Letture e Pensieri sparsi, di Marco Marcucci

Le ricerche sull’ineguaglianza di Picketty – Saez. 14 Gennaio 2014  

Ho pensato che poteva essere utile sintetizzare i principali risultati delle ricerche sull’ineguaglianza dei redditi – negli Stati Uniti e in altre nazioni avanzate – che sono al centro del dibattito attuale. Per evitare problemi (per me) complicati di editing nel passaggio da un programma all’altro dei vari testi, pubblico i risultati in questa rubrica; in realtà mi limito ad un riassunto, a citazioni ed alla presentazione delle tre tabelle più significative.

I testi ormai classici sono quelli di Thomas Picketty (Paris School of Economics) e di Emmanuel Saez (University of California, Berkeley). Utilizzo in questo caso lo studio presentato al Convegno del FMI a Washington nel novembre del 2012, integrato da una ricerca successiva che include i dati del 2012 a cura di Emmanuel Saez. I due ricercatori sono tra i fondatori del “World Top Incomes Database”, che è il nome del progetto in corso di attuazione relativo alla registrazione delle statistiche sui redditi più elevati e sulle ineguaglianze a livello mondiale: il progetto riguarda almeno 67 nazioni.

  1. La distribuzione del reddito negli Stati Uniti nel 2010.

Come si sa, le analisi sui redditi solitamente dividono la popolazione statistica in decimi di percentile, percentili, quintili o decili (un percentile è un centesimo della scala sociale, un quintile equivale al 20%, un decile al 10%). Esaminiamo quella situazione sulla base dei dati del 2010 (vedremo meglio successivamente gli effetti complessivi del periodo della Grande Recessione ed anche il confronto molto significativo con un periodo precedente al 2010, ad esempio gli anni ‘70).

Il massimo  “top income” è lo 0,1 per cento della popolazione con il reddito più elevato; la soglia di ingresso nel 2010 in quel decimo di percentile era stabilita negli USA in 7.890.307 dollari all’anno. Per questa fascia di ‘straricchi’ si deve però considerare che i redditi medi erano nel 2010 molto più elevati della semplice soglia di ingresso: per lo 0,1 per cento la media era di 23.846.950 dollari. Assai diversa la situazione per i percentili che vanno dal 10%  al 5%  e dal 5% all’1% dei redditi più elevati. Per queste fasce, il reddito di ingresso veniva stabilito a 108.204 dollari per la prima ed a 150.400 dollari per la seconda; le relative medie di reddito erano di 125.627 nel primo caso e di 205.529 nel secondo. Se si riflette su queste prime informazioni, già si comprende per quale ragione i dati dell’1 per cento delle famiglie straricche, o meglio ancora dello 0,1 di esse, sono spesso considerati particolarmente significativi. Il punto è che la quota complessiva di reddito nazionale coperta da queste categorie è la seguente:

 

Percentili (o decimi) Numero delle famiglie Reddito medio Reddito totale
Popolazione totale 156.167.000        51,550 8.050.408.850.000
Il 90 per cento della popolazione con redditi più bassi. 140.550.300        29.840 4.194.020.952.000
Dal 90° al 95° percentile     7.808.350      125.627   980.939.585.450
Dal 95° al 99° percentile     6.246.680      205.529 1.283.873.893.720
Centesimo percentile        156.167   4.906.553   766.241.729.150
Ultimo decimo di percentile (0,1°)          15.617 23.846.950    372.417.818.150

 

Ovvero, se non faccio male i conti, poco più di un centesimo di tutte le famiglie ricche – tanti sono i componenti dell’ultimo decimo di percentile rispetto all’ultimo decile – realizzavano all’incirca il 16 per cento del reddito di tutte quelle ricche. O, per dirla in un altro modo, un millesimo di tutte le famiglie dell’intera popolazione americana realizzava il 4,6 del reddito complessivo del paese e circa il 10 per cento del reddito complessivo della classe media, dei lavoratori più poveri e dei poveri in assoluto, ovvero del 90 per cento “bottom”. E, come si vede più avanti, dopo il 2010 la situazione è in ulteriore forte movimento.

Questi comunque, diciamo così, sono i ‘numeri assoluti’ entro i quali si comprende meglio l’evoluzione delle percentuali della partecipazione al reddito delle varie categorie della popolazione.

Al di là del fatto che essi sono impressionanti in sé, è evidente che si tratta di numeri che, per la loro rilevanza oggettiva,  possono giustificare il risultato finale per il quale, nel corso del tempo: a) il reddito è cresciuto notevolmente per i più ricchi; b) il reddito è invece rimasto molto più stabile per tutti gli altri, e per qualcuno è addirittura sceso; tra a) e b) c’è stata dunque una relazione obbligata, nel senso che la ricchezza aggiuntiva è andata semplicemente per intero a vantaggio dei più ricchi.

2. L’evoluzione dell’ineguaglianza negli anni recenti.

In questi ultimi anni di ripresa ‘incostante’, negli Stati Uniti, “il reddito reale medio è cresciuto modestamente di un 6% per famiglia. La maggior parte degli incrementi si sono determinati nell’ultimo anno, quando i redditi medi sono cresciuti del 4,6% dal 2011 al 2012. Tuttavia gli incrementi sono stati molto dissimili. I redditi dell’1% dei più ricchi sono cresciuti del 31,4%, mentre i redditi del restante 99% sono cresciuti soltanto dello 0,4% dal 2009 al 2012” (Saez). Questi dati hanno confermato ed accentuato sensibilmente l’andamento generale degli ultimi decenni. “La quota nazionale di reddito che è maturata per i gruppi superiori di reddito è cresciuta bruscamente negli ultimi decenni … La quota del decile di reddito superiore è cresciuta dal 35,3% degli anni ’70 al 50,3% negli anni recenti. Questo è derivato in gran parte dai redditi dei più ricchi. La quota del percentile più alto di reddito è più che raddoppiata, da meno del 10,3% negli anni ’70 a più del 20,3% degli anni recenti. Come conseguenza i redditi bassi e medi sono aumentati molto meno di quanto suggerirebbero le statistiche sulla crescita del PIL aggregato” (Picketty e Saez).

In sostanza, dicono i due ricercatori, la Grande Recessione non ha modificato il trend dei decenni passati, semmai lo sta accentuando. C’è stato un biennio di forte contrazione nel decile di reddito più alto, il 2008/2009, ma c’è stata poi una ripresa sensibilissima che ha, nonostante sia stata tardiva e lenta, fortemente accentuato i processi della ineguaglianza, anche perché per i redditi medio bassi un vero e proprio recupero non è avvenuto. E questo fenomeno, aggiungono, “è coerente con l’esperienza dei precedenti andamenti negativi dell’economia: le percentuali di reddito caddero nel 2001-2002, ma ripresero rapidamente e tornarono al trend precedente nel periodo 2003-2007”. Peraltro, lo stesso andamento negativo negli anni dello scoppio della crisi era soprattutto attribuibile, comprensibilmente, alla componente dei profitti di capitale. Se si tolgono dal calcolo questi ultimi, si scopre che nel 2011 la quota del decile più alto di reddito era pari al 46,33%, un livello superiore a quello del 2007.

Inoltre, concludono, merita di essere attentamente considerato che gli ordini di grandezza che riguardano i decenni passati “sono stati davvero enormi. Nei passati trenta anni più del 15% del reddito nazionale statunitense si è spostato dal 90% della parte più bassa della scala dei redditi degli Stati Uniti, al 10% delle fasce più alte. In sostanza, l’1% dei più ricchi ha assorbito quasi il 60% della crescita del reddito aggregato degli Stati Uniti, dal 1976 al 2007”. E, come si è visto, la crisi ha accentuato il fenomeno, se non altro perché i più ricchi non hanno perso niente nella loro velocità di incremento, mentre tutti gli altri hanno ulteriormente decelerato e peggiorato la loro condizione.

E’ molto interessante notare che questo andamento negli Stati Uniti è stato fondamentalmente provocato dai movimenti di reddito della popolazione, diciamo così, straricca, come si vede chiaramente dalla tabella successiva che suddivide gli andamenti dell’ultimo percentile, dei percentili dal 90° al 95° e di quelli dal 95° al 99°. Come si vede, il fattore che fornisce all’intero periodo a partire dagli anni Venti un andamento a “U” è l’1 per cento dei più ricchi, che da una quota del reddito totale inferiore al 10% negli anni ’70 balza a più del 20% nel periodo più recente; mentre i percentili dal 90° al 95° e dal 95° al 99° mantengono una quota del reddito totale tra il 10 ed il 15% in circa novanta anni:

 

 

3. Un confronto con gli altri paesi avanzati.

Un secondo aspetto che appare molto rilevante è che gli andamenti sopra descritti sembra accomunino le situazioni delle economie avanzate, per così dire, del ‘blocco di lingua inglese’ – ovvero Stati Uniti, Regno Unito e Canada – ma risultano notevolmente diversi dalle situazioni dell’Europa e del Giappone.

Come si vede nella tabella sottostante, gli Stati Uniti, dove l’ultimo decile dei redditi più elevati già sulla fine degli anni ’20 si era collocato su una quota di circa il 50% di tutti i redditi (per perdere poi con la crisi degli anni ’30 e con il dopoguerra circa quindici punti), è tornato negli ultimi anni alla quota delle metà dei redditi complessivi. Una tendenza analoga, anche se con quote un po’ più basse, ha caratterizzato l’esperienza del Regno Unito. Molto diversa appare, invece, la situazione della Germania e della Francia, che tra loro hanno un andamento abbastanza simile. Per queste due ultime nazioni la quota di reddito della quale si appropriano i ceti più ricchi, nell’intero periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, è rimasta di 15-20 punti inferiore ai paesi anglofoni, sia pure con un andamento un po’ più dinamico negli anni recenti nel caso della Germania.

 

 

Osservano Picketty e Saez: “Secondo noi, il fatto che paesi con evoluzioni simili della tecnologia e della produttività siano passate attraverso schemi così diversi di ineguaglianza dei redditi – specialmente per le fasce più ricche – indica con forza che le differenze istituzionali e politiche giocano un ruolo fondamentale in queste trasformazioni. Ricostruzioni meramente tecnologiche basate  unicamente sull’offerta e sulla domanda di competenze professionali difficilmente possono spiegare andamenti così divergenti. Le diversità nelle politiche fiscali sembrano una spiegazione più persuasiva”.

Anche in questo caso – cioè nell’ambito di un confronto tra USA ed Europa – si può notare come l’andamento decisivo sia stato quello dell’ultimo percentile dell’1% dei più ricchi. Se infatti si confronta la tabella successiva, nella quale, nel periodo tra i primi anni 70 ed il 2010 compare anche l’Italia, con la tabella 1C precedente, relativa agli Stati Uniti, si nota che l’andamento a “U” è sostituito con un andamento a “L”. Questo perchè la quota di reddito del redditi più alti che nei paesi europei, dell’Europa del Nord come in quella del Sud, aveva avuto il picco secolare negli anni Venti, regredì sino al dopoguerra e da allora è rimasta sostanzialmente stabile.

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