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Informatica e barbarie (New York Times 22 dicembre 2013)

 

Bits and Barbarism

By PAUL KRUGMAN
Published: December 22, 2013

This is a tale of three money pits. It’s also a tale of monetary regress — of the strange determination of many people to turn the clock back on centuries of progress.

The first money pit is an actual pit — the Porgera open-pit gold mine in Papua New Guinea, one of the world’s top producers. The mine has a terrible reputation for both human rights abuses (rapes, beatings and killings by security personnel) and environmental damage (vast quantities of potentially toxic tailings dumped into a nearby river). But gold prices, while down from their recent peak, are still three times what they were a decade ago, so dig they must.

The second money pit is a lot stranger: the Bitcoin mine in Reykjanesbaer, Iceland. Bitcoin is a digital currency that has value because … well, it’s hard to say exactly why, but for the time being at least people are willing to buy it because they believe other people will be willing to buy it. It is, by design, a kind of virtual gold. And like gold, it can be mined: you can create new bitcoins, but only by solving very complex mathematical problems that require both a lot of computing power and a lot of electricity to run the computers.

Hence the location in Iceland, which has cheap electricity from hydropower and an abundance of cold air to cool those furiously churning machines. Even so, a lot of real resources are being used to create virtual objects with no clear use.

The third money pit is hypothetical. Back in 1936 the economist John Maynard Keynes argued that increased government spending was needed to restore full employment. But then, as now, there was strong political resistance to any such proposal. So Keynes whimsically suggested an alternative: have the government bury bottles full of cash in disused coal mines, and let the private sector spend its own money to dig the cash back up. It would be better, he agreed, to have the government build roads, ports and other useful things — but even perfectly useless spending would give the economy a much-needed boost.

Clever stuff — but Keynes wasn’t finished. He went on to point out that the real-life activity of gold mining was a lot like his thought experiment. Gold miners were, after all, going to great lengths to dig cash out of the ground, even though unlimited amounts of cash could be created at essentially no cost with the printing press. And no sooner was gold dug up than much of it was buried again, in places like the gold vault of the Federal Reserve Bank of New York, where hundreds of thousands of gold bars sit, doing nothing in particular.

 

Keynes would, I think, have been sardonically amused to learn how little has changed in the past three generations. Public spending to fight unemployment is still anathema; miners are still spoiling the landscape to add to idle hoards of gold. (Keynes dubbed the gold standard a “barbarous relic.”) Bitcoin just adds to the joke. Gold, after all, has at least some real uses, e.g., to fill cavities; but now we’re burning up resources to create “virtual gold” that consists of nothing but strings of digits.

I suspect, however, that Adam Smith would have been dismayed.

Smith is often treated as a conservative patron saint, and he did indeed make the original case for free markets. It’s less often mentioned, however, that he also argued strongly for bank regulation — and that he offered a classic paean to the virtues of paper currency. Money, he understood, was a way to facilitate commerce, not a source of national prosperity — and paper money, he argued, allowed commerce to proceed without tying up much of a nation’s wealth in a “dead stock” of silver and gold.

 

So why are we tearing up the highlands of Papua New Guinea to add to our dead stock of gold and, even more bizarrely, running powerful computers 24/7 to add to a dead stock of digits?

Talk to gold bugs and they’ll tell you that paper money comes from governments, which can’t be trusted not to debase their currencies. The odd thing, however, is that for all the talk of currency debasement, such debasement is getting very hard to find. It’s not just that after years of dire warnings about runaway inflation, inflation in advanced countries is clearly too low, not too high. Even if you take a global perspective, episodes of really high inflation have become rare. Still, hyperinflation hype springs eternal.

Bitcoin seems to derive its appeal from more or less the same sources, plus the added sense that it’s high-tech and algorithmic, so it must be the wave of the future.

 

But don’t let the fancy trappings fool you: What’s really happening is a determined march to the days when money meant stuff you could jingle in your purse. In tropics and tundra alike, we are for some reason digging our way back to the 17th century.

 

Informatica e barbarie, di Paul Krugman

New York Times 22 dicembre 2013

 

Questo è un racconto di tre miniere di denaro. E’ anche un racconto sul regresso monetario – sulla strana determinazione di molti individui di rimettere l’orologio indietro, su secoli di progresso.

La prima miniera è una miniera vera e propria – la miniera d’oro a cielo aperto di Porgera a Papua, Nuova Guinea, uno dei maggiori produttori del mondo. La miniera ha una reputazione terribile sia per gli abusi in materia di diritti umani (stupri, percosse ed assassinii da parte del personale di vigilanza) che per i danni ambientali (enormi quantità di residui tossici scaricati in un fiume vicino). Ma i prezzi dell’oro, seppure in discesa rispetto al loro picco recente, sono ancora tre volte quello che erano dieci anni orsono, quindi si deve scavare.

La seconda miniera di denaro è un bel po’ più strana: la miniera di Bitcoin, a Reykjanesbaer, Islanda. Bitcoin è una moneta digitale che ha valore perché … bene, è difficile dire esattamente perché, ma al momento presente la gente è spinta a comprarlo perché crede che altra gente sarà spinta a comprarlo. E’, per definizione, una sorta di oro virtuale. E, al pari dell’oro, può essere estratto: potete creare nuovi bitcoins, ma solo risolvendo problemi matematici molto complicati che richiedono sia un bel po’ di potere di calcolo che un bel po’ di elettricità per alimentare i computers.

Da qui la localizzazione in Islanda, che ha elettricità a basso prezzo dalla energia idrica e molta aria gelida per raffreddare quelle macchine che si agitano furiosamente. Ciononostante, una grande quantità di risorse reali vengono usate per creare oggetti virtuali di non chiaro utilizzo.

La terza miniera di denaro è ipotetica. Nel passato 1936 l’economista John Maynard Keynes sostenne che era necessaria una accresciuta spesa pubblica per rispristinare la piena occupazione. Ma allora come oggi c’era una forte resistenza politica a proposte del genere. Dunque Keynes suggerì una alternativa bizzarra: il Governo doveva sotterrare bottiglie piene di contante in miniere abbandonate di carbone, e consentire ai privati di estrarre quel contante a spese proprie. Sarebbe stato meglio, conveniva, avere un Governo che costruisce strade, porti ed altre cose utili – ma anche una spesa perfettamente inutile avrebbe dato all’economia quella spinta di cui c’era gran bisogno.

Cose intelligenti – ma Keynes non si fermò lì. Egli andò avanti, mettendo in evidenza come l’attività vera e propria della estrazione dell’oro era molto simile al suo esperimento di pensiero.  I minatori di oro, dopo tutto, andavano con grande fatica ad estrarre contante dalla terra, anche se una illimitata quantità di contante poteva essere creata fondamentalmente senza costi stampando banconote. E appena l’oro era estratto, una gran parte di esso veniva nuovamente seppellito, in luoghi come il caveau aureo della Federal Reserve a New York, dove giacevano centinaia di migliaia di lingotti d’oro, senza fare niente di particolare.

Penso che Keynes sarebbe stato sardonicamente divertito dall’apprendere quanto poco  sia mutato nelle tre ultime generazioni. La spesa pubblica per combattere la disoccupazione è ancora un anatema; i minatori stanno ancora distruggendo i paesaggi per aumentare le inattive provviste d’oro (Keynes definiva il gold standard come un “relitto barbarico”).  Il Bitcoin è solo un modo per accrescere la burla. L’oro, dopo tutto, ha almeno alcuni utilizzi reali, fosse soltanto per riempire le cavità; ma adesso noi stiamo bruciando risorse per creare “oro virtuale” che non è altro se non una sequenza di numeri.

Suppongo, tuttavia, che Adam Smith sarebbe rimasto costernato.

Smith è spesso considerato come un santo patrono dei conservatori, ed in effetti fu lui ad avanzare la tesi originaria dei liberi mercati. E’ ricordato meno di frequente, tuttavia, che egli prese una forte posizione per la regolamentazione delle banche – e che offrì un classico encomio alle virtù della moneta cartacea. Il denaro, comprese, era un modo per facilitare il commercio, non una fonte di prosperità delle nazioni –  ed il denaro cartaceo, sosteneva, consentiva al commercio di procedere senza tenere troppo impegnata la ricchezza di una nazione in “depositi morti” di oro e d’argento.

Perché dunque stiamo distruggendo gli altipiani di Papua, nella Nuova Guinea, per accrescere i nostri depositi morti di oro e, in modo ancora più bizzarro, alimentiamo potenti computers 24/7 [1] per accrescere i magazzini morti di numeri?

Parlate con i fanatici dell’oro [2] e vi diranno che le monete cartacee vengono dai governi, dei quali non ci si può fidare quanto al proposito di non svalutare le loro monete. La cosa curiosa, tuttavia, è che è alquanto difficile imbattersi nella svalutazione, nel senso in cui ne parlano i suoi sostenitori. Non si tratta solo del fatto che dopo anni di tremendi ammonimenti sull’inflazione senza controllo, l’inflazione nei paesi avanzati è chiaramente troppo bassa, invece che troppo alta. Anche se considerate una prospettiva globale, gli episodi di inflazione realmente elevata sono diventati rari. Eppure, il battage pubblicitario sull’iperinflazione rispunta eternamente.

Il Bitcoin sembra derivare la propria attrattiva più o meno dalle stesse fonti, con l’aggiunta della sensazione che si tratti di alta tecnologia e di algoritmi, e di conseguenza che debba essere l’onda lunga del futuro.

Ma non fatevi prendere in giro dai decorativi segni esteriori: quello che sta realmente accadendo è una marcia risoluta verso i giorni nei quali il denaro era roba che poteva tintinnare nel vostro borsellino. Nei tropici come nella tundra, per qualche ragione stiamo scavando la nostra ridiscesa nel 17° secolo.


 

 


[1] Nel linguaggio informatico il “24/7” è semplicemente l’attributo di qualcosa che funziona 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana.

[2] “Gold bug” significa letteralmente “scarabeo d’oro” ed è sia un modo per indicare coloro che speculano sugli acquisti e le vendite di oro, che coloro che sono patiti del ‘gold standard’ e più in generale della presunta funzione insostituibile dell’oro, unica supposta garanzia dai rischi di svalutazione delle valute nazionali. Ma il riferimento allo scarabeo non è casuale; “The Gold-Bug” era infatti il titolo di un racconto di Edgar Allan Poe che venne pubblicato per la prima volta su Dollar Newspaper di Filadelfia. Nel racconto uno scarabeo del colore dell’oro trovato e riprodotto casualmente su una pergamena era stata l’occasione per scoprire, su tale pergamena, la mappa del famoso tesoro di Captain Kidd. L’uso di “scarabei d’oro” come spille per cravatte e cose del genere, a significare il convincimento economico sul ruolo insostituibile dell’oro, venne praticato nel 1896 dai sostenitori del candidato alla Presidenza degli Stati Uniti William McKinley, che conduceva appunto una battaglia contro la ‘minaccia’ della moneta di argento.

 

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