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La “sorpresa dei salari” in arrivo dal Giappone, di Shinzo Abe (Project Syndicate, 6 gennaio 2013)

 

Shinzo Abe

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Shinzo Abe is Prime Minister of Japan.

JAN 6, 2014 9

Japan’s Coming “Wage Surprise”

TOKYO – The year 2013 saw the Japanese economy turn the corner on two decades of stagnation. And the future will become even brighter with the appearance of what we are calling the “wage surprise.”

Intensive discussions since September among Japanese government, business, and labor leaders have been geared toward setting in motion an upward, virtuous cycle whereby increased wages lead to more robust growth. I have taken part in two of the four meetings so far, joining our finance minister, economy minister, and labor minister, as well as industry and labor leaders like Akio Toyoda, the head of Toyota Motors, and Nobuaki Koga, who leads the Japanese Trade Union Confederation. Each time, I have come away from the meeting feeling confident and invigorated.

 

Let’s face it. Deflationary pressure in Japan – and only in Japan – has persisted for well over a decade. At the beginning of my premiership, I launched what observers have called “Abenomics,” because only in my country had the nominal wage level remained in negative territory for a staggering length of time.

I was appalled when I first saw the statistics: Japan’s wage level since 2000 has fallen at an average annual rate of 0.8%, compared to average nominal-wage growth of 3.3% in the United States and the United Kingdom and 2.8% in France. In 1997, wage earners in Japan received a gross total of ¥279 trillion; by 2012, the total had fallen to ¥244.7 trillion.

 

In other words, Japan’s wage earners have lost ¥34.3 trillion over the last decade and a half – an amount larger than the annual GDP of Denmark, Malaysia, or Singapore. Only when this trend is reversed can Japan’s economy resume a long-term upward trajectory.

Meanwhile, Japan’s companies are no longer poorly capitalized. I, for one, remember how low the net-worth ratio for Japanese corporations was 15 years ago – below 20%, compared to more than 30% in Europe and the US. As a result, economists said, Japanese corporate behavior would be characterized by over-borrowing.

 

That is no longer the case. Thanks to the continued surge in corporate profitability and firms’ sustained deleveraging efforts during the last decade and a half, indebtedness has fallen dramatically. In terms of the net-worth ratio, corporate Japan is now on a par with Europe and the US.

 

Abenomics, I am proud to say, has been successful in a more fundamental sense: we have rebooted Japan’s collective psyche. In the year since my government took office, a mindset of resignation has given way to one of limitless possibility – a shift symbolized for many by Tokyo’s winning bid for the 2020 Olympic and Paralympic Games. As a result, many Wall Street investors have bought the narrative and gone long on Japan.

 

That is what Abenomics’ first two “arrows” – bold monetary policy and flexible fiscal policy – have achieved so far. How about the third arrow, a set of policies to promote private investment so that productivity growth sustains Japan’s long-term recovery?

 

Some say that, unlike the first and second arrows, the third is hard to come by. I do not disagree: by definition, structural reforms take more time than changes in monetary and fiscal policy do. Many will require legislation, on which my colleagues in the Diet have been spending much of their time over the last couple of months. During this process, with its seemingly endless and convoluted floor debates, observers should not lose sight of the forest for the trees.

 

From joining the negotiations for the Trans-Pacific Partnership (TPP) to introducing specially deregulated zones (my own office will oversee their implementation), my government is committed to catalyzing economic recovery by all means available. Here, the wage surprise stands out, because only when the long-missing link between corporate profitability and wages is restored will investment in houses, cars, and other durables, and household consumption in general, finally rid Japan of its deflation and put its economy on a sustained growth path.

 

The wage surprise draws its inspiration from the Netherlands, where a consensus emerged in the early 1980’s that in order to sustain employment, the burden of taming rampant inflation should be shared by employers and the employed. That consensus was enshrined in the 1982 “Wassenaar Agreement,” named after The Hague suburb where it was forged.

Japan is now witnessing the emergence of a similar national consensus, or, rather, the Dutch consensus in reverse: a shared sense that the government, major industries, and organized labor should work together to increase wages and bonuses (while facilitating incentives that could enhance productivity).

 

Needless to say, wage levels ought to be determined solely by management and workers. But it is equally true that the emerging consensus among the government, business leaders, and trade unions already has led a growing number of companies to promise significantly higher wages and bonuses.

This is the essence of the wage surprise. It will be an entirely new phenomenon, one that, together with the massive ¥5 trillion fiscal stimulus, will more than offset the potential negative effect of a sales-tax increase. Most important, it will continue to put Japan’s economy on a sustainable growth trajectory. Of this I am certain.

 

 

 

 

 

 

 

 

La “sorpresa dei salari” in arrivo dal Giappone

di Shinzo Abe (Primo Ministro del Giappone)

6 gennaio 2013

 

 

TOKYO – L’anno 2013 ha visto l’economia del Giappone svoltare l’angolo di due decenni di stagnazione. Ed il futuro apparirà ancora più luminoso quando diventerà visibile quella che noi chiamiamo la “sorpresa dei salari”.

Intense discussioni a partire da settembre tra il Governo giapponese, le imprese, i dirigenti del mondo del lavoro hanno ingranato la marcia del mettere in moto un circolo virtuoso verso l’alto per effetto del quale salari più elevati condurranno ad una crescita più robusta. Ho preso sinora parte a due dei quattro incontri, assieme al Ministro delle Finanze, al Ministro dell’Economia, al Ministro del Lavoro, così come a dirigenti delle industrie e del mondo del lavoro quali Akio Tayoda, il Presidente di Toyota Motors, e Nobuaki Koga, che dirige la Confederazione dei Sindacati del Giappone. Ogni volta, sono uscito dagli incontri con una sensazione di fiducia e di rinnovato vigore.

Ecco di cosa si tratta. La pressione deflazionistica in Giappone – e solo in Giappone – è proseguita ben più che per un decennio. All’inizio del mio Governo, lanciai quella che gli osservatori hanno chiamato “Abenomics”, perché solo nel mio paese il livello nominale dei salari era rimasto in territorio negativo per un periodo di tempo sconcertante.

Restai sbalordito quando vidi le statistiche per la prima volta: dall’anno 2000 il livello dei salari era caduto in Giappone dello 0,8% di media annua, a confronto della crescita dei salari nominali del 3,3% negli Stati Uniti e nel Regno Unito e del 2,8% in Francia. Nel 1997 i percettori di salari ricevevano un totale lordo di 279 mila miliardi di yen; con il 2012 il totale era sceso a 244,7 mila miliardi di yen.

In altre parole, i percettori di salario avevano perso nel corso dell’ultimo quindicennio 34,3 mila miliardi di yen – una quantità superiore al PIL annuale della Danimarca, della Malesia o di Singapore. Soltanto quando questa tendenza sarà invertita l’economia del Giappone potrà riprendere una traiettoria in ascesa di lungo termine.

Nel frattempo, le imprese giapponesi non sono più scarsamente capitalizzate. Per mio conto, ricordo quanto fosse basso 15 anni orsono il tasso di patrimonio netto [1] delle imprese giapponesi – al di sotto del 20%, a confronto di un 30% negli Stati Uniti ed in Europa. Di conseguenza, sostenevano gli economisti, il comportamento delle imprese sarebbe stato caratterizzato da un sovra indebitamento.

La situazione non è più questa. Grazie alla continua crescita dei profitti delle società ed agli sforzi sostenuti di una riduzione del rapporto di indebitamento da parte delle imprese durante l’ultimo quindicennio, l’indebitamento è calato in modo spettacolare. In termini di tasso del patrimonio netto, le società giapponesi sono oggi al pari degli Stati Uniti e dell’Europa.

L’ “economia di Abe”, affermo con orgoglio, è stata un successo in un senso più fondamentale: abbiamo riavviato la psicologia collettiva del Giappone. Durante l’anno dell’entrata  in funzione del mio governo, una mentalità rassegnata ha lasciato il posto ad una mentalità di fiducia che non si pone limiti – uno spostamento per molti simbolizzato dalla candidatura vincente di Tokyo per i Giochi Olimpici e Paraolimpici del 2020. Come risultato molti investitori di Wall Street hanno creduto al nostro ragionamento e fatto investimenti a lungo termine sul Giappone.

Questo è quello che le prime due “frecce” [2] della Abenomics – una politica monetaria coraggiosa ed una politica della finanza pubblica flessibile – hanno ottenuto sinora. Che dire della terza freccia, un complesso di politiche per promuovere l’investimento privato in modo tale che la crescita della produttività sostenga la ripresa a lungo termine del Giappone?

Alcuni dicono che, diversamente dalla prima e dalla seconda freccia, la terza non sia facile procurarsela. Lo capisco: per definizione, le riforme strutturali richiedono più tempo che non i cambiamenti nella politica monetaria e della finanza pubblica. Molte riforme avranno bisogno di una legislazione, per la quale i miei colleghi alla Dieta hanno speso gran parte del loro tempo negli ultimi due mesi. Durante questo percorso, con i suoi apparentemente infiniti e complicati dibattiti in aula, gli osservatori non dovrebbero perdere di vista la foresta per i singoli alberi.

Dalla adesione ai negoziati per la Cooperazione del Trans-pacifico (TPP) alla introduzione di aree particolarmente deregolamentate (proprio il mio ufficio supervisiona la loro messa in cantiere), il mio Governo è impegnato a catalizzare in tutti i modi disponibili la ripresa economica. E’ qua che compare la ‘sorpresa dei salari’, perché solo quando la connessione da tempo mancante tra profitti di impresa e salari sarà ripristinata, gli investimenti nelle abitazioni, nelle auto, negli altri beni durevoli, più in generale i consumi delle famiglie, finalmente libereranno il Giappone dalla sua deflazione e porranno la sua economia su un sentiero di crescita sostenuta.

La sorpresa dei salari trae la sua ispirazione dall’Olanda, dove nei primi anni ’80 emerse un consenso per il quale, allo scopo di sostenere l’occupazione, il peso del mettere sotto controllo una dilagante inflazione avrebbe dovuto essere condiviso dai datori di lavoro e dai lavoratori. Quel consenso fu onorato nell’accordo di Wassenaar [3], dal nome del quartiere dopo The Hague [4] dove esso fu stilato.

Il Giappone sta ora assistendo ad un simile consenso nazionale, o piuttosto ad una versione opposta del consenso olandese: una percezione condivisa che il Governo, le industrie importanti ed i lavoratori organizzati dovrebbero lavorare assieme per incrementare i salari e le gratifiche (nel mentre si facilitano gli incentivi per incrementare la produttività).

Non è il caso di dire che i livelli salariali dovrebbero essere determinati esclusivamente dalle aziende e dai lavoratori. Ma è altrettanto vero che l’accordo che si sta delineando tra il Governo, i dirigenti delle imprese ed i sindacati ha già portato un numero crescente di aziende ad impegnarsi per salari e incentivi significativamente più elevati.

Questa, in sostanza, è la ‘sorpresa del salario’. Costituirà un fenomeno assolutamente inedito che, assieme al massiccio stimolo di finanza pubblica per 5 mila miliardi di yen, avrà un effetto superiore a quello derivante dall’aumento delle tasse sul valore aggiunto. Ancora più importante, esso continuerà a collocare l’economia del Giappone su una traiettoria di crescita sostenibile. Di questo sono sicuro.


 

 


[1] Ovvero, il totale degli assets meno il totale delle passività.

[2] Come è noto l’immagine delle “frecce” fa parte del battage pubblicitario che lo stesso Shinzo Abe ha confezionato per illustrare la sua politica economica.

[3] Come ammette nel periodo successivo Abe, l’accordo di Wassenaar del 1982 riguardava una situazione opposta, caratterizzata da una elevata inflazione. I sindacati accettarono riduzioni salariali, in cambio di adozioni di politiche per combattere la disoccupazione, come riduzione degli orari di lavoro ed ampliamento dei lavori part-time. Il Wassenaar Agreement non va confuso con il “Wassenaar Arrangement”, che fu una intesa siglata da molti paesi sul controllo delle esportazioni delle tecnologie militari. I lavori preparatori si svolsero nel 1995/1996 in quella cittadina.

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[4] The Hague (o Den Haag o s’-Gravenhage, in olandese) è la sede del Governo di Olanda e la capitale dell’Olanda del Sud ed ha più di un milione di abitanti, compresi i quartieri periferici.

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