Blog di Krugman

Il mito del ricco meritevole (18 gennaio 2014, blog di Krugman)

 

Jan 18, 12:11 pm

The Myth of the Deserving Rich

Many influential people have a hard time thinking straight about inequality. Partly, of course, this is because of Upton Sinclair’s dictum: it’s hard for a man to understand something when his salary depends on his not understanding it. Part of it is because even acknowledging that inequality is a real problem implicitly opens the door to taking progressive policies seriously.

But there’s also a factor that, while not entirely independent of the other two, is somewhat distinct; I think of it as the urge to sociologize.

I’ve written about that urge in the context of poverty: many pundits and politicians clearly want to believe that poverty is all about dysfunctional families and all that, a view that’s at least 30 years out of date, overtaken by the raw fact of stagnant or declining wages for the bottom third of workers.

There is also a counterpart on the upside of the income distribution: an obvious desire to believe that rising incomes at the top are kind of the obverse of the alleged social problems at the bottom. According to this view, the affluent are affluent because they have done the right things: they’ve gotten college educations, they’ve gotten and stayed married, avoiding illegitimate births, they have a good work ethic, etc.. And implied in all this is that wealth is the reward for virtue, which makes it hard to argue for redistribution.

The trouble with this picture is that it might work for people with incomes of $200,000 or $300,000 a year; it doesn’t work for the one percent, or the 0.1 percent. Yet the bulk of the rise in top income shares is in fact at the very top. Here’s the CBO:

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What’s a sociologizer to do? Well, what you see, over and over, is that they find ways to avoid talking about the one percent. They talk about the top quintile, or at most the top 5 percent; this lets them discuss rising incomes at the top as if we were talking about two married lawyers or doctors, not the CEOs and private equity managers who are actually driving the numbers. And this in turn lets them keep the focus on comfortable topics like family structure, and away from uncomfortable topics like runaway finance and the corruption of our politics by great wealth.

This is, by the way, why the Occupy slogan about the one percent is so brilliant. I would actually argue that the number should be even smaller. But one percent is an easy to remember number, and small enough to make it clear that we’re not talking about the upper middle class.

And that’s good. The myth of the deserving rich is, in its own way, as destructive as the myth of the undeserving poor.

 

Il mito del ricco meritevole

 

Molte persone influenti hanno qualche problema a ragionare di ineguaglianza correttamente. In parte, evidentemente, lo si spiega con la massima di Upton Sinclair: è difficile per chiunque capire una cosa quando il suo stipendio dipende dal non capirla. In parte perché anche l’ammettere che l’ineguaglianza sia un problema reale, è implicitamente uno spiraglio a prendere sul serio le proposte politiche progressiste.

Ma c’è anche un fattore che, se non è interamente indipendente dagli altri due, è in qualche nodo distinto; lo definirei il bisogno di sociologizzare.

Ho scritto a proposito di quel bisogno nel contesto del tema della povertà: molti commentatori ed uomini politici evidentemente vogliono credere che la povertà riguardi contesti familiari marginali e tutto quanto ne consegue, un punto di vista che è vecchio almeno di trent’anni, superato dal fatto nudo e crudo dei salari stagnanti o in calo per un terzo dei lavoratori che sono in fondo alla scala sociale.

C’è anche una simmetria sul lato alto della distribuzione del reddito: il desiderio evidente di credere che i redditi in crescita dei più ricchi siano in qualche modo l’altra faccia della medaglia di pretesi problemi sociali dei più poveri. Secondo questo punto di vista, i benestanti sono benestanti perché fanno le cose giuste; hanno avuto istruzione universitaria, si sono sposati e hanno mantenuto la loro famiglia, hanno evitato figli illegittimi, hanno un’etica del lavoro corretta, etc. E in tutto questo è implicito che la ricchezza sia un premio per la virtù, il che rende difficile avanzare argomenti per la redistribuzione del reddito.

Il guaio in questo quadro è che esso potrebbe avere un senso con persone da 200.000 o 300.000 dollari all’anno; non funziona per l’1 per cento, o per lo 0,1 per cento. Tuttavia  il grosso della crescita del reddito dei più ricchi di fatto è ai livelli più alti. Ecco cosa ci dice il Congressional Budget Office [1]:

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Cosa debbono fare coloro che la buttano in sociologia? Ebbene, come potete vedere essi cercano in continuazione i modi per evitar di parlare dell’1 per cento. Parlano dell’ultimo quintile, o tutt’al più del 5 per cento dei più ricchi [2]; questo consente loro di riferirsi ai più ricchi come se stessero parlando di due avvocati o di due dottori sposati, non degli amministratori delegati o dei manager di società finanziarie che rilevano le imprese, che sono in effetti coloro che determinano i dati. E questo a sua volta consente loro di mantenere il dibattito su temi rassicuranti come la struttura della famiglia, e di escludere temi meno comodi come il sistema finanziario fuori controllo e la corruzione della nostra politica da parte del grande capitale.

Questa è, per inciso, la ragione per la quale lo slogan di Occupy sull’uno per cento è così geniale. In effetti, direi che il numero dovrebbe essere persino più piccolo. Ma l’1 per cento è un numero facile da ricordare, ed abbastanza piccino da rendere chiaro che non stiamo parlando della parte superiore della classe media.

Ed è giusto così. Il mito del ricco meritevole è, a modo suo, altrettanto devastante del mito della inadeguatezza dei  poveri.



[1] La tabella mostra, in relazione al periodo dal 1979 al 2007, nelle prime quattro posizioni i quintili “bottom”, cioè l’80 per cento dei redditi più bassi. Le ultime due posizioni sono invece, rispettivamente, relative ai diciannove percentili che individuano la parte più agiata della popolazione (dalla 81° alla 99° posizione) ed all’1 per cento dei ricchissimi.

[2] Un quintile è la quinta parte del totale della scala sociale, e dunque l’ultimo quintile dei redditi corrisponde al 20% più agiato della popolazione. Che è evidentemente un raggruppamento ancora più generico dell’ultimo cinque per cento più ricco della popolazione.

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