countries. At the global level, the Anglophone deficit countries, too, would benefit much more if all of northern Europe increased its domestic demand.

Germany has been an attractive target for external-deficit countries in Europe and beyond. But beating up on Germany alone appears to be the wrong way to get results.

 

 

 

 

 

 

 

Il capro espiatorio tedesco

di Daniel Gros (direttore del Centro per gli studi di politici europea, a Bruxelles)

5 dicembre 2013

 

BRUXELLES – E’ possibile che la Germania, che rappresenta l’1% della popolazione del mondo e meno del 5% del suo PIL, sia effettivamente responsabile del misero stato dell’economia globale? Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha dato avvio al coro con un rapporto sui manipolatori di valuta che criticava il surplus di conto corrente [1] della Germania. La Commissione Europea ha aggiunto la sua voce il mese scorso, quando ha pubblicato i suoi punteggi sugli squilibri economici e si è pronunciata per una analisi a fondo del surplus tedesco.

L’enfasi sulla Germania sembra molto più giustificata dentro il contesto dell’Europa. Ma persino lì, la Germania rappresenta meno del 30% del PIL dell’eurozona (e meno di un quarto del prodotto dell’Unione Europea nel suo complesso). La Germania è importante, ma non dominante.

La concentrazione sulla Germania sottovaluta anche il fatto che il paese rappresenta solo la punta dell’iceberg teutonico: tutti i paesi del nord Europa a lingua tedesca stanno realizzando surplus di conto corrente. In effetti, l’Olanda, la Svizzera, la Svezia e la Norvegia stanno tutti gestendo avanzi che in proporzione al PIL sono più ampi di quelli della Germania.

Questi piccoli paesi mettono assieme un surplus annuale verso l’estero per più di 250 miliardi di dollari, leggermente superiore a quello della Germania da sola. Inoltre, i loro surplus sono molto più persistenti di quelli della Germania: dieci anni fa la Germania aveva un deficit di conto corrente mentre la sua ‘famiglia’ linguistica realizzava già surplus di dimensioni simili ad oggi. Nel corso del decennio passato, questo gruppo di piccoli paesi ha registrato un surplus cumulativo persino più ampio di quello della Cina.

Questi paesi, sono tutti colpevoli di politiche mercantilistiche? Sono tutti impegnati in una restrizione competitiva dei salari?

Molti dei superficiali consigli politici rivolti a correggere il surplus tedesco sembrano fuorvianti quando si esaminano i persistenti surplus di questo gruppo di paesi. Alcuni, come la Germania, sono in Europa (l’Olanda); altri hanno ancorato in modo unilaterale la loro valuta all’euro (la Svizzera), mentre altri ancora mantengono un tasso di cambio fluttuante (la Svezia).

All’interno dell’eurozona, la controparte dei surplus tedeschi erano normalmente il deficit dei paesi periferici (soprattutto la Spagna, ma anche il Portogallo e la Grecia). La situazione non è più questa.

Oggi la controparte dell’eccesso teutonico di risparmi è la mancanza di risparmi nell’area ‘anglosassone’: gran parte dei paesi a lingua inglese stanno realizzando deficit di conto corrente (e lo stanno facendo da un po’ di tempo). Assieme, la somma dei deficit di conto corrente degli Stati Uniti, del Regno Unito e dei principali paesi del Commonwealth corrisponde  più 800 miliardi di dollari, grosso modo pari al 60% del totale globale di tutti i deficit verso l’estero.

E non è sorprendente che gli operatori politici (ed i media) in importanti paesi anglofoni si stiano lamentando dei surplus tedeschi. Ma la sola iniziativa tedesca avrebbe un impatto molto modesto sulle fortune di questi paesi, giacché i loro deficit sono molto più ampi.

La domanda cruciale è quella di chi trarrebbe beneficio se la Germania cominciasse ad importare maggiormente. I paesi della periferia dell’eurozona incidono soltanto per il 10% nelle esportazioni tedesche, a confronto di quasi il 40% degli altri paesi in surplus nel nord dell’Europa. Una domanda interna più forte, di conseguenza, beneficerebbe altri paesi in surplus (con bassa disoccupazione) quattro volte di più dei paesi periferici (con una disoccupazione molto più alta). Anche altri paesi con surplus strutturali, inclusi la Russia, la Cina ed il Giappone, beneficerebbero maggiormente di una più forte domanda tedesca della Spagna e della Grecia.

Il dibattito sul surplus tedesco dunque confonde i temi da due punti di vista. In primo luogo, sebbene l’economia tedesca e il suo surplus incomba largamente nel contesto dell’Europa, una correzione soltanto da parte della Germania porterebbe benefici alla periferia dell’eurozona abbastanza modesti. In secondo luogo, nel contesto globale, una correzione soltanto da parte della Germania porterebbe un piccolo beneficio a molti paesi, mentre altri paesi in surplus se ne avvantaggerebbero in modo più che proporzionale. Una correzione da parte di tutti i paesi del nord Europa raddoppierebbe l’impatto di una qualche espansione della domanda soltanto tedesca, in conseguenza all’alto grado di integrazione tra i paesi “teutonici”.

Questo vale sia per il contesto europeo che per quello globale. Un coordinamento all’interno dell’eurozona (ad esempio, attraverso un procedura per eccessivo squilibrio, che potrebbe essere applicata alla Germania) appare largamente insufficiente allo scopo di aiutare i paesi periferici. Al livello globale, anche i paesi del deficit anglofono trarrebbero molto maggior beneficio se tutti i paesi del Nord Europa incrementassero la loro domanda interna.

La Germania è stata un bersaglio attraente per i paesi con deficit verso l’estero, in Europa ed altrove. Ma battere solo sulla Germania sembra la cosa sbagliata da fare, se si vogliono ottenere risultati.



[1] Si ricordi che, in economia, il “conto corrente” è una delle due componenti primarie della bilancia dei pagamenti, essendo l’altra il “conto capitale”.  Il “conto corrente” è la somma della bilancia commerciale (esportazioni meno importazioni di beni e servizi), del reddito netto di fattori della produzione (come gli interessi ed i dividendi) e dei trasferimenti (come gli aiuti all’estero). Il “conto corrente” è una delle due più importanti misure delle caratteristiche del commercio estero di un paese (l’altra essendo il flusso netto di capitali investiti all’estero). Avanzi nel conto corrente aumentano gli assets netti all’estero, mentre deficit di conto corrente producono l’effetto contrario. Sono inclusi nel calcolo sia i pagamenti dello Stato che dei privati. E’ chiamato “conto corrente” perché in generale i beni ed i servizi sono consumati nel periodo “corrente”.

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