Articoli sul NYT

La paranoia dei plutocrati, di Paul Krugman (New York Times 26 gennaio 2014)

 

Paranoia of the Plutocrats

JAN. 26, 2014 Paul Krugman

Rising inequality has obvious economic costs: stagnant wages despite rising productivity, rising debt that makes us more vulnerable to financial crisis. It also has big social and human costs. There is, for example, strong evidence that high inequality leads to worse health and higher mortality.

But there’s more. Extreme inequality, it turns out, creates a class of people who are alarmingly detached from reality — and simultaneously gives these people great power.

The example many are buzzing about right now is the billionaire investor Tom Perkins, a founding member of the venture capital firm Kleiner Perkins Caufield & Byers. In a letter to the editor of The Wall Street Journal, Mr. Perkins lamented public criticism of the “one percent” — and compared such criticism to Nazi attacks on the Jews, suggesting that we are on the road to another Kristallnacht.

You may say that this is just one crazy guy and wonder why The Journal would publish such a thing. But Mr. Perkins isn’t that much of an outlier. He isn’t even the first finance titan to compare advocates of progressive taxation to Nazis. Back in 2010 Stephen Schwarzman, the chairman and chief executive of the Blackstone Group, declared that proposals to eliminate tax loopholes for hedge fund and private-equity managers were “like when Hitler invaded Poland in 1939.”

And there are a number of other plutocrats who manage to keep Hitler out of their remarks but who nonetheless hold, and loudly express, political and economic views that combine paranoia and megalomania in equal measure.

I know that sounds strong. But look at all the speeches and opinion pieces by Wall Streeters accusing President Obama — who has never done anything more than say the obvious, that some bankers behaved badly — of demonizing and persecuting the rich. And look at how many of those making these accusations also made the ludicrously self-centered claim that their hurt feelings (as opposed to things like household debt and premature fiscal austerity) were the main thing holding the economy back.

Now, just to be clear, the very rich, and those on Wall Street in particular, are in fact doing worse under Mr. Obama than they would have if Mitt Romney had won in 2012. Between the partial rollback of the Bush tax cuts and the tax hike that partly pays for health reform, tax rates on the 1 percent have gone more or less back to pre-Reagan levels. Also, financial reformers have won some surprising victories over the past year, and this is bad news for wheeler-dealers whose wealth comes largely from exploiting weak regulation. So you can make the case that the 1 percent have lost some important policy battles.

 

 

But every group finds itself facing criticism, and ends up on the losing side of policy disputes, somewhere along the way; that’s democracy. The question is what happens next. Normal people take it in stride; even if they’re angry and bitter over political setbacks, they don’t cry persecution, compare their critics to Nazis and insist that the world revolves around their hurt feelings. But the rich are different from you and me.

And yes, that’s partly because they have more money, and the power that goes with it. They can and all too often do surround themselves with courtiers who tell them what they want to hear and never, ever, tell them they’re being foolish. They’re accustomed to being treated with deference, not just by the people they hire but by politicians who want their campaign contributions. And so they are shocked to discover that money can’t buy everything, can’t insulate them from all adversity.

 

I also suspect that today’s Masters of the Universe are insecure about the nature of their success. We’re not talking captains of industry here, men who make stuff. We are, instead, talking about wheeler-dealers, men who push money around and get rich by skimming some off the top as it sloshes by. They may boast that they are job creators, the people who make the economy work, but are they really adding value? Many of us doubt it — and so, I suspect, do some of the wealthy themselves, a form of self-doubt that causes them to lash out even more furiously at their critics.

 

Anyway, we’ve been here before. It’s impossible to read screeds like those of Mr. Perkins or Mr. Schwarzman without thinking of F.D.R.’s famous 1936 Madison Square Garden speech, in which he spoke of the hatred he faced from the forces of “organized money,” and declared, “I welcome their hatred.”

President Obama has not, unfortunately, done nearly as much as F.D.R. to earn the hatred of the undeserving rich. But he has done more than many progressives give him credit for — and like F.D.R., both he and progressives in general should welcome that hatred, because it’s a sign that they’re doing something right.

 

La paranoia dei plutocrati, di Paul Krugman

New York Times 26 gennaio 2014

 

La crescente ineguaglianza ha evidenti costi economici: i salari stagnanti nonostante una produttività che cresce, il debito che sale e che ci rende più vulnerabili alla crisi finanziaria. Ha anche grandi costi sociali e politici. Ci sono, ad esempio, solide prove che l’alta ineguaglianza porti ad una peggiore salute e ad una mortalità più elevata.

Ma c’è di più. L’estrema ineguaglianza, a quanto pare, crea una categoria di individui che sono in modo allarmante staccati dalla realtà – e contemporaneamente dà a questa gente un grande potere.

L’esempio attorno al quale in questo momento in molti sono in fermento è l’investitore miliardario Tom Perkins, un socio fondatore della società di investimento in capitale di rischio [1] Kleiner Perkins Caufield & Byers. In una lettera all’editore di The Wall Street Journal, il signor Perkins si è lamentato della critiche pubbliche all’ “uno per cento” – ed ha paragonato tali critiche agli attacchi dei nazisti contro gli ebrei, suggerendo che saremmo sulla strada di un’altra Notte dei Cristalli [2].

Si può dire che costui sia un personaggio un po’ matto e chiedersi perché The Journal decida di pubblicare cose del genere. Ma il signor Perkins non è così stravagante; non è nemmeno il primo gigante della finanza che paragona i sostenitori di una tassazione progressiva ai nazisti. Nel passato 2010 Stephen Schwarzman, il presidente e direttore esecutivo di Blackstone Group, dichiarò che i propositi di eliminare le scappatoie fiscali per i manager degli hedge fund e delle private equity erano “come quando Hitler invase la Polonia nel 1939.”

E c’è un certo numero di plutocrati che cercano di tenere Hitler fuori dalle loro considerazioni, ma nondimeno hanno punti di vista politici ed economici che combinano in egual misura paranoia e megalomania, e li esprimono con veemenza.

So che può sembrare esagerato. Ma guardate ai discorsi ed agli articoli di opinione dei seguaci di Wall Street che accusano il Presidente Obama – che non ha fatto nient’altro che dire ciò che è ovvio, cioè che alcuni banchieri si sono comportati male – di demonizzare e perseguitare i ricchi. E guardate a come molti di coloro che avanzano queste accuse hanno anche la ridicola ed egocentrica pretesa per la quale i loro sentimenti offesi (invece che cose come i debiti delle famiglie e la austerità prematura [3]) siano il principale fattore che trattiene l’economia.

Ora, solo per chiarezza, a coloro che sono molto ricchi, e a quelli di Wall Street in particolare, sta di fatto andando peggio con Obama rispetto a come sarebbe andata se nel 2012 avesse vinto Mitt Romney. Tra la parziale riduzione degli sgravi fiscali di Bush e l’aumento della tasse che in parte ripaga la riforma sanitaria, le aliquote fiscali dell’1 per cento sono più o meno tornate ai livelli precedenti a Reagan. Inoltre nel corso dell’ultimo anno i riformatori del sistema finanziario hanno ottenuto qualche sorprendente vittoria, e questa è una cattiva notizia per gli intrallazzatori le cui ricchezze provengono in gran parte dallo sfruttamento di una debole regolamentazione. Si può effettivamente sostenere la tesi che l’1 per cento abbia perso qualche importante battaglia politica.

Ma ogni gruppo sociale si ritrova a fronteggiare critiche e ad un certo punto finisce dal lato dei perdenti nelle sfide della politica; è quella la democrazia. La domanda è cosa accade dopo. Le persone normali lo accettano senza problemi; anche se sono arrabbiate ed aspre con le contrarietà della politica, non gridano alla persecuzione, non paragonano i loro critici ai nazisti e non ripetono che tutto il mondo gravita attorno ai loro sentimenti offesi. Ma i ricchi sono diversi da voi e da me.

E certo, questo in parte dipende dal fatto che hanno più soldi, assieme al potere che li accompagna. Essi sono nelle condizioni di circondarsi, ed anche troppo spesso effettivamente lo fanno, di cortigiani che dicono loro quello che vogliono sentirsi dire e mai, assolutamente mai, che stanno diventando degli sciocchi. Sono abituati ad essere trattati con deferenza, non solo dalle persone che mettono sul libro paga, ma dagli uomini politici che vogliono i loro contributi elettorali. E così sono stupefatti se scoprono che il denaro non può comprare ogni cosa, che non li può proteggere da tutte le avversità.

Sospetto anche che di questi tempi i Signori dell’Universo siano perplessi sulla natura del loro successo. In questo caso non parliamo di capitani di industria, di persone che costruiscono cose. Stiamo piuttosto parlando di intrallazzatori, di persone che comandano il denaro a bacchetta e diventano ricchi scremando alcuni dei più ricchi quando subiscono rovesci. Possono darsi arie da creatori di posti di lavoro, gente che fa funzionare l’economia, ma quale valore realmente aggiungono? Molti di noi lo dubitano – ed io ho il sospetto che lo stesso facciano alcuni ricchi, per una sorta di incertezza sul loro ruolo che li spinge a prendersela anche più furiosamente con i loro critici.

In ogni caso, sono cose che abbiamo già visto. E’ impossibile leggere prediche come quelle del signor Perkins o del signor Schwarzman senza pensare al famoso discorso del 1936 di Franklin Delano Roosevelt al Madison Square Garden, nel quale parlava dell’odio che doveva fronteggiare da parte delle forze del “capitale organizzato”, e dichiarava “Do il benvenuto al loro disprezzo.”

Il Presidente Obama, sfortunatamente, non ha fatto niente di simile a quello che fece Roosevelt per guadagnare il disprezzo dei ricchi senza merito. Ma ha fatto di più di quello che molti progressisti gli riconoscono – e come nel caso di Roosevelt, sia lui che i progressisti in generale dovrebbero dare il benvenuto a quel disprezzo, perché è il segno che stanno facendo qualcosa di giusto.  



[1] In pratica il venture capital è una categoria del settore del private equity, che raggruppa tutte le categorie di investimenti in società non quotate su un mercato regolamentato. In questo caso l’oggetto non è necessariamente il rilevare altre società, ma investire in aziende che non potrebbero avere quei finanziamenti dal sistema bancario.

[2] Con Notte dei cristalli (Reichskristallnacht o Kristallnacht, ma anche Reichspogromnacht o Novemberpogrom) viene indicato il pogrom condotto dai nazisti (SS) nella notte tra il 9 e 10 novembre 1938 in Germania, Austria e Cecoslovacchia. Si parlò di 7500 negozi ebraici distrutti durante la notte del 9 novembre, di quasi tutte le sinagoghe incendiate o distrutte (secondo i dati ufficiali erano stati 191 i templi ebraici dati alle fiamme, e altri 76 distrutti da atti vandalici). Il numero delle vittime decedute per assassinio o in conseguenza di maltrattamenti, di atti terroristici o di disperazione ammontava a varie centinaia, senza contare i suicidi. Circa 30 000 ebrei furono deportati nei campi di concentramento di Dachau, Buchenwald e Sachsenhausen. Relativamente al campo di Dachau, nel giro di due settimane vennero internati oltre 13 000 ebrei; quasi tutti furono liberati nei mesi successivi (anche se oltre 700 persero la vita nel campo), ma solo dopo esser stati privati della maggior parte dei loro beni.

zz 97

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[3] Spesso Krugman definisce la attuale austerità “prematura”, implicitamente riferendosi ad un noto giudizio di Keynes secondo il quale le politiche di austerità e di riduzione del debito pubblico avrebbero senso in situazioni di ripresa consolidate.

By


Commenti dei Lettori (0)


E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"