by Simon Wren-Lewis
A long time ago, the debate between monetarists and Keynesians was the debate in macro. But it was a rather limited debate: both sides generally used the same model (IS-LM), and so it was all about parameter values. It was also, dare I say, a little dull. More recently, but before the recession, that debate had largely gone away, but since then it seems to have come back. This post asks why that is.
Before the recession, what I have called the consensus view was this. Under flexible exchange rates, monetary policy was the instrument of choice for demand stabilisation. Textbooks tend to give you a list of reasons why this is, but as I and colleagues argue here, it follows naturally in a New Keynesian model. It is not because fiscal policy cannot stabilise demand, but because (in fairly simple cases) monetary policy is better at doing so. From a welfare point of view, it dominates.
Does that mean, when monetary policy is unconstrained, it is all you ever need in a New Keynesian framework? In theory no. To take just one example, in a model with wage and price stickiness, real wages will deviate from their natural level following shocks, and in principle changes in income taxes or sales taxes could correct this. Even more obviously, these same taxes can in principle offset cost-push shocks. However you might describe this as a niche role for fiscal policy: the basic and fundamentally necessary task of stabilising demand is best handled by changing interest rates.
The qualification that monetary policy is unconstrained is critical, of course. If you are a member of a monetary union, it is a completely different game, and now fiscal policy’s ability to influence demand makes it useful, although perhaps not essential. I have argued that a failure to understand this was a major factor behind the Eurozone crisis.
The other example of a constrained monetary policy is of course the Zero Lower Bound. At the ZLB we have fiscal policy versus unconventional monetary policy. There are good reasons for thinking that unconventional monetary policy will not dominate fiscal policy as a stabilisation tool. Analysis of one particular unconventional policy, forward commitment (which is not the same as forward guidance), shows fiscal policy is not dominated in this case.
So which is better comes down to parameter values and the details of the model used. Given the uncertainties here, the only reasonable approach to take in advising policymakers is to use a combination of both policies. If you are thinking that concerns about debt might rule out using fiscal policy, you are wrong: temporary balanced budget changes in government spending can still be a useful tool.
This eclectic approach seems to me to be the one taken by, say, Paul Krugman or Brad DeLong. What I do not understand is why there are others who take a different view, and want to argue that monetary policy is still all you need. Where does this certainty about the powers of unconventional monetary policy come from? As I have already noted, it does not come from the theory that I know. So maybe it comes from a belief about parameter values, but given how untried this policy is, how can you be so certain as to not want to hedge your bets with fiscal action?
But perhaps it’s not the effectiveness of unconventional monetary policy that is crucial here, but a profound mistrust concerning the effectiveness of fiscal actions. Yet I cannot see the macroeconomics behind that either. In its purest form, all fiscal stimulus involves is bringing forward public spending, just as monetary easing encourages the private sector to bring forward their spending. That is bound to be effective in combating demand deficiency. Is the fact that the spending takes place this year rather than in five years time that costly, particularly if the spending is investment like in character?
So I remain mystified where this desire to downgrade the usefulness of fiscal policy at the ZLB comes from. I suspect I am missing something, and would like to know what that is.
La politica monetaria a confronto con l’intervento di finanza pubblica: uno strano dibattito
di Simon Wren-Lewis
Parecchio tempo fa il dibattito tra monetaristi e keynesiani verteva sulla macro. Ma era un dibattito piuttosto limitato: in generale entrambi gli schieramenti usavano lo stesso modello (IS-LM), e così tutto riguardava i valori del parametro. Era anche, lancio un provocazione, un po’ noioso. Più di recente, ma prima della recessione, quel dibattito era in gran parte scomparso, ma da allora sembra essere tornato in auge. Questo post si chiede perché.
Prima della recessione, quello che abbiamo definito il punto di vista condiviso [1] era il seguente. In condizioni di tassi di cambio flessibili, la politica monetaria era lo strumento per una stabilizzazione della domanda. I libri di testo tendono a fornirvi una lista di ragioni di questa circostanza, ma come io ed i miei colleghi sosteniamo in questo saggio [2], esso è una conseguenza naturale di un modello neo keynesiano. Non dipende dal fatto che la politica della spesa pubblica non possa stabilizzare la domanda, ma dal fatto che (in casi abbastanza semplici) la politica monetaria lo faccia meglio. E’ la soluzione di gran lunga migliore, dal punto di vista dei sussidi pubblici.
Significa questo che, quando la politica monetaria è libera, è tutto quello di cui potete aver bisogno in uno schema neo keynesiano? In teoria no. Per fare un solo esempio, in un modello con la rigidità dei salari e dei prezzi, i salari reali devieranno dal loro naturale livello a seguito degli shocks, ed in linea di principio i mutamenti nelle tasse sui redditi o sulle vendite potrebbero correggere questo aspetto. Tuttavia potreste descrivere tutto questo come un ruolo di nicchia per la politica della finanza pubblica: l’obbiettivo sostanziale e fondamentalmente necessario dello stabilizzare la domanda lo si può gestire nel migliore dei modi cambiando i tassi di interesse.
La qualificazione che la politica monetaria sia libera è, naturalmente, necessaria. Se siete un componente di una unione monetaria, è una partita completamente diversa, e al giorno d’oggi la capacità della politica della finanza pubblica di influenzare la domanda la rende utile, sebbene forse non essenziale. Ho sostenuto che l’incapacità a comprendere questo aspetto è stata un importante fattore della crisi della zona euro.
Ovviamente, l’altro esempio di una politica monetaria non libera è il limite inferiore di zero. Quando siamo nelle condizioni del limite inferiore dello zero nei tassi di interesse, la politica della finanza pubblica si confronta con una politica monetaria non convenzionale. Ci sono buone ragioni per ritenere che la politica monetaria non convenzionale non prevarrà, come strumento di stabilizzazione, sulla politica della finanza pubblica. L’analisi di una particolare politica non convenzionale, un impegno determinato (che non è la stessa cosa di un orientamento ardito), mostra che in questo caso la politica della finanza pubblica non è succube dell’altra.
E’ dunque meglio fare un passo indietro ai valori del parametro ed ai dettagli del modello utilizzato. In quel caso, date le incertezze, l’unico approccio ragionevole da usare nel consigliare gli operatori politici è quello di usare una combinazione di entrambe le politiche. Se state pensando che le preoccupazioni per il debito possano farvi escludere la politica della finanza pubblica, vi sbagliate: anche cambiamenti provvisori agli equilibri di bilancio nella spesa pubblica possono essere uno strumento utile.
A me pare che questo approccio eclettico sia quello scelto, ad esempio, da Paul Krugman o Brad DeLong. Quello che non capisco è perché ci siano altri che scelgono un punto di vista diverso, e intendono sostenere che la politica monetaria sia tutto quello di cui avete bisogno. Da dove deriva questa certezza sui poteri di una politica monetaria non convenzionale? Come ho già osservato, non deriva dalla teoria che conosciamo. Dunque forse deriva da un convincimento sui valori del parametro, ma considerato quanto questa politica sia non sperimentata, come si può esserne talmente certi da non volersi lasciare le mani libere con una azione dal lato della spesa pubblica?
Ma forse in questo caso non è tanto cruciale l’efficacia della politica monetaria non convenzionale, bensì una profonda diffidenza a riguardo delle azioni sul lato della finanza pubblica. Tuttavia, neanche in questo caso riesco a capire la logica macroeconomica. Nella sua forma più pura, tutto ciò che lo stimolo della finanza pubblica concerne è il portare in avanti la spesa pubblica, appunto come la facilitazione monetaria incoraggia il settore privato a portare avanti la sua spesa. E’ sicuro che questo sia efficace nel combattere un deficit di domanda. E’ talmente oneroso che la spesa avvenga in un anno anziché in cinque anni di tempo, in particolare se la spesa pubblica è un investimento, come per sua natura?
Resto dunque confuso sull’origine di questo desiderio di declassare l’utilità della politica della finanza pubblica allorquando interviene una situazione di limite inferiore dello zero nei tassi di interesse. Ho il sospetto di essermi perso qualcosa e mi piacerebbe sapere che cosa.
[1] Si riferisce ad una sua ricerca del 2009, assieme a Tatiana Kirsanova ed a Campbell Leith.
[2] Ancora del 2009, con Campbell Leith e Fabian Eser.
By mm
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