Blog di Krugman

Istanbul al ribasso (30 gennaio 2014)

 

Jan 30, 9:55 am 30

Istanbearish

There cannot be a crisis next week. My schedule is already full.

– Henry Kissinger

OK, did we need this? Turkey? Who was paying attention to Turkey?

Some people were, of course, because that was their job. The IMF released the results of its latest Article IV consultation — regular reports that are supposed to provide a sort of early warning system — just over a month ago. It mentioned some worries. For example:

The most concerning aspect is the widening short FX position of the non-financial corporates. This has jumped from US$78 billion in 2008 to US$165 billion now.

But it went on to suggest that the risks weren’t large, among other things because “the floating exchange regime reduces the probability of a very large and abrupt adjustment in the exchange rate.”

Ahem:

zzzz 5

 

 

 

 

 

 

 

Turkish exchange rate against euro

Qualitatively, this looks like a classic emerging-markets crisis: foreign funds came flooding in, there was a sharp rise in private-sector foreign-currency-denominated debt, and then foreign money turned on its heel and fled. Quantitatively, it shouldn’t be that bad: Turkish external debt is only 40 percent of GDP (or was before the lira plunged), and supposedly Turkish businesses aren’t that leveraged. On the other hand, there’s a political crisis as well as a currency crisis.

Oh, and contagion among emerging markets.Lovely.

All this is happening with recovery in the West still very weak and growing deflation risk. Ambrose Evans-Pritchard goes more purple prose on this than I’m willing to — these economies are either fairly small (Turkey, South Africa) or not that heavily indebted (India). But definitely not what we needed right now.

And not really an accident either. If you take secular stagnation seriously, as you should, then we have a chronic problem of too much saving chasing too few good investment opportunities, which means that you only feel prosperous when money thinks it has found more good places to go than it really has — and soon enough figures that out, with nasty effects.

Lots more on this, probably, as I get up to speed on the Bosphorus.

 

Istanbul al ribasso [1]

 

“Non ci può essere una crisi la prossima settimana. Il mio calendario è già pieno.” – Henry Kissinger

 

Va bene, ci voleva anche questa? La Turchia? Chi stava attento alla Turchia?

Alcune persone lo facevano, naturalmente, perché era il loro lavoro. Il FMI aveva pubblicato  risultati della sua ultima consultazione ex Articolo IV – relazioni regolari che si pensava fornissero una sorta di sistema di messa in guardia precoce – soltanto il mese scorso. Faceva riferimento a qualche preoccupazione. Ad esempio:

“L’aspetto più preoccupante è la posizione a breve che si allarga nello scambio con l’estero delle imprese non finanziarie [2]. Questa ha fatto un salto dai 78 miliardi di dollari statunitensi del 2008 ai 165 miliardi di adesso.”

Ma esso proseguiva suggerendo che i rischi non erano rilevanti, tra le altre cose perché “il regime dei cambi fluttuanti riduce la probabilità di una correzione molto ampia ed improvvisa nel tasso di cambio.”

Ehm:

zzzz 5

 

 

 

 

 

 

 

Tasso di cambio turco nei confronti dell’euro

 

Qualitativamente, questa sembra una classica crisi da mercati emergenti: i finanziamenti stranieri sono arrivati in massa, c’è stata una brusca ascesa del debito del settore privato espresso in valuta straniera, dopodiché la moneta straniera ha girato i tacchi e si è dileguata.

Quantitativamente, non dovrebbe essere così negativo: il debito estero turco è soltanto il 40 per cento del PIL (o lo era, prima che la lira crollasse), e le imprese turche non si pensava avessero rapporti di indebitamento così negativi. D’altra parte, come c’è una crisi valutaria c’è anche una crisi politica.

Inoltre, si segnala il contagio tra i mercati emergenti. Splendido.

Tutto questo sta accadendo mentre la ripresa in Occidente è ancora molto debole e il rischio di deflazione è crescente. Ambrose Evans-Pritchard prosegue su questo aspetto con una prosa molto più elaborata di quanto io non abbia voglia – queste economie (Turchia e Sudafrica) sono tutte e due abbastanza piccole oppure non sono così pesantemente indebitate (India). Ma certamente non era quello di cui avevamo bisogno in questo momento.

E non sono affatto entrambe un caso. Se prendete sul serio, come dovreste, la stagnazione secolare, si ha il problema cronico di risparmi troppo grandi a caccia di troppo poche opportunità positive di investimento, il che significa che ci si sente prosperi soltanto quando il denaro suppone di aver trovato un numero maggiore di posti nei quali andare di quanti effettivamente ve ne sia – e lo comprende abbastanza rapidamente, con effetti malefici.

Tornerò molto più diffusamente su questo argomento, appena mi decido a correre sul Bosforo.



[1] “Bearish” significa un ‘movimento al ribasso’ sul mercato dei cambi. Il gioco di parole con Istanbul è evidentemente impossibile mantenerlo.

[2] La “net exchange position” di un’impresa indica in quale misura i suoi futuri flussi in entrata di valuta eccedano o siano inferiori ai suoi futuri flussi in uscita. (Business Dictionary)

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