Letture e Pensieri sparsi, di Marco Marcucci

Altri approcci più radicali: il libro di Luciano Gallino.

zz 20Se volessimo dar conto di un punto di vista abbastanza estraneo agli ‘scrupoli’ dell’economista americano, e semmai interessato ad esprimere con il massimo vigore possibile il radicalismo di un punto di vista progressista, si potrebbe citare Luciano Gallino nel suo “Il colpo di Stato di banche e Governi” (2013). Nel bel secondo capitolo del suo libro, Gallino non ha alcun dubbio nell’indicare le disuguaglianze come causa della crisi. Il periodo neoliberista è stato, in ultima istanza, un’epoca nella quale i più ricchi hanno moltiplicato, nel processi di finanziarizzazione, la propria disponibilità di capitali liquidi in cerca di investimenti redditizi, mentre i più poveri, gli “individui a scarso valore netto”, dovevano indebitarsi per avere una casa, una automobile e gli studi dei figli. Come scrive Gallino: “Il sistema finanziario elaborò gli strumenti idonei per far affluire in massa il denaro dei ricchi  al conto corrente dei poveri ….” In questa ricostruzione tutto si tiene: i profitti dell’1 per cento degli straricchi, i debiti della classe media, profitti e debiti che diventano i veicoli sociali dell’avventurismo del sistema finanziario come risposta alla stagnazione del capitalismo. E, si potrebbe aggiungere, un ultimo passaggio: quell’avventurismo che crea la crisi, al tempo stesso, in Europa, deve provocare un vero e proprio ‘colpo di Stato’ per costringere gli Stati nazionali ad obbedire alle regole di un politica economica di austerità che scarica tutti gli effetti della crisi sui meno abbienti.

Se dovessi dire cosa mi lascia perplesso in questa descrizione, direi che è proprio il radicalismo del linguaggio, dietro il quale mi pare ci sia qualcosa d’altro. Proprio il capitolo VII (“Colpo di Stato in Europa”) è indicativo del problema. Gallino stesso si chiede se sia appropriato utilizzare quel termine forte di ‘colpo di Stato’ per descrivere la situazione dell’Europa, e lo giustifica con un minuzioso ragionamento semantico (pag. 188 e seguenti);  in sostanza ritiene che sia  un modo utile per esprimere la radicalità oggettiva e letterale del problema. Di fatto, in Europa, la crisi è stata usata per uno stravolgimento delle Costituzioni a favore di una austerità imposta dal nuovo potere non costituzionale della Commissione. Le forze che avevano voluto la finanziarizzazione selvaggia, si sono prima assicurate i ‘salvataggi’ ed hanno poi imposto uno  spostamento radicale dei poteri fuori dagli Stati Sovrani.

Può darsi. Ma cosa è stato caratteristico di questo ‘colpo di Stato’, cosa è stato cruciale negli avvenimenti che lo hanno contrassegnato? Direi, la difficoltà ad opporre un diverso contesto di scelte, una diversa direzione possibile, una diversa egemonia. Perché di norma i colpi di Stato provocano resistenze più o meno grandi,  e comunqueshocks politici e sociali grandi a prescindere dalla efficacia delle resistenze. Mentre in questo caso è come se la ‘controrivoluzione’ si fosse potuta giovare di un crollo generale delle difese immunitarie. E siccome da ogni colpo di Stato alla fine si esce costruendo nuovi assetti e direi mai semplicemente tornando a quelli precedenti; quanto meno è stata possibile una resistenza, tanto più è necessario considerare cruciale il tema della debolezza delle idee e delle forze di progresso. Prima di uno spostamento radicale dei poteri dagli Stati alla Commissione Europea ed alle varie ‘troike’, era successo molto altro. Le forze di progresso non avevano visto la fragilità dell’impianto istituzionale dell’Europa, la critica macroeconomica a quell’impianto l’avevano lasciata ad altri e non si erano neppure granché curati di quelle diagnosi, all’interno dei vari paesi i benefici di un’Europa che nella espansione pareggiava i tassi di interesse ai livelli dei paesi più forti aveva fatto la fortuna un po’ di tutti, era stata anche un modo per fingere di ignorare la violenza dei processi di finanziarizzazione,  nessuno si era preoccupato delle bolle immobiliari e delle crescenti ineguaglianze almeno sinché disoccupazione e povertà non hanno bussato alle porte.

Vorrei avanzare un esempio degli effetti che possono derivare, sul piano della politica quotidiana, dal distrarre l’attenzione dalla debolezza e più in generale dalla responsabilità dei progressisti. Nella seconda parte del libro Gallino si occupa dei temi di fondo di una politica alternativa: creare occupazione mentre il lavoro scompare, riportare la finanza al servizio della economia reale, etc. Pagine stimolanti, indicative del vero e proprio mutamento di contesto generale che a lui pare indispensabile. Ma non è semplice dedurne una piattaforma concretamente attuale per una battaglia politica in Europa. Le condizioni di quella battaglia politica è chiaro che non possono prescindere da una sorta di preliminare ‘analisi logica’ del campo sul quale ci si misura. Le scelte alle quali Gallino fa riferimento, chiedono alcune condizioni preliminari. Ad esempio, è probabile che tra le prime condizioni preliminari vi sia: eliminare l’assurdità dell’obbiettivo, per i prossimi anni, di una riduzione del debito pari ad un ventesimo all’anno dell’eccesso di debito sul PIL oltre il livello del 60%; eliminare la mera prescrizione per tutti di un tetto del deficit al 3% annuo; contrattare nuove condizioni alle quali pur sottoporre una riduzione delle sovranità di bilancio; risolvere il tema della mutualizzazione del debito (si veda più in generale l’articolo di Stiglitz qua tradotto del 4 dicembre). Direi che sono tutte premesse indispensabili, oltre le quali ha un po’ di ragionevolezza collocare le priorità suggerite da Gallino.

E’ anche troppo facile notare che al momento attuale quelle condizioni preliminari appaiono dirompenti; il che, del resto, non significa che non siano necessarie. Ora, quello che qua interessa non è tanto l’acutezza dello scontro politico tra conservatori e progressisti che sarà necessaria. Il tema che viene prima ancora è quanto siano pronte a comprendere quei temi le forze politiche progressiste, a cominciare dall’Italia (per inciso, se si ritenesse che tali forze politiche oggi in Italia non esistano, o che si riducano a qualche improbabile ‘populismo’ di sinistra, il problema ‘logico’ sarebbe evidentemente più arduo ancora; si tratterebbe in quel caso di capire quale altro scenario vi sia se non quello anzitutto di uscire dal contesto europeo … E in quel caso la cosa più urgente da stabilire sarebbe cosa fare per sopravvivere). Ebbene, stiamo forse assistendo ad un qualche dibattito su come realizzare quelle condizioni preliminari? Non sembra. E non sta accadendo perché il gap di intelligenza politica che ereditiamo dalla sconfitta dei recenti passati, è semplicemente ancora un macigno che lo impedisce.

Ecco i punti di contatto e le diversità che vedo tra la metodica riflessione di Krugman ed un approccio radicale. Entrambi rispondono ad un problema simile: come far superare ad una politica di progresso il ritardo che viene da una sconfitta storica, precipitata in un crisi economica che, tra l’altro, ha materializzato decenni di ritardi intellettuali. Il punto è quale sia la strada migliore per recuperare quella parte di forza che dipende dalla intelligenza della realtà.

I capitoli di una possibile ‘agenda’ di rinnovamento che Gallino elenca nella seconda parte del libro sono un po’ come se uno psichiatra indicasse possibili salutari comportamenti futuri, senza leggere la reale malattia di un paziente che non ha mai capito la natura del suo problema. La prima medicina dovrebbe essere capirsi, e non è detto che lo si faccia usando espressioni forti nel deprecare i danni. Il che non toglie che il libro sia interessante, e che sia esemplare il modo in cui Gallino si sforza di aiutare il lettore alla comprensione di temi complicati.

 

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