Blog di Krugman

La Neo-Paleo-Contro-Contro-Controrivoluzione (per esperti) (14 dicembre 2013)

 

December 14, 2013, 11:19 am

The Neo-paleo-Keynesian Counter-counter-counterrevolution (Wonkish)

OK, I can’t resist this one — and I think it’s actually important.

Brad DeLong reacts to Binyamin Appelbaum’s piece on Young Stan Fischer by quoting from his own 2000 piece on New Keynesian ideas in macroeconomics, a piece in which he argued that New Keynesian thought was, in important respects, a descendant of old-fashioned monetarism. There’s a lot to that view.

But I’m surprised that Brad stopped there, for two reasons. One is that it’s worth remembering that Fischer staked out that position at a time when freshwater macro was turning sharply to the right, abandoning all that was pragmatic in Milton Friedman’s ideas. The other is that the world of macroeconomics now looks quite different from the world in 2000.

Specifically, when Brad lists five key propositions of New Keynesian macro and declares that prominent Keynesians in the 60s and early 70s by and large didn’t agree with these propositions, he should now note that prominent Keynesians — by which I mean people like Oliver Blanchard, Larry Summers, and Janet Yellen — in late 2013 don’t agree with these propositions either. In important ways our understanding of macro has altered in ways that amount to a counter-counter-counterrevolution (I think I have the right number of counters), giving new legitimacy to what we might call Paleo-Keynesian concerns.

Or to put it another way, James Tobin is looking pretty good right now. (Incidentally, this was the point made by Bloomberg almost five years ago, inducing John Cochrane to demonstrate his ignorance of what had been going on macroeconomics outside his circle.)

Consider Brad’s five points:

1. Price stickiness causes business cycle fluctuations: You clearly need price stickiness to make sense of the data. However, there is now widespread acceptance of the point that making prices more flexible can actually worsen a slump, a favorite point of Tobin’s.

2. Monetary policy > fiscal policy: Not when you face the zero lower bound — and that’s no longer an abstract or remote consideration, it’s the world we’ve been living in for five years. And Tobin, who defended the relevance of fiscal policy, is vindicated.

3. Business cycles are fluctuations around a trend, not declines below some level of potential output: This view comes out of the natural rate hypothesis, and the notion of a vertical long-run Phillips curve. At this point, however, there is wide acceptance of the idea that for a variety of reasons, but especially downward nominal wage rigidity, the Phillips curve is not vertical at low inflation. Again, a very Tobinesque notion, as Daly and Hobijn explain.

4. Policy rules: Not so easy when once in a while you face Great Depression-sized shocks.

5. “Low multipliers associated with fiscal policy”: Ahem. Not when you’re in a liquidity trap.

I do think this is important. Among economists who are actually looking at recent events, not doing a see-no-Keynes, hear-no-Keynes, speak-no-Keynes act, there has been a strong revival of some old ideas in macroeconomics. It’s not just new classical macroeconomics that’s in retreat; we’re also seeing, within the Keynesian camp, a distinct if polite rise of neopaleo-Keynesianism.

 

La Neo-Paleo-Contro-Contro-Controrivoluzione (per esperti)

 

Va bene, questa volta non posso resistere – e penso che in verità sia importante.

Brad DeLong reagisce all’articolo di Binyamin Appelbaum sul giovane Stan Fischer citando il suo articolo del 2000 sulle idee neokeynesiane in macroeconomia, nel quale aveva sostenuto che il pensiero neo keynesiano era, sotto importanti aspetti, un discendente del monetarismo un tempo di moda. C’è molta verità in questo punto di vista.

Ma sono sorpreso del fatto che Brad si fermi a quel punto, per due ragioni. Una è che merita ricordare che Fischer tenne quella posizione in un’epoca nella quale la macroeconomia dell’ “acqua dolce” [1] si stava spostando bruscamente a destra, abbandonando tutto quello che era pragmatico nelle idee di Milton Friedman. L’altra è che oggi il mondo della macroeconomia appare notevolmente diverso da quello del 2000.

In modo particolare, quando Brad elenca cinque concetti chiave della macroeconomia neokeynesiana e dichiara che negli anni ’60 e nei primi anni ’70 importanti keynesiani in generale non concordavano con quelle proposizioni, dovrebbe notare che importanti keynesiani – per i quali intendo persone come Oliver Blanchard, Larry Summers e Janet Yellen – non concordano con quei concetti neanche sulla fine del 2013. Per aspetti importanti la nostra comprensione della macroeconomia si è modificata in modi che corrispondono ad una “contro-contro-controrivoluzione” (penso di aver usato il giusto numero di “contro”), dando nuova legittimazione a quelle che potremmo definire le preoccupazioni paleo-keynesiane.

O per dirla in altro modo, James Tobin [2] ha un discreta considerazione in questo momento (tra parentesi, questo era l’argomento che Bloomberg [3] avanzò quasi cinque anni orsono, costringendo John Cochrane a dar prova della sua ignoranza su tutto ciò che era andato avanti nella macroeconomia fuori dalla sua cerchia).

Si considerino i cinque punti di Brad:

 

1 La rigidità dei prezzi provoca le fluttuazioni del ciclo economico: chiaramente c’è bisogno della rigidità dei prezzi perché i dati abbiano senso. Tuttavia c’è oggi una accettazione generale dell’argomento secondo il quale rendere i prezzi più flessibili può effettivamente peggiorare una depressione, punto di vista favorito di Tobin.

2 La politica monetaria contro la politica della finanza pubblica: ma non quando si è di fronte al limite inferiore dello zero [4] – e quella non è più una considerazione remota o astratta, è il mondo nel quale viviamo da cinque anni. E Tobin, che aveva difeso la rilevanza della politica della spesa pubblica, è risarcito.

3 I cicli economici sono fluttuazioni attorno ad una tendenza, non cadute al di sotto di un qualche livello della produzione potenziale: questo punto di vista deriva dalla ipotesi del tasso naturale, e dal concetto della curva verticale di lungo periodo di Phillips. A questo punto, tuttavia, c’è una accettazione generale della idea che, per una varietà di ragioni, ma specialmente per una rigidità dei salari verso il basso, la curva di Phillips non è verticale in condizioni di bassa inflazione. Ancora un concetto molto ‘tobiniano’, come spiegano Daly e Hobijn.

4 Le regole della politica: non sono così semplici quando d’un tratto ci si trova dinanzi a sconvolgimenti delle dimensioni della Grande Depressione.

5 “I bassi moltiplicatori connessi con la politica della finanza pubblica”. Ebbene, non quando si è in una trappola di liquidità.

 

Penso che tutto questo sia davvero importante. Tra gli economisti che effettivamente si rivolgono agli eventi recenti, che non professano la posizione del “non vedere-non ascoltare e non-parlare di Keynes”, c’è stata una forte ripresa di alcune vecchie idee della macroeconomia. Non c’è solo un battere in ritirata della macroeconomia neoclassica; stiamo anche assistendo, all’interno del campo keynesiano, ad una distinta anche se garbata ascesa di un neopaleo-keynesismo.



[1] Per “freshwater” e “saltwater” macroeconomia vedi alle note sulla traduzione.

[2] James Tobin (Champaign, 5 marzo 1918New Haven, 11 marzo 2002) è stato un economista statunitense, vincitore del Premio Nobel per l’economia nel 1981. Laureato presso l’Università dell’Illinois a Urbana-Champaign e alla Harvard University, ove iniziò la sua attività di docente,[1] fu consulente della Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti e consigliere economico del presidente John F. Kennedy.[1] Insegnò per anni, a partire dal 1955, alla Yale University. Nel 1981 gli fu conferito il Premio Nobel per l’economia per “la sua analisi dei mercati finanziari e le loro relazioni con le decisioni di spesa, con l’occupazione, con la produzione e con i prezzi”

Tobin è noto per la sua proposta di tassazione sulle transazioni internazionali (la “Tobin tax“, diventata il cavallo di battaglia dell’organizzazione Altermondialista Attac) e per la teoria chiamata “q di Tobin“. Tale teoria afferma che il valore di mercato del pacchetto azionario di un’impresa è in grado di misurare la differenza tra il capitale desiderato dall’impresa e il capitale effettivamente posseduto da questa. (Wikipedia)

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[3] Il riferimento è ad un articolo sul blog Bloomberg del 27 febbraio 2009, nel quale si dava conto della ‘ispirazione tobiniana’ della politica dello stimulus del Presidente Obama.

[4] Limite nei tassi di interesse, vedi le note sulla traduzione.

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